Si chiama Semia il primo fondo filantropico nato per sostenere le organizzazioni, i gruppi, i collettivi, le attiviste e gli attivisti impegnati ogni giorno per rendere l’Italia un Paese più inclusivo e più equo. Presentata oggi alla Casa internazionale delle donne di Roma, in via della Lungara, questa speciale Fondazione – che si aggiunge alle altre 40 dello stesso genere attivate nel mondo, dal Global Fund for Women negli Usa al Filia Die Frauenstigtung in Germania, dal Fondo Alquimia Chile all’Her Fund di Hong Kong – annovera già tra i sostenitori la Fondazione Chanel, Kering Foundation, la Fondazione Donne Mediterraneo, Una, nessuna e centomila e Genevieve Vaughan. E chiama a raccolta tutte le donne e gli uomini che condividano gli scopi e i valori della Fondazione, orientati a perseguire la parità tra i generi – si legge nella “Manifesta” – “in ottica intersezionale dove classe, etnia, identità, orientamento sessuale, disabilità, religione, istruzione e territorio sono le multiple direttrici del nostro sguardo” e a supportare e potenziare “l’ecosistema femminista italiano”. Si potrà entrare a far parte dell’assemblea di partecipazione, con una donazione suggerita di mille euro. I nomi delle prime cento adesioni appariranno sul sito di Semia e nel primo bilancio sociale.
L’assunto di base: “L’attivismo funziona”
“I fondi delle donne sono fondazioni speciali che sollecitano, raccolgono ed erogano fondi per supportare in maniera capillare il movimento per i diritti delle donne e di genere”, afferma Miriam Mastria, vicepresidente e direttrice esecutiva di Semia, trent’anni, alle spalle cinque anni di lavoro in Messico per il Fondo Semillas, una laurea in Scienze politiche con indirizzo in Cooperazione e Sviluppo e un master in Economia dello sviluppo conseguito in Olanda all’Università di Wageningen. “Finalmente anche il movimento femminista italiano ha il suo fondo: Semia si considera parte integrante e si pone come un’alleata del movimento, è una fondazione giovane, fatta di professioniste del terzo settore. Semia è al servizio delle realtà territoriali, a supporto materiale delle organizzazioni che si occupano dei diritti delle ragazze, le donne, le persone trans e non binarie, per l’autodeterminazione di tutte. Perché attraverso la libera espressione di ciascuna, si possa realizzare il progresso corale dell’intera società”.
“L’assunto di base di Semia è la convinzione che l’attivismo funziona”, scandisce la presidente Paola De Leo, che ha lavorato per numerose organizzazioni nel mondo, tra cui Save The Children, Amnesty International, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, Women & Children First in nel Regno Unito, la Fondazione Andan in Svizzera. “Funziona nel senso che, come ha dimostrato una ricerca finanziata nel 2020 dalla Bill & Melinda Gates Foundation, c’è una correlazione positiva tra le azioni dei movimenti femministi e l’avanzamento dei diritti delle donne”.
La mappa delle organizzazioni femministe
La nascita del Fondo, secondo la pratica preliminare comune alla costituzione dei fondi delle donne, è accompagnata da un’indagine conoscitiva, con cui sono state mappate, attraverso una desk research, le organizzazioni (non riconducibili a istituzioni religiose) impegnate sul territorio italiano nella difesa e nella promozione dell’uguaglianza di genere e che, in ottica intersezionale, si occupano anche di altre disuguaglianze come quelle legate all’etnia, all’orientamento sessuale o alla disabilità: si tratta di una galassia di 1.047 realtà distribuite per ben il 42,3% al Nord, per il 29,2% al Centro (con il Lazio prima Regione con il 19,39% delle organizzazioni, seguita dalla Lombardia) e per il 28,5% al Sud. In fondo alla classifica Basilicata, Valle d’Aosta e Molise.
Il 66,76% sono registrate come associazioni, il 21,43% come collettivi e il 4,3% come reti. Le altre tipologie, dalle cooperative alle imprese, non superano mai il 5 per cento delle realtà di ciascuna macroarea territoriale. In generale, si tratta per larga parte di organizzazioni di piccole dimensioni, con un massimo di trenta persone coinvolte nelle attività e spesso su base volontaria: appena il 10,5% ne vede impegnate di più. L’analisi dei siti web e delle informazioni pubbliche rivela che il 42,12% ha una struttura ben definita, con raccolta fondi organizzata, chiara divisione dei compiti, rapporti annuali. In altri casi gli approcci organizzativi sono del tutto informali.
Tanto contrasto alla violenza, poco impegno per il lavoro
Il contrasto alla violenza contro le donne è la missione principale per il 50,24% delle organizzazioni mappate e quasi l’80% la segnala come prioritaria, seguita da un ampio segmento impegnato nella promozione dei diritti Lgbtqi+ (15%), nell’uguaglianza di genere (9,26%) e in attività di promozione della cultura delle e per le donne (8,95%). I 405 centri antiviolenza identificati rappresentano il 38,68% delle iniziative per i diritti delle donne e di genere identificate nell’indagine.
