Sfidarsi a mangiare tanto, troppo poco, o solo cibi proibiti: centinaia di video food challenge vengono caricati quotidianamente sui social. Le sfide del cibo hanno raggiunto la loro forma 2.0 grazie alla varietà di “spettacolo” che è possibile fornire a un follower con un montaggio accattivante: Fear Food Challenge, Mukbang Challenge, Fast Eating Challenge sono solo alcuni esempi, parenti lontani di format televisivi come Man vs Food. Il trend dei fear food e le soluzioni fai da te per le diete su Tik To hanno recentemente attirato l’attenzione degli esperti sul legame tra disturbi alimentari ed esposizione ai video online.
Ingoiare enormi quantità di cibo o vantarsi di assaggiare un cibo “tabù” perché considerato troppo calorico, può essere dannoso per chi soffre già di disturbi del comportamento alimentare (Dca). Per parlare dei pericoli nascosti dietro le food challenge ci siamo rivolti a Rossella Oliva, psicoterapeuta specializzata in disturbi del comportamento alimentare e presidente di Adam (Associazione Disturbi Alimentari Mestre).
I dati: quanti adolscenti soffrono di disturbi alimentari in Italia?
Bulimia, anoressia e binge eating: secondo l’ultima indagine nazionale del ministero della Salute (2019-2023), in tre anni i disturbi alimentari sono più che raddoppiati. I più recenti dati forniti di Osservatorio Aba e Istat ci dicono che i Dca riguardano oltre 3 milioni di persone in Italia pari a circa il 5% della popolazione: l’8-10% delle ragazze e lo 0,5-1% dei ragazzi soffrono di anoressia o bulimia. Il 59% dei casi ha tra i 13 e 25 anni. L’immagine corporea influisce sulla formazione di un individuo e sulla sua autostima: da una percezione negativa del corpo può derivare un disturbo dell’alimentazione o d’ansia. Ma quanto siamo consapevoli dei pericoli del web? Citando lo studio sul rapporto tra social media, la percezione del corpo e i disturbi alimentari a cura di Alexandra Dane e Komal Bhatia (Phd presso l’Institute for Global Health dell’Università di Londra): “L’uso dei social media può innescare preoccupazioni sull’immagine corporea e aumentare il rischio di sviluppare un Dca tra i giovani, ma l’argomento è poco studiato come problema di salute pubblica globale” .
Mukbang, Fear Food e Girl Dinner: alcune tipologie di sfide del cibo
Il mondo delle food challenge è vario e comprende contenuti creati sia per intrattenimento sia per documentare le fasi di recovery da un disturbo alimentare.
Ingerire enormi quantità di cibo non è sano per il corpo, come nel caso dei video Mukbang (sfide online nate in Sud Corea) che nascondono la loro tossicità proponendosi come prodotti Asmr (fenomeno di suoni che producono rilassamento). Gli utenti provano piacere nel sentire suoni provocati da chi mangia e si abbuffa letteralmente. I video dedicati alle fasi di recovery da un disturbo alimentare, invece, rischiano di spettacolarizzare una delicatissima fase di recupero nel percorso di uscita da un Dca. Uno dei video più popolari è il Fear Food Jar: il creator estrae da un barattolo il nome di un cibo che aveva o ha paura di mangiare, dichiarando che cioccolata o ciambelle possono essere mangiati senza alcun timore, e a sua volta dimostrando il miglioramento del proprio rapporto con il cibo. Da settembre si parla molto dei Girl Dinner su Tik Tok, dove le ragazze condividono i loro pasti principalmente a basso contenuto calorico. La viralità ha generato competizione, quindi sfida, e i video sempre più minimal nel loro genere.
Le food challenge sono pericolose?
“Un primo aspetto da considerare quando parliamo delle sfide e dei trend sui social legati al cibo è che molti contenuti su alimentazione, benessere e corpo sono proposti da persone senza alcun background in questi ambiti”, afferma la psicoterapeuta Rossella Oliva ad Alley Oop.
Contenuti virali sui cibi “proibiti”, sfide e diete di tendenza su Tik Tok o Instagram possono influenzare negativamente il rapporto con il cibo?
Tra i contenuti dannosi ci sono quelli che generano ideali estremi di thin- o fitinspiration, alla base dei quali si celano una forte spinta alla magrezza, l’adozione di regole nutrizionali rigide e programmi di allenamento per modellare il proprio corpo. Un trend recente è quello del “What I eat in a day”, ovvero il racconto di cosa si mangia in un giorno. In alcuni casi, questi contenuti sono realizzati da influencer con corpi magri che raccontano i pasti di una loro giornata, a volte accompagnando le immagini a commenti relativi alle porzioni, alle calorie o alla tipologia dei cibi scelti (e di quelli esclusi).
Può fornirci un esempio pratico dalla sua esperienza come terapeuta?
