Femminicidi, stupri, molestie, ma anche catcalling, parole sessiste, racconto giornalistico e sentenze vittimizzanti: in Non chiamatelo raptus, nuovo libro di Stefania Spanò, in arte Anarkikka, si ripercorre in maniera puntuale ogni forma di violenza sulle donne emersa nelle cronache recenti. Una carrellata di vignette, ironiche e pungenti, con cui l’autrice rende evidente il filo che lega tutte queste espressioni di prevaricazione, ovvero la cultura maschilista e patriarcale oggi ancora presente. Una cultura che, solo partendo dalla scuola e dall’educazione di bambine e bambini, si può contribuire a estirpare alle radici.
Una società più giusta
Con maestria Anarkikka passa in rassegna tutto quello che non va nel sistema che dovrebbe prendersi cura, proteggere e tutelare le donne che subiscono violenza. Ad esempio la stampa, che non rappresenta sempre nella maniera giusta e corretta i femminicidi. Basti pensare al racconto su una testata nazionale del femminicidio di Teodora Casasanta e del figlio di cinque anni per mano del marito Alexandro Riccio. Si è letto su un quotidiano: “Il 39enne ha perso il controllo dopo la violenta lite”. E Anarkikka trasforma questo racconto di parte, troppo spostato sulla prospettiva di lui, quasi giustificatorio, in un ironico: “L’ha uccisa perché NE ha perso il controllo”.
La donna, un oggetto
Non manca il caso del femminicidio di Giulia Cecchettin che tanto ha scosso le coscienze tra la fine dell’anno scorso e l’inizio del 2024. All’inizio anche qui un racconto sbagliato, dove il femminicida Giuseppe Turetta è rappresentato come “il bravo ragazzo”, il “ragazzo timido”, il “ragazzo modello”. Che tuttavia ha ucciso una donna, negandole il futuro.
Anarkikka, dice la linguista Vera Gheno nella prefazione, “mette in fila tanti, troppi episodi che dobbiamo ricordare uno per uno, mostrandoci quel disegno perverso che ancora troppe persone negano. Le vestigia del patriarcato si combattono insieme, la sorellanza non esclude la presenza degli altri generi”. E quindi “dobbiamo lavorare per una società basata su presupposti diversi, migliori, più giusti, nei confronti di ogni essere umano”, aggiunge Vera Gheno, che l’autrice nel libro ringrazia in maniera particolare, “in sorellanza”.
Il linguaggio che è forma del pensiero
C’è, tra le vignette di Anarkikka, non solo una grande attenzione al racconto giornalistico, ma anche al linguaggio, strumento di forma del pensiero, ancora intriso di stereotipi, importante per cambiare dal profondo la nostra cultura. Siamo a Sanremo. Beatrice Venezi, 34 anni, direttrice di orchestra e pianista italiana dice a chiare lettere: “Chiamatemi direttore”. Come se “direttrice”, per un ruolo da sempre declinato al maschile, fosse sminuente. Allora Anarkikka scrive, sarcastica: “La nostra è una lingua musicale ma c’è chi non ne coglie ogni sfumatura, Peccato sia direttrice d’orchestra”.
Anarkikka non lascia scampo: rivisita con occhio implacabile i casi in cui disparità, violenza, sessismo riguardano pure la tv, gli stereotipi nell’educazione, le guerre, lo spettacolo e, più recentemente, le piattaforme digitali, lo sport. L’autrice ricorda ad esempio la multa in Bulgaria nel 2021 per la nazionale femminile norvegese che aveva scelto di indossare pantaloncini al posto degli scomodi bikini.
Anche i tribunali, che hanno espresso nei mesi scorsi sentenze molto contestate perché sessiste e infarcite di stereotipi, finiscono nel mirino delle vignette di Anarkikka. “Le sentenze non si commentano: perché si commentano da sole!”. E’, ad esempio, il caso della Corte d’Appello di Torino che assolve un uomo condannato in primo grado per stupro perché “non si può affatto escludere che al ragazzo la giovane abbia dato speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi porgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito a osare”.
Le ingiustizie sul lavoro
L’autrice parla anche del lavoro come teatro di ingiustizie, con la bassa occupazione femminile, la disparità salariale, le discriminazioni. “Bisogna esser franchi: alle aziende servono donne anta, svincolate da figlie e compagni. Magari anche in menopausa ché pure il ciclo, si sa, non rende libere”. Con un gioco di parole l’autrice ripercorre il caso della stilista e imprenditrice Elisabetta Franchi, balzata agli onori delle cronache per aver detto di aver spesso preferito assumere uomini e di aver coinvolto le donne “ma quelle sopra una certe età, quelle anta”, perché se dovevano sposarsi o fare figli hanno già concluso questi passaggi.
La storia di Anarkikka-Stefania Spanò, e di come sia uscita fuori dalla sua personale vicenda di violenza, è parte, come ricorda l’autrice nella biografia del nuovo libro, di Ho detto no. Come uscire dalla violenza di genere (Il Sole 24 Ore, 2022). Anarkikka è già autrice, tra l’altro, di Smettetela di farci la festa e del recente calendario Santa maDonna. È attiva da anni contro la violenza di genere ed è autrice di campagne di copertine di libri celebri come Stai zitta di Michela Murgia. Collabora con i centri antiviolenza ed è stata insignita da Differenza Donna dell’Award per aver messo il proprio talento al servizio del femminismo e della libertà delle donne.
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Titolo: Non chiamatelo raptus
Autrice: Anarkikka
Casa editrice: People
Prezzo: 18 euro
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