Un aspetto interessante – sottolinea la ricerca – è la scarsa presenza di organizzazioni del terzo settore dedicate al tema del lavoro salariato, “a fronte della generale situazione di arretratezza dell’Italia nel settore dell’occupazione femminile”. È vero che la mappatura non ha incluso le tante reti di categorie di professioniste o di manager molto attive in questo ambito, ma lo stupore per la scarsissima presenza di organizzazioni della società civile che si occupano delle istanze relative al lavoro permane. Una delle spiegazioni che il report ipotizza è il ruolo tradizionalmente svolto dal sindacato per la tutela, anche giudiziaria, delle lavoratrici. Ma, appunto, forse è rimasta poco presidiata proprio l’area a monte, quella della promozione del lavoro delle donne.
L’altra motivazione, segnalata tra le righe, è che i fondi, pochi e non strutturali, oggi arrivano più facilmente grazie al richiamo al contrasto della violenza sulle donne. Ma il circolo è vizioso, perché rimangono marginali le attività che puntano ad arginare le cause alla base della violenza sistemica: in primis le barriere all’accesso e la discriminazione sui luoghi di lavoro, la carenza di educazione economico-finanziaria, l’impari distribuzione dei lavori di cura e l’educazione alla leadership. Tutto in un Paese in cui, secondo l’Indice di Uguaglianza di Genere (GEI) del 2023 calcolato dall’European Institute for Gender Equality, l’area più critica è proprio quella della disoccupazione e della “malaoccupazione” femminile, che assegna all’Italia la maglia nera tra tutti i Paesi membri.
Quote sociali e tessere sono la fonte di finanziamento più comune
Ma come sopravvivono le associazioni femministe italiane? Per rispondere, la seconda parte della ricerca, qualitativa, ha condotto interviste a 184 organizzazioni: quasi il 60% ha dichiarato di operare con meno di 25mila euro, appena il 3,26% con più di 500mila euro. Le quote sociali e il tesseramento sono la fonte più comune di finanziamento, l’unica per il 27 per cento. Il 38% è stata vincitrice di un bando pubblico, nazionale o locale. Un 10% ha avuto accesso a finanziamenti europei. Ma solo il 14% riceve donazioni da fondazioni italiane: il rapporto evidenzia come la filantropia istituzionale nel nostro Paese, nota per la sua generosità in molti ambiti, tenda però a fare scarse donazioni alle organizzazioni che si occupano della tematica femminista.
Proprio da questa “assenza” è nata l’idea di Semia, sulla scia dei fondi già attivi e delle esperienze di microcredito. Il più grande è il Global Fund for Women, con 10 milioni di dollari di esborso l’anno. Tutti operano in network e in partnership con la filantropia privata e le istituzioni pubbliche, puntando a intercettare le organizzazioni del territorio con un elevato potenziale di sviluppo.
Le opportunità offerte da Semia
Come si evince dalle Faq pubblicate sul sito, il nuovo fondo può̀ ricevere donazioni filantropiche (interamente deducibili) da parte di privati e di organizzazioni, enti, istituzioni e altre fondazioni che hanno a cuore la missione di Semia oltre a beneficiare del 5×1000. Per donazioni istituzionali e di importo significativo, è previsto un processo di due diligence per identificare potenziali criticità̀ e rischi reputazionali.
Semia si propone di sostenere e accompagnare le organizzazioni finanziando tre macroaree tematiche: autodeterminazione e difesa del diritto di scelta; lavoro, indipendenza e giustizia economica; educazione alla consapevolezza e supporto all’attivismo. La selezione delle proposte da finanziare è effettuata dal Consiglio di amministrazione di Semia – che oltre a De Leo e Mastria annovera Marica Moscati come consigliera – con il supporto di un Advisory Board, ma può anche contemplare forme “partecipative” che permettono alle stesse associazioni partecipanti ai bandi di valutare le proposte e scegliere le più innovative. Tutti gli enti del terzo settore, anche non iscritti al Registro (il Runts) possono ricevere donazioni dalla fondazione. I gruppi, collettivi, reti e altre organizzazioni informali possono essere inclusi in attività̀ di capacity building (per rafforzare il movimento in modo strutturale consolidando o aggiungendo competenze) e networking o ricevere altre forme di supporto in natura.
La dotazione di partenza
La modalità di erogazione dei finanziamenti è flessibile, caratteristica tipica del modello filantropico dei fondi femministi. Significa che si possono modulare le aree di investimento dopo aver messo a fuoco i punti critici e individuato le tecniche di intervento più efficaci per raggiungere gli obiettivi. La dotazione di partenza ammonta a circa 170mila euro, il target di raccolta per il 2024 – considerato l'”anno ponte” – è di 250mila euro. Successivamente l’auspicio è attestarsi su 4-500mila euro di raccolta. “Una cifra – evidenzia De Leo – che consentirebbe di avere un impatto significativo”. Il seme di Semia è piantato. Ora la sfida è capire se germoglierà.
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