Era il 1985 quando nelle televisioni italiane compariva per la prima volta la pubblicità del dopobarba per l’uomo che non deve chiedere mai. Nonostante qualche tentativo precedente di raccontare un uomo diverso dallo stereotipo classico (i primi furono i Pooh nel 1976 col brano “Pierre”), il cosiddetto “maschio” è rimasto fortemente incollato al concetto di virilità, tanto misteriosa e attraente quanto dannatamente fragile. Il risultato, spesso, è stata la solitudine. Insieme a tanti dubbi, ansie da prestazione e frustrazioni.
Nel corso della sua lenta evoluzione, infatti, egli non ha imparato a chiedere neanche le indicazioni stradali (un sacrilegio per lui e l’intera categoria), figuriamoci un aiuto per problemi affettivi o sessuali. No. Quelli sono rimasti, per usare un francesismo, “cazzi suoi”. Al limite da raccontare al bar, tra amici, condendoli con un po’ di pregiudizi, un pizzico di luoghi comuni e una manciata di spacconate. Ma guai ad avere dubbi o domande sul proprio organo sessuale, spesso sconosciuto e relegato a mera asta da sventolare ai quattro venti come simbolo di una libertà superiore.
Un viaggio alla scoperta della sessualità maschile
Parlando di salute e prevenzione dell’organo sessuale maschile (e premesso che si potrebbe cominciare dall’età di 40 anni), la comunità scientifica consiglia una visita di controllo con un andrologo e/o urologo dai 50 anni in su. Ma in Italia, solo 2 uomini su 10 rispondono all’appello. Perché? Il mito del “pistolero solitario” ha influenzato talmente tanto l’identità del maschio fino a lasciarlo impaurito e timoroso davanti ad alcuni temi come la propria salute sessuale, a tal punto da considerarli veri e propri tabù.
Da questa riflessione è nato il podcast “Cazzi nostri – Cose tra maschi”, prodotto da OnePodcast e disponibile anche su tutte le altre principali piattaforme di streaming audio. Padroni di casa sono Diego Passoni, speaker di Radio Deejay, e Nicola Macchione, medico chirurgo specializzato in urologia e andrologia, impegnato da tempo nella divulgazione scientifica attraverso i social e la stampa. Nella prima stagione conclusasi lo scorso luglio, Diego e Nicola sono riusciti a fare un qualcosa di mai tentato prima: riunire tanti “cow-boy” di oggi e farli parlare delle loro “pistole”.
Tra esperienze personali, aneddoti divertenti, curiosità dal mondo scientifico, falsi miti e consigli di una figura medica di riferimento, questo podcast è un viaggio alla scoperta della sessualità maschile e del concetto di mascolinità, dove mettersi a nudo rappresenta un modo di parlare a cuore aperto (deponendo l’ascia di guerra) delle complessità del rapporto degli uomini con il loro pene, delle questioni socio-culturali e identitarie che vi sottendono e dei vantaggi psicofisici di un approccio più aperto, consapevole e libero.
Da J-Ax a Francesco Mandelli, da Peter Gomez a Max Pezzali, le prime 10 puntate (con una undicesima extra live dall’edizione 2023 del Salone del Libro di Torino) hanno affrontato temi tabù come la “cilecca”, l’eiaculazione, la paura del “ditino del dottore”, la circoncisione, la prevenzione dei testicoli e della prostata, il condom e il sesso protetto, la nudità e la mascolinità. L’avvio della seconda stagione è previsto per febbraio 2024. Nel frattempo, abbiamo fatto due chiacchiere con gli ideatori di questo progetto.
La grafica del podcast ricorda moltissimo il logo più famoso della storia del rock, quello dei Guns N’ Roses. Scelta pensata?
(Diego Passoni). Sono onesto: no. Non da subito almeno. Lo abbiamo notato solo dopo. La scintilla da cui è partito tutto è stata la pubblicità anni ’80 del dopobarba per l’uomo che non deve chiedere mai. Avevamo davanti agli occhi l’immagine della camicia di jeans sbottonata, con la mano di una donna che cercava di infilarsi e veniva bloccata da quella dell’uomo. Quel tipo di situazione ci ha fatto pensare cosa rappresentasse la cultura del maschio che non chiede mai. Perché, in quanto maschio, deve farcela da solo. A tutti i costi. Da lì è nata la figura del pistolero solitario associata al podcast, perchè ci sembrava l’archetipo perfetto per descrivere quel tipo di uomo. Dopodiché sono arrivate le due pistole che idealmente rappresentano me e il dottore, con l’idea di tirarle fuori dalla custodia e parlarne per quello che sono.
Nel claim del podcast parli proprio di questi uomini un po’ cow-boy e un po’ gringo che fanno a gara a chi spara più lontano. Secondo te cosa si nasconde dietro questa maschera di virilità?
