Al carcere di Opera discussioni su Delitto e Castigo di Dostoevskij

Quando si entra nel corridoio che nel carcere di Opera ti porta alla sala teatro, si sente freddo. Un freddo non solo fisico, perché è fine gennaio e riscaldare ambienti così grandi è sempre complesso. Ma è anche un freddo di stranezza, timore e circospezione. Si superano i controlli per entrare nel luogo che ha visto passare Totò Riina e Bernardo Provenzano. Si vedono le sbarre e si cammina silenziosamente scortati dalle guardie. L’aria si fa meno fredda e meno pesante quando si legge il nome del corridoio: galleria delle opportunità.

Nella galleria, alle pareti, le immagini e le locandine di tutte le attività che si svolgono dentro a questa che è una delle più grandi strutture carcerarie italiane, che ospita 1400 detenuti, di cui 1300 con condanna definitiva. Tra le iniziative che associazioni e volontari portano avanti nel carcere, il 25 gennaio 2024 alle 17 nella sala del teatro del carcere si è parlato proprio di opportunità. Questa è la parola chiave che ha permeato l’incontro organizzato dal Gruppo Trasgressione e che ha visto confrontarsi i suoi partecipanti: detenuti, magistrati, studenti universitari di giurisprudenza e psicologia e familiari di vittime della criminalità.

Durante cinque mercoledì di novembre 2022, il Gruppo Trasgressione, fondato dallo psicologo e psicoterapeuta Angelo Aparo ha organizzato degli incontri per analizzare il capolavoro di Fëdor Michajlovič Dostoevskij ‘Delitto e Castigo’, analizzare le motivazioni del delitto del suo protagonista Raskol’nikov, le sue velleità di onnipotenza iniziali e il suo percorso di espiazione. La serata è servita al gruppo per presentare i risultati di questa singolare ricerca a un pubblico di trecento auditori.

Occasione, riscatto e opportunità sono i temi al centro del confronto. ‘Raskol’nikov si sente un superuomo, quando uccide l’usuraia. Dopo tuttavia soffre e capisce che non lo era, grazie all’amore per Sonja, per noi Sonja sono Marisa e Paolo’. Dice Domenico, ergastolano da 31 anni, si rivolge sul palco a Paolo Setti Carraro, fratello della seconda moglie del generale Dalla Chiesa e Marisa Fiorani, la cui figlia è stata trucidata dalla sacra corona unita.

Marisa Fiorani si sente realmente come Sonja Marmeladova. La ragazza di cui il giovane protagonista del romanzo si innamora e per cui decide di confessare il delitto. Per superare il profondo dolore della morte della figlia, Marisa Fiorani ha combattuto per non chiudersi in sé stessa e “ha aperto le braccia, per entrare nel carcere e trovare il dolore dall’altra parte. Ha visto che le braccia erano aperte’, come le sue. Questa è stata la sua opportunità. Il dolore come racconta uno degli studenti ‘ non è solo di chi subisce, ma anche di chi commette, anche di chi condanna e di tutti coloro che stanno vicino’.

L’opportunità è anche quella che ha avuto Alberto Nobili, leggendario PM che sfidò i boss di Milano, che ha affidato a un messaggio audio la sua testimonianza sul palco della trasgressione. Lavorare con questo gruppo ha messo in evidenza ‘la bellezza della legalità, stando accanto e discutendo con quegli stessi detenuti che avevo fatto condannare’.

Il lavoro del Gruppo Trasgressione è stata una vera palestra come racconta Paolo Setti Carraro dove ‘si suda e si lavora. Ognuno ci mette del suo. Il libro è solo un pretesto che ci ha permesso di discutere e pensare aspetti fondanti della devianza umana: arroganza e abuso. Il lavoro che si fa, serve per far emergere e per assumersi le responsabilità di quanto accaduto. Scoprire emozioni sconosciute, l’umanità di ognuno di noi. Questo è il senso del pretesto. Così diamo un senso e un’opportunità al dolore che ognuno di noi prova e ha provato’.

Di nuovo opportunità, di nuovo occasione, di nuovo riscatto. Il carcere non deve essere come quel corridoio freddo chiuso da delle sbarre. Un punto di fine, senza speranza. Deve essere un punto di riflessione, di camvbiamento e di ripartenza.

A Paolo Nori, scrittore e traduttore dal russo, la conclusione della serata. Si complimenta per la grandezza dei discorsi dei detenuti che ha ascoltato e che hanno messo a nudo le loro debolezze come Raskol’nikov con Sonja, ma rincara anche lui la dose sull’opportunità del carcere. Siamo troppo abituati a vederlo solo come punizione, come una società di persone reiette che non hanno e non devono avere più possibilità. Chi di noi non è Raskol’nikov? ‘Io’-dicesono Raskol’nokov’. Dostoevskij stesso è Raskol’nikov‘.  In carcere si deve poter costruire, imparare, ricostruirsi. Lo stesso Dostoevskij è stato un reietto e i suoi migliori libri li ha scritti dopo essere stato dieci anni in carcere. ‘leggete la Certosa di Parma di Stendhal, la parte più bella è il racconto della prigionia del protagonista Fabrizio’.

Il carcere non deve essere un punto di fine. Il Gruppo Trasgressione svolge un magnifico lavoro che dà un senso alla giustizia riparativa.

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  • Gloria |

    Il problema delle carceri e dei detenuti è un problema infinito che va al di là dei 360 gradi.Solo in piccole realtà carcerarie siamo di fronte a vera e propria riabilitazione.
    Ci sono infiniti problemi strutturali e problematiche dei detenuti che sono ormai acqua stagnante e solo di tanto 8n tanto fiorisce uno zampillo di vita.i problemi che ultimemte stanno avendo gli agenti penitenziari,le rivolte da parte dei detenuti sono solo una punta di un iceberg trascurato di gran lunga.Gli operatori del settore che si battono per i diritti umani o i direttori di buona volontà che intendono introdurre trasformazioni sono lasciati soli per accorgerci del grandi baratro solo dopo le tragedie: vedi il moltiplicarsi dei suicidi.Quando ci si sveglia?????

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