Russia, Navalny è diventato il simbolo della libertà di scelta

“So bene che per voi in Occidente è difficile capire quello che è accaduto e che continua ad accadere. Non possiamo nemmeno mettere i fiori sui monumenti delle vittime delle repressioni, ma di cosa stiamo parlando? Il punto non è la morte agghiacciante del politico che avrei potuto votare. Non è questo il problema. La questione è non poter essere d’accordo, non poter scegliere, non poter essere liberi di pensare che qualcuno sia meglio. Io vorrei avere le vostre possibilità: votare per o votare contro. Avere un’opposizione al governo. Navalny per molti russi rappresentava una possibilità contro corrente. Posso dire solo una cosa, in lui ho visto un coraggio incredibile, una forza, uno spirito di sacrificio personale che voi non potete davvero immaginare”.

Con la voce rotta e piena di disperazione e rabbia, Giulia, giornalista a Mosca, racconta ad Alleyoop il sentimento di molti russi come lei, che vivono nello sconforto più profondo al 16 febbraio, giorno in cui Alexei Navalny, il più noto oppositore di Vladimir Putin, è morto improvvisamente all’età di 47 anni nella colonia penale della regione artica dove era detenuto. Giulia è un nome inventato, perché la paura di essere considerati nemici della Russia è grande e reale.

La partecipazione dei russi

Il coinvolgimento emotivo di Giulia traspare anche nella partecipazione di migliaia di persone ai funerali di Aleksej Navalny del primo Marzo. Foto e video in rete dimostrano come diverse migliaia di persone abbiamo sfidato la paura di repressioni e arresti camminando in code chilometriche (si parla di 16.500 persone circa) per dare l’ultimo saluto al dissidente russo. Così come ha commentato Yulia Navalnaya in un post di X il 4 di marzo: “Molti si sono chiesti, per cosa Aleksej ha sempre lottato e non è mai crollato. PER VOI. Persone meravigliose, coraggiose e oneste, che ora state in piedi in code infinite per salutarlo. Grazie a voi, questo è autentico amore del popolo”.

Le elezioni del 17 marzo

Sempre la moglie di Navalny, che ne ha automaticamente voluto ereditare anche il destino politico, ha chiamato i russi a votare il 17 marzo contro Putin. Il 6 marzo ha infatti pubblicato un video sui suoi social. “Possiamo usare queste elezioni contro Putin. Possiamo dimostrare che ci siamo, siamo tanti e siamo contro di lui. Andate a votare il 17 marzo alle 12. Cosa farete lì è scelta vostra. Potete distruggere la scheda, scrivere Navalny o scegliere un altro candidato. Voi avete tutti i diritti di andare a votare a qualsiasi ora. Cosa potranno fare, chiudere le sedi di voto? se tutti andiamo alla stessa ora, la nostra voce contro Putin si sentirà ancora più forte”.

Il bisogno di un simbolo

Da dopo il funerale, moscoviti e non solo continuano ad andare al cimitero per lasciare garofani rossi e altri fiori. Il 3 marzo i fiori sulla tomba raggiungevano l’altezza di una persona: un metro e settanta.

Il quotidiano indipendente Meduza ne ha pubblicato sui suoi social varie immagini riprese dai corrispondenti a Mosca, cui sono seguiti centinaia di commenti. Il tono è disperato, a tratti rassegnato, emerge comunque un desiderio di stare insieme e di fare fronte unito. Come commenta Prosto_karpova : “Siamo stati in coda al cimitero per 4 ore, c’era un’ atmosfera così calda e unita, tutti si sostenevano, condividevano il cibo. Per me è stato molto importante capire che eravamo così in tanti”. “Hanno seppellito la Russia assieme a Navalny” scrive invece vsem_bobra_2.0 che esprime come il principale e forse unico oppositore di Putin rappresentasse sopra ogni cosa la speranza di cambiamento.

Diritti che diamo per scontati

Il forte desiderio di esprimere liberamente e in modo pacifico la propria opinione è qualcosa che forse in Occidente si tende a dare per scontato. È ovvio che possiamo protestare, è normale che si possa votare per qualcuno o opporsi a qualcun altro. Ebbene in un Paese moderno ed evoluto non lontano da noi, i cittadini sono sottoposti a un regime repressivo che impedisce persino di portare dei fiori sulle tombe delle vittime delle grandi repressioni e purghe. 

Di recente abbiamo letto della studentessa italiana che, intervistata da alcuni nostri quotidiani, ha dichiarato che in Russia c’è libertà. D’altronde lei avrebbe espresso ‘liberamente’ il proprio pensiero davanti al Presidente Putin. Forse intendeva la libertà di accettare ciò che propone il governo, senza obiettare. Forse si riferiva all’espressione del banale consenso.

La vera libertà è quando si può francamente dire che non si è d’accordo.

Gli arresti dei dissenzienti

Non si sa quanti siano stati, ma nell’ordine delle centinaia, gli arresti tra i manifestanti il proprio dissenso nei giorni che hanno seguito la morte di Navalny.  Centinaia di persone sono state fermate , perché avevano partecipato a raduni per commemorare l’attivista. Molti russi avevano inoltre deposto fiori davanti ai monumenti commemorativi delle vittime delle purghe dell’era sovietica. I fiori erano stati tolti subito i giorni dopo. Un gesto difficile da comprendere, ma già accaduto durante la giornata della memoria delle vittime della repressione. Il 30 ottobre è infatti la giornata in cui si ricordano le vittime del terrore sovietico. Con ‘la restituzione dei nomi’ i Moscoviti si riuniscono solitamente alla Pietra Soloveckij, che si trova davanti alla Lubjanka, spettro dei servizi segreti ai tempi dell’Unione Sovietica.
Negli anni le misure restrittive sono aumentate, un rigido controllo ormai viene applicato sistematicamente dalla polizia a chi si accosta al monumento.

La Russia , sempre più moralista, limita con le sue regole oscurantiste la libera espressione delle idee personali: non si può protestare contro la guerra, perché la guerra stessa è una fake news. Può essere  un rischio esprimere la propria libertà sessuale, perché fare attivismo lgbtq è considerato fuorilegge. 

Ma protestare per un russo oggi non è una passeggiata di salute. Navalny, Anna Politkovskaja, Alexander Litvinenko e tanti altri ne sono l’esempio. Il silenzio quindi che si sente nelle Russia di oggi non è assenso, ma paura: “Adesso devo distruggere questo messaggio. Non so cosa succederà: noi continueremo a vivere”. Così, laconicamente si chiude il messaggio di Giulia, a dimostrare ancora una volta che la libertà è decisamente lontana.

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