La violenza psicologica non è invisibile, e lascia i propri segni nel corpo

Questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito oltre 100 scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. #unite #rompiamoilsilenzio

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“La violenza psicologica, a differenza di quella fisica, è invisibile”. Questa l’affermazione che ho sempre sentito fare, e che sento fare tuttora, pressoché tutte le volte che si parla di violenza psicologica. Quando ho cominciato a informarmi sul fenomeno, anni fa, ho capito che se vogliamo iniziare a tracciare i confini di qualcosa che apparentemente non si vede, ma che è così concreto nella vita di tantissime persone, bisogna prima di tutto rivolgere l’attenzione al linguaggio.

È proprio attraverso il linguaggio, infatti, che l’abusante riduce e mantiene in soggezione la vittima. Ora, riuscire a nominare e denunciare la violenza fisica non è affatto un percorso semplice e lineare, o destinato a generare sempre maggior supporto, ma il fatto che le parole siano “invisibili” crea forse ancor di più le condizioni dell’incertezza, dell’incapacità di giudizio, della dispercezione propria e degli altri.
“Sei sicura che si tratti di violenza? Non avrai interpretato male? E allora perché sei rimasta per tutto questo tempo? Sei masochista?”. Le persone che si ritrovano all’interno di rapporti in cui subiscono violenza psicologica sentono spesso mettere in dubbio la veridicità di quello che vivono e che hanno vissuto, e spesso la mettono in dubbio loro stesse. Quando non si hanno gli strumenti per decifrarlo, il linguaggio del maltrattante ci sfugge nella sua contraddizione e ambiguità, ma quando sappiamo dove guardare proprio l’analisi del linguaggio è in grado di portare alla luce ciò che vuole restare nascosto, il sopruso che si vuole dissimulare.

Continuando a studiare questo fenomeno ho però compreso un’altra cosa ancora, e cioè che il linguaggio non è l’unico dispositivo in grado di rivelarci se stiamo vivendo o abbiamo vissuto una relazione emotivamente abusante: lo è anche il corpo di chi subisce violenza psicologica.

Nel 1978 Bessel Van Der Kolk, psichiatra, neuroscienziato e autore del fondamentale saggio Il corpo accusa il colpo, cominciò a lavorare con alcuni veterani del Vietnam. Questi uomini, dice Van Der Kolk, erano ormai l’ombra di sé stessi: l’esperienza della guerra aveva comportato per loro seri problemi di reinserimento nella vita normale a causa di gravi disturbi psichici che producevano incubi continui, flashback improvvisi di scene di orrore e allo stesso tempo episodi di perdita di memoria. E ancora stati di dissociazione, passività alternata a improvvise esplosioni di rabbia, e in generale grande difficoltà nel mantenere relazioni importanti, nell’essere emotivamente presenti.
Quello che succedeva è che “i loro corpi continuavano a rivivere quella terribile e spaventosa situazione e quell’evento tornava in termini di immagini, comportamenti e sensazioni fisiche”, spiega Van Der Kolk. Proprio questi concetti sono poi diventati la base della definizione di “disturbo da stress post-traumatico”, noto anche con l’acronimo inglese PTSD, post traumatic stress disorder.

Ma Van der Kolk si rese presto conto che ciò che stavano vivendo i veterani del Vietnam non era affatto un’esperienza rara, legata alle circostanze eccezionali della guerra. Il trauma e le sue conseguenze sono più comuni di quello che pensiamo: le persone che, ad esempio, subiscono molestie, abusi sessuali, che sono stati picchiate dai propri genitori quando erano bambini o che sempre quando erano bambini hanno assistito a scontri fisici tra i genitori sperimentano le stesse ripercussioni sul corpo di una persona affetta da PTSD. E, compiamo con l’autore di Il corpo accusa il colpo un ultimo passo, così accade anche con le persone che hanno subito una qualche forma di violenza psicologica.

La perdita di memoria, i flashback emotivi di episodi riguardanti la relazione con l’abusante, la dissociazione, la passività alternata alla collera improvvisa e la difficoltà a mantenere delle relazioni, a essere presenti e vivere la propria vita sono tutte conseguenze che la persona vittima sperimenta su sé stessa e sul proprio corpo, come anche la caduta dei capelli, la perdita o l’aumento di peso, i problemi alla pelle, con sfoghi cutanei o episodi di acne, lo sviluppo dell’abitudine di stringere, serrare o digrignare i denti, e la lista potrebbe continuare a lungo.

Il corpo si ribella in questi modi sia quando la dinamica di violenza psicologica è ancora in atto sia quando è ormai finita. La natura del trauma è proprio questa: non basta che la minaccia non sia più presente perché ciò che abbiamo subito smetta di manifestarsi, il nostro corpo continua infatti a reagire a lievi fattori di stress come se la nostra vita fosse ancora in pericolo. La violenza psicologica non lascia lividi sulla pelle, ma lascia tracce altrettanto concrete, tangibili e visibili: il problema è che la maggior parte delle persone è solo in minima parte consapevole, o è del tutto inconsapevole, che le reazioni prodotte dal loro corpo, durante una relazione di violenza psicologica e anche dopo la sua fine, sono in realtà collegate a quelle esperienze (presenti o passate) di abuso.

“Se pensi di non averlo mai visto, non hai guardato bene”, afferma Van Der Kolk a proposito del trauma. La stessa cosa si può dire per la violenza psicologica. Se riteniamo che sia impercettibile, non lasci segni e tracce, è probabilmente solo perché non abbiamo – ancora – gli strumenti per guardare bene. Dunque smettere di negare l’esistenza di questi segni e tracce, ripetendo come se fosse un mantra che a differenza di quella fisica la violenza psicologica è invisibile, potrebbe essere un importante primo passo per mettere in mano alle persone i mezzi per aiutare sé stesse e chi hanno intorno.

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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.

Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.

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