Scienzate penalizzate, anche in questo campo pesano gli stereotipi

Scienziato: anziano, poco attraente, poco socievole, nerd, pazzo, ma geniale. Scienziata: accondiscendente, amichevole, accogliente, socievole e subordinata a uno scienziato (uomo) dominante. Sono gli stereotipi di genere, secondo la ricerca del Politecnico di Milano e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (e i cui risultati Alley-Oop- Il Sole 24 Ore pubblica in anteprima), ancora esistenti nel mondo della scienza. In particolare, la ricerca, che combina gli i risultati degli studi dal 1957 ad oggi e quelli di un questionario svolto con otto condizioni sperimentali su circa 800 persone in Italia, dimostra come dalle donne, perché possano emergere, ci si aspettino dosi eroiche di coraggio ed energia. Alla stregua di super eroine.

Lo scienziato, invece, a volte viene rappresentato nell’immaginario collettivo come una persona pericolosa e con intenzioni cattive, disposto a tutto pur di raggiungere gli obiettivi che si è posto. D’altronde, prodotti di intrattenimento televisivi e cinematografici hanno contribuito alla costruzione della figura del cosiddetto “scienziato pazzo”. In generale, considerate tutte insieme, le caratteristiche associate allo scienziato sono in linea con il comportamento stereotipico attribuito agli uomini sul lavoro. Diversamente, “le caratteristiche con cui vengono rappresentate le donne nella scienza sono ancora quelle che ci si aspetta da un uomo o quelle che fanno riferimento alla remissività nei confronti di un dominus (scienziato senior maschio)”, spiega Omar Mazzucchelli, tra gli autori della ricerca e dottorando di ingegneria gestionale al Politecnico di Milano nonché visiting scholar presso Copenhagen Business School.

Necessario l’approccio sistemico

Le disparità di genere nella scienza – sintetizza Cristina Rossi-Lamastra, presidente del Comitato Unico di Garanzia del Politecnico e professoressa ordinaria di Business and Innovation Economics- persistono, e per affrontarle è necessario un approccio sistemico. Oltre alle politiche universitarie, orientate alla parità di genere e alla promozione della diversità, le scienze sociali suggeriscono interventi mirati per smantellare gli stereotipi di genere”. In questo contesto, secondo la professoressa Rossi-Lamastra che con Mazzucchelli e la professoressa Claudia Manzi ha condotto la ricerca, occorre: invitare le scienziate a divulgare i risultati delle loro ricerche attraverso i media, avere la giusta rappresentanza di genere in eventi pubblici e promuovere attivamente la scienza nelle scuole. Tutte iniziative che “contribuiscono a creare una percezione più inclusiva della scienza sia all’interno delle università sia nella società”. Le stesse iniziative, peraltro, possono essere estese con successo anche per le minoranze etniche o le persone LGBTQIA+.

Donne sottorappresentate nelle posizioni apicali in tutta Europa

In particolare, la ricerca si fonda sull’analisi di 104 studi che trattano di come lo scienziato stereotipico sia rappresentato nella società, contestualizzandoli in base al loro focus principale in quattro aree tematiche: 28 studi sullo scienziato stereotipico e le sue caratteristiche; 20 studi sull’influenza culturale; 19 studi sull’influenza mediatica; 37, per la maggior parte recenti, sul genere e la scienza.

Gli stereotipi riscontrati hanno effetti, pratici, penalizzanti. Si riflettono, infatti, nella tendenza registrata tra le donne a “crescere meno”. Questo non succede solo in Italia: in tutta Europa le donne, sebbene rappresentino quasi la metà dei ricercatori accademici (ricercatrici post-dottorato al 47,1%; ricercatrici strutturate al 46,6%; professoresse associate al 40,3%), sono poi sottorappresentate nelle posizioni apicali (le professoresse ordinarie scendono al 23,6%). Evidenze che, secondo i ricercatori, dovrebbero far nascere “una riflessione comun/e sull’inclusività nella scienza”.