(Diego Passoni). Partiamo da un punto: la fonte primaria dell’educazione è l’imitazione. Banalmente, noi facciamo quello che abbiamo visto fare. Dal punto di vista dell’aggregazione maschile si tende molto ad imitare, più che tra donne. Dopo tutto quello che culturalmente è accaduto nella nostra storia, ci ritroviamo nel 2024 ad aggrapparci ancora al concetto di supremazia, che nel maschio è la prima differenza evidente nei confronti del genere femminile. Per fare qualche esempio: la macchina grande corrisponde a fare tanti soldi, tanti soldi corrispondo a una casa grande e così via. Il fatto è che questa supremazia ce l’abbiamo come imprinting. Non è stato ancora costruito qualcosa di alternativo e sufficientemente asfaltato perché la gente veda che ci può essere un’altra strada da percorrere. E siccome la strada della supremazia è molto performativa, tu esisti laddove più grande, grosso e visibile sei. Ma non sta scritto da nessuna parte che dev’essere solo così.
In base alla tua esperienza clinica, quanti e quali sono i fattori principali che rendono tabù parlare della propria salute sessuale?
(Nicola Macchione). Sono essenzialmente tre: pene, sangue e genitali. Il primo ricorda la parola “pena”, quindi un qualcosa che crea insofferenza e ci allontana dal medico perché, all’atto pratico, dobbiamo “farglielo vedere”. Nasciamo con l’idea del confronto, in tutti gli spazi. Siamo abituati a misurare le performance di qualsiasi cosa e quest’atteggiamento lo trasportiamo anche nelle mutande. In una società patriarcale come la nostra, il maschio funziona. E se c’è un problema, è la donna che lo provoca. In realtà non è affatto così. L’errore è di aver sempre interpretato il pene come un organo a sé, quando invece fa parte di un sistema più grande che è l’apparato urogenitale.
Il sangue, invece, è un fatto ancestrale. Mentre le donne sono fisiologicamente portate a controllarsi mensilmente, l’uomo no, perché si è sempre ritenuto onnipotente. Guai a mettere in dubbio la sua sessualità, a maggior ragione nel confronto, col quale non siamo abituati fin da piccoli. Per esempio, ci sono tantissimi uomini che non si sognerebbero minimamente di farsi visitare da una donna proprio perchè temono il giudizio. Dunque abbiamo un problema culturale di base. In Giappone, nonni, padri e figli vanno in sauna insieme e lì avviene un riconoscimento dei propri corpi che annulla la vergogna e diventa normalità. L’atto di vergognarsi appartiene al nostro Paese e al sud Europa in generale perché c’è stata una sorta di sessualizzazione della nudità. In Olanda e in Germania, invece, sono più naturisti.
Infine, l’aspettativa sociale dei propri genitali. Gli ultimi studi hanno portato alla luce la credenza che le dimensioni medie debbano essere più grandi di quello che sono in realtà.
A proposito di studi, la recente indagine della Sia (Società Italiana di Andrologia) mostra che il 68% dei giovani di età compresa tra i 16 e i 35 anni sa chi è il medico andrologo e il 58% ritiene importantissimo fare delle visite preventive. Di fatto, però, il 74% dei giovani non ha mai fatto una visita andrologica e l’84% non effettua controlli regolari. Dov’è il corto circuito?
(Nicola Macchione). L’ostacolo principale è dato dal Sistema Sanitario Nazionale che ad oggi prevede che si passi prima dai genitori e poi dal medico curante. Non esiste un accesso diretto dei giovani allo specialista. Se un adolescente ha una curiosità non può soddisfarla parlandone direttamente con l’andrologo o l’urologo, con il rischio che approdi in maniera errata alle informazioni via web. I minorenni, per esempio, oggi scrivono direttamente su Instagram perchè fanno fatica ad aprirsi con i genitori, non vedendoli come loro confidenti. Secondo me manca una struttura intermedia tra famiglia/medico di base e specialista. Ecco perché la scuola può essere lo spazio perfetto per trattare queste tematiche. Se riusciamo a fornire uno strumento di educazione abbiamo già fatto un enorme lavoro di scrematura, in maniera totalmente anonima e riservata. E l’aiuto che potremmo dare sarebbe molto importante, così come il livello di serenità trasmessa ai giovani che ne beneficerebbero mentalmente. Ma i benefici riguarderebbero anche il nostro SSN, che nel medio-lungo periodo otterrebbe un forte risparmio economico.
Nella prima stagione del podcast avete ospitato diversi personaggi del mondo dello sport, dello spettacolo, della musica e del giornalismo che si sono “messi a nudo”. Quali punti in comune hai notato?
(Diego Passoni). Il comune denominatore è stata la fiducia. Sembra una risposta banale ma non lo è. Ho proposto a tanti rapper, conduttori tv, cantanti, anche giovani, di partecipare, ma hanno preferito declinare l’invito. Questo rifiuto mi ha fatto capire quanto sia difficile per l’uomo parlare della propria intimità. Quindi il fatto di aver avuto degli ospiti che si sono fidati dal primo istante è stato molto bello. Per fare un paio di esempi cito J-Ax e Cristian Brocchi, due persone che conosco ma che non frequento abitualmente. Eppure si sono prestati alla grande e hanno dato un contributo molto importante al podcast, mettendosi a nudo e facendo quello che speravo facessero: ovvero portare un certo tipo di messaggio alle loro community. Tra l’altro la puntata con J-Ax è stata la più ascoltata.
Secondo te perché per gli uomini è così difficile parlare di certe tematiche?
(Diego Passoni). Perchè non siamo abituati a metterci a nudo deponendo le armi. L’unico momento di messa a nudo è lo spogliatoio. E non è un caso se questo ambiente sia costruito sulla goliardia, la narrazione della squadra, l’incitamento tra maschi. Quello che manca è la condivisione. Come ricordava prima Nicola, le terme pubbliche in Giappone sono luoghi frequentati da più generazioni della stessa famiglia. Il nonno va col figlio e col nipote. E lì c’è una verità generazionale che secondo me racconta molto perché il bambino o l’adolescente vede come lui sarà dopo 50 anni. Culturalmente, i maschi europei non hanno questa forma mentis, mentre tra donne la condivisione c’è sempre stata. Sembra incredibile ma anche quando venivano relegate nelle case senza libertà, sono state capaci di costruire un rapporto tale da supportarsi a vicenda nelle fasi del ciclo mestruale, durante la gravidanza e l’allattamento, etc.
La famosa competizione tra donne viene meno quando una delle due ha bisogno. Anche se sono acerrime nemiche, subentra sempre la solidarietà che fa parte di un linguaggio condiviso. Tra uomini no, si millanta. Si raccontano grandi performance e si tende a dire di più di quello che è in realtà, per alzare l’asticella sempre e comunque anche quando spesso non è necessario. L’insicurezza fa parte dell’esistenza. Il maschio insicuro sembra meno maschio, ma in realtà le due cose possono coesistere tranquillamente.
E allora qual è il tassello mancante?
(Diego Passoni). Secondo me siamo davanti a delle generazioni senza diritto ad un’educazione affettiva sessuale. Non ce l’avevano i nostri genitori, non ce l’hanno avuta quelli della mia generazione e per ora non ce l’hanno nemmeno quelli che potrebbero essere i miei figli. Questo è il vero problema, perché una volta non si parlava di queste cose. E tra l’altro i maschi non avevano né l’esigenza né gli strumenti di un linguaggio affettivo. Oggi invece ci sono più parole per descrivere più identità che rientrano nel mondo affettivo, sessuale e identitario, ma la gente non parla più per paura di rimanere da sola. Il rischio è ritrovarsi a leggere tutto con lo stesso linguaggio disponibile, quello della pornografia o della musica trap; che non è una colpa in sé ma non può essere l’unico vocabolario possibile. Manca un alfabeto condiviso affettivo col quale costruire regole condivise. Ad ogni livello.
Hai mai incontrato dei medici “cow-boy”?
(Nicola Macchione). Qualcuno che fa fatica a parlare la lingua delle nuove generazioni c’è. Credo sia un problema comunicativo, perché da un lato sono spaventati da questa ondate di novità e quindi si chiudono; dall’altro, l’esigenza di comunicare è essenziale. La sfida dei nuovi medici è cambiare il modo di lavorare e comunicare: da persona solitaria bisogna passare all’équipe puntando sulla prevenzione. La medicina del futuro sarà quella che si prenderà cura del benessere. Dopo la pandemia si è capito che non è importante quanto vivi ma come vivi. Curare il benessere vuol dire ridurre l’insorgenza di patologie.
Che ruolo può avere il partner quando ci si trova di fronte all’esigenza di confrontarsi con un medico andrologo?
(Nicola Macchione). Tendenzialmente è il partner che propone e accompagna. Questo capita di più con le donne perché sono abituate a fare prevenzione e spingono il compagno a fare altrettanto. Lo stesso vale per le coppie omosessuali. Il primo controllo solitamente si fa da soli mentre il secondo in coppia, e quest’approccio si rivela essere di supporto alla coppia stessa. Quando c’è di mezzo la sessualità, tutti gli attori in gioco devono avere un ruolo, anche in caso di una “troppia”.
Un consiglio per gli Under 30, gli Under 40 e gli Under 50?
(Nicola Macchione). Caro U30 ricordati che le palline non servono solo per giocare. La tua fascia d’età è la più esposta al tumore al testicolo. Parola d’ordine: autopalpazione.
Caro U40, hai controllato i testicoli, bravo. Ora però tocca al resto. La tua fascia d’età è quella dove l’attività sessuale diventa intesa e matura. Ricorda di proteggerti.
Caro U50, non puoi più scappare: è arrivato il momento della prostata. Fai un bel controllo!
Ci puoi spoilerare qualcosa della seconda stagione?
(Diego Passoni). Saremo on air da febbraio chiacchierando degli aspetti clinici e di quelli culturali che cambiano l’affettività e la sessualità. Partiremo dai dati di una ricerca importante condotta in diversi Paesi del mondo in cui emerge che, a causa della mascolinità tossica, gli uomini si espongono ad una serie di pericoli e rischi comportamentali e sociali per soddisfare e dimostrare lo status di “maschio”. Il risultato? 8 anni di vita in meno.
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