Nella pratica clinica è evidente come questo tipo di contenuti possa costituire un trigger pericoloso. Mi è capitato di incontrare ragazze che creavano video come “What I eat in a day”, pur avendo un disturbo alimentare. Ciò che facevano vedere non era ciò che accadeva davvero nella loro giornata, ma, come per le foto ritoccate con Photoshop, rappresentare la giornata ideale, quella che loro avrebbero voluto condurre, aiutava a costruire un’immagine di sé più accettabile. D’altra parte, incontro persone che guardano questi contenuti e che per raggiungere la forma fisica dei creator, rischiando di aprire le porte a comportamenti alimentari dannosi.
A volte, chi guarda questi video non emula ciò che viene proposto perché sta cercando di uscire dal proprio disturbo alimentare, ma si trova a scontrarsi con spazi che rifocalizzano l’attenzione sul cibo, creano confusione e propongono ideali contradditori di salute, in conflitto con il percorso di cura. Lavorare per la cura e la prevenzione di disturbi alimentari in un mondo saturo di consigli su scelte alimentari rigide vestite da scelte di salute, e ideali corporei che promuovono la magrezza, può essere incredibilmente impegnativo.
Pensa che questo tipo di contenuto possa instaurare un pericoloso processo di disinformazione?
Vedere che la propria alimentazione si discosta da ciò che è rappresentato, ascoltare informazioni fuorvianti sulle qualità e quantità dei cibi, potrebbe scatenare pensieri focalizzati sul cibo, senso di colpa e inadeguatezza, e tentativi di replicare il comportamento proposto per raggiungere il tipo di corpo del creator, rischiando invece di recare un danno alla propria salute. A volte però anche i contenuti di figure competenti, per esempio in materia di nutrizione, possono fornire spunti insidiosi per persone che hanno un rapporto faticoso con il cibo e il corpo.
Pur avendo un pubblico molto più ridotto, ad esempio la classe di una scuola, anche al di fuori dei social abbiamo il compito di strutturare dei programmi di intervento che tengano in considerazione le differenze individuali. Quando si programmano interventi di prevenzione, online o offline, non possiamo quindi mai dimenticarci a che platea diversificata stiamo parlando.
Molti profili sono persone che soffrono di un Dca e documentano il loro processo di guarigione: un approccio borderline tra voler essere di ispirazione o voler sentirsi accettati dal pubblico online. Si rischia di cadere nella spettacolarizzazione?
La crescente quantità di video che riguarda i disturbi alimentari e il racconto delle persone che ne hanno sofferto ha dato la possibilità a molte persone di riconoscersi e avvicinarsi alla cura. Parlare della propria esperienza può essere importante, va ricordato però che un’esperienza è soggettiva e non può essere quindi rappresentativa e generalizzata. L’altra faccia della medaglia riguarda quei contenuti creati mentre si soffre di un disturbo alimentare, che nei casi più estremi e più pericolosi, arrivano a documentare percorsi di cura in atto, con immagini e video realizzati direttamente dall’ospedale o dai centri di cura.
Una caratteristica dei disturbi alimentari, soprattutto nelle fasi iniziali, è quella dell’egosintonia. Essere in sintonia con il proprio disturbo porta a una minore spinta alla richiesta di aiuto. In queste fasi di assenza di aiuto esterno però la ricerca (o a volte, la creazione) di contenuti sui social che riguardi il cibo e il corpo diventa massiccia, perché il pensiero è focalizzato su questi temi e diventa una modalità di sfogo. La prevenzione e la cura dei disturbi alimentari non riguardano (solo) il cibo. Il cibo è un mezzo per gestire una sofferenza ed è questa che richiede ascolto e cura. Il cibo e il comportamento alimentare costituiscono la punta dell’iceberg, ciò che è visibile e manifesto, ma quello su cui dobbiamo focalizzare la nostra attenzione è ciò che sta sotto la superficie.
Osservare chi mangia tanto (come nel mukbang watching) o poco può dare un senso di “sazietà” o portare all’emulazione?
Alcuni studi sul tema hanno fatto emergere che contenuti come i mukbang vengono spesso visualizzati da persone che stanno seguendo un percorso di dieta o che hanno il proposito di restringere la propria alimentazione. Chi sta dall’altra parte dello schermo sembra “nutrirsi” senza mangiare, un piacere vicario che viene stimolato dal guardare altre persone mangiare. In alcuni casi però questi video coinvolgono grandi quantità di cibo, mangiate in un arco di tempo molto breve. La modalità è simile a quello che definiremmo un episodio di abbuffata.
I video mukbang sono passati dall’essere singoli contenuti a diventare vere e proprie competizioni, quasi un’ossessione.
Credo che, come per altri tipi di contenuto, notare l’engagement e i commenti positivi che questi video creano potrebbe scatenare la voglia di imitare i comportamenti – potenzialmente dannosi – di queste persone per acquisire popolarità. Allo stesso tempo, se penso alla tendenza comune di persone con un’alimentazione restrittiva di cucinare molto, lasciando le altre persone (spesso in famiglia) consumare i loro pasti, questi video mi chiedo se possano costituire una nuova, ma sovrapponibile, modalità di controllo dell’alimentazione e contribuire così ad alimentare l’ossessione per il cibo, traendo soddisfazione dal nutrimento delle altre persone e tralasciando il proprio.
Like e commenti hanno il potere di convalidare la propria identità e il