Dagli stereotipi nasce un conflitto tra l’identità di donna e quella di scienziata

Un ruolo importante viene giocato dalle aspettative e le credenze che sono importanti perché, permeando la mente delle persone, influiscono poi sulle nuove generazioni. Per molti anni cartoni animati e giochi legati alla scienza, ad esempio, sono stati orientati a un pubblico di bambini (maschi). Media e programmi educativi nelle scuole contribuiscono ancora al rafforzamento di questi stereotipi negli adolescenti e negli adulti. La percezione sociale dello scienziato come uomo, che deriva da tutte queste premesse, genera per le scienziate un conflitto tra la propria identità di donna e quella, appunto, di scienziata. A conti fatti, una giovane donna che ambisse a diventare una scienziata incontrerebbe maggiori ostacoli rispetto a un uomo.

Fondamentale proporre role model

Per cambiare la situazione, è fondamentale proporre all’esterno role models contro-stereotipici. Bambine e ragazze potrebbero così identificarsi più facilmente nella carriera della scienziata e, quindi, sarebbero più stimolate a imitare i modelli positivi. “Riguardo ai modelli da proporre alle ragazze, l’accento – spiega Claudia Manzi, professoressa ordinaria di psicologia sociale all’ università Cattolica del Sacro Cuore – dovrebbe essere posto sui tratti caratterizzanti i role models e non solo sul genere. Alcuni tra i nostri studi più recenti, ad esempio, mostrano che l’esposizione a role models di genere femminile, ma con caratteristiche e comportamenti stereotipicamente maschili, non aiuta. Si tratta, dunque, non solo di sciogliere il legame tra queste professioni e il genere maschile, ma anche di svincolare l’immagine della persona di scienza da alcune definizioni identitarie che la semplificano riducendole a comportamenti e tratti che sono stereotipicamente associati solo ad un certo tipo di uomini. Insomma, occorre mostrare l’eccellenza di questa professione associandola a una maggiore complessità non solo di categorie sociali (genere, età, etnia, abilità. etc) ma anche di comportamenti e tratti”. Gli effetti positivi di queste azioni non tarderebbero. Altrettanto efficaci ed essenziali sono le politiche di valorizzazione della diversità mirate all’attrazione di talenti e i progetti di avvicinamento alla scienza, come borse di ricerca dedicate alle donne o progetti di ricerca focalizzati su temi relativi all’inclusione.

Un cammino avviato, importante perseverare

La strada verso la parità di genere, anche nel campo della scienza, dunque è ancora irta di ostacoli, ma il cammino è tuttavia avviato.  Il trend, in sostanza, è positivo. “Seppur ancora timidi, i segnali positivi, come la responsabilizzazione dei media, l’impegno istituzionale e la crescente sensibilità sociale indicano – conclude Mazzucchelli – un trend verso un modello di scienziato/a più relazionale e inclusivo. Tale discontinuità è ciò ci fa ben sperare e ci conferma che la direzione intrapresa è quella corretta. Infatti, uno dei risultati più intriganti e controintuitivi della nostra ricerca è proprio quello che in Italia, le scienziate vengono percepite come coraggiose ed energiche supereroine, molto di più degli scienziati. Il cammino verso una scienza più inclusiva è a un buon punto, la chiave? Perseverare”.

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  • Monica D'Ascenzo |

    Buongiorno Zorn, quello che allega è un articolo del 2015. Sono passati 9 anni. INoltre nello stesso articolo si legge: Some observers, however, say that the study—which involved actual faculty members rating hypothetical candidates—may not be relevant to real-world hiring. And they worry the results may leave the incorrect impression that universities have achieved gender parity in STEM fields. Se poi si vuole andare oltre le prime dieci righe e si clicca su keep reading si va in una pagina che dà errore. Leggere i titoli a volte non basta!

  • Gloria |

    Siamo alle soglie del 2030 e ancora disparità di genere nel parlare di scienziata eccetto qualche barlume in qualche zona d’Italia.Nonostante che in molti campi la donna si sia appropriata di ruoli dirigenziali e di notevole responsabilità in alcuni settori ci vuole davvero coraggio e bisogna essere una supereroina per emergere.

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