Sono le 20.00 e si è appena concluso un magnifico pomeriggio di sport in cui la mia Como Nuoto ha vinto una splendida e molto tirata partita di pallanuoto. Belle giocate da entrambi le parti e come al solito alcuni errori: abbiamo vinto di un goal!
Abbraccio l’allenatore festeggiando e lui, per quanto felice, parte con l’elenco di cosa abbiamo sbagliato e di quanto avremmo potuto chiudere prima la partita… un po’ lo capisco, è un perfezionista. Passo a i giocatori, sono certo che siano carichi e vorranno festeggiare con me: il capitano mi abbraccia, ma è molto seccato per due scelte arbitrali che lo hanno mandato fuori prima del tempo. Gli ricordo i suoi due bellissimi goal, ma nulla, le espulsioni ingiuste pesano di più; così il portiere, autore di veri e propri miracoli, è fortemente arrabbiato per un gol preso, a suo dire, per l’errore di un compagno.
Ma perché gli errori pesano più delle prodezze effettuate?
Il negativity bias
Il mondo della psicologia ci ha già dato tanti spunti di riflessione a riguardo. Alcuni studiosi hanno identificato e verificato sperimentalmente il colpevole del nostro essere più attenti a ciò che di avverso ci succede: il “negativity bias”. Questo fenomeno comporta che le informazioni e gli accadimenti negativi tendano a incidere di più sulle valutazioni di ognuno di noi rispetto ad accadimenti ed informazioni positivi ugualmente “forti” (Cacioppo, 1998).
Ad esempio, nell’ambito della gestione delle risorse umane, molte persone cadono in questo bias quando ricevono un feedback o nelle occasioni in cui analizzano le proprie performance: invece di sentirsi bene per gli aspetti positivi si finisce per essere arrabbiati e delusi per le critiche, anche costruttive, di cui si fatica a cogliere il valore positivo.
A confermare il differente peso che hanno su di noi le informazioni negative ci ha pensato Barbara Friedrickson nello studio dal titolo “Positivity: Groundbreaking research reveals how to embrace the hidden strength of positive emotions, overcome negativity, and thrive” (2009). La psicologa americana ha identificato attraverso i suoi studi la formula della proporzione positiva: questa proporzione indica che per presentare alti livelli di benessere è necessario provare almeno 3 emozioni positive per ogni emozione negativa sperimentata. In pratica in una partita di pallanuoto, solo tre grandi parate del portiere valgono emozionalmente come un goal subito!
Un ulteriore effetto particolarmente interessante del negativity bias riguarda la motivazione: secondo gli studiosi Goldsmith e Ravi (“Negativity bias and task motivation: Testing the effectiveness of positively versus negatively framed incentives” 2013), al netto di differenze individuali, le persone tendono ad essere più motivate dall’evitare una perdita piuttosto che dal ricercare un guadagno.
Ho sperimentato personalmente questa tdinamica nella mia personalissima carriera di dirigente sportivo. Lo scorso anno avevo deciso che alcuni giocatori sarebbero stati retribuiti a seconda delle presenze agli allenamenti. Sperimentando questa idea mi sono accorto che l’incentivo di dare cento euro ad allenamento per ogni presenza portava ad avere dodici o tredici presenze al massimo durante un mese. Successivamente invece ho proposto duemila euro chiedendo venti allenamenti al mese e comunicando che ne sarebbero stati restituiti cento per ogni assenza. Le presenze non sono mai state meno di diciotto al mese. Evitare di perdere ciò che gli atleti avevano “già in tasca” aveva più impatto di ogni altra opzione.
Impara a sabotarti
Non è facile riuscire a superare il negativity bias e trasformarlo in opportunità. Molte persone sono abituate a darsi liste di obiettivi di miglioramento (ad esempio sul rimettersi in forma) con i relativi “buoni propositi da mettere in atto” (fare l’abbonamento in palestra, trovare un personal trainer…). Come abbiamo visto però questa modalità risulta non sempre facilmente perseguibile e poco motivante per la nostra attenzione.
E se utilizzassimo la logica del paradosso? In questo ci può aiutare la “Terapia breve strategica” di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone: “Se vuoi imparare a raddrizzare una cosa impara prima come storcerla di più”. Un suggerimento per tutte quelle persone che inciampano spesso nel negativity bias potrebbe esser quello di creare una “lista dei cattivi propositi”. Si parte dall’individuare prima gli obiettivi da raggiungere e poi si pensa agli step sbagliati per poterli raggiungere. La domanda giusta potrebbe essere:
“Se volessi volontariamente fallire nel raggiungere questo obiettivo, cosa potrei fare o non fare?”.
Rispondendo al quesito potrai costruire una lista di passi per sabotarti nel raggiungimento del tuo obiettivo. Se ad esempio qualcuno volesse iniziare a fare sport per sentirsi meglio potrebbe fissarsi alcuni punti di sabotaggio:
- Procrastinare l’inizio: rinviare costantemente il giorno in cui si inizia a correre, andare in palestra o buttarsi in piscina, dando spazio a scuse e motivi per non farlo.
- Minimizzare l’importanza dell’obiettivo da raggiungere: si può riflettere sul fatto che lo sport possa non essere così fondamentale per il proprio benessere, e che, tutto sommato, si può star bene anche non praticandolo.
- Sottolineare gli ostacoli: concentrarsi esclusivamente sulle difficoltà che si potrebbero incontrare andando a nuotare o facendo altri sport e ricordarsi di amplificarli nella propria mente.
- Non pianificare: evitare di creare un piano d’azione dettagliato e non fissare orari precisi per i propri allenamenti, lasciando spazio a una programmazione vaga e disorganizzata.
- Auto-svalutarsi: mettersi in testa di non avere la volontà o la capacità di mantenere un impegno sportivo più o meno regolare, auto-svalutando la propria forza di volontà.
Di sicuro questa lista potrà produrre tre effetti che possono aiutare chi è preda del bias di negatività a raggiungere i risultati che si è prefissato:
- Effetto avversione; identificare le diverse azioni che possono portare al fallimento crea nella mente un’avversione che porta a volersi distanziare dalla possibilità che si verifichino
- Effetto consapevolezza; osservando la lista si diviene consapevole delle azioni auto sabotanti che si stanno mettendo in atto e sarà più facile bloccarle
- Effetto scoperta; guardare in faccia le azioni che ostacolano il raggiungimento dei risultati permette di liberare la mente e favorire la creazione di nuove strategie più efficaci
E voi? Siete capaci di usare l’effetto paradosso per per inseguire i vostri obiettivi senza esser trappola del bias di negatività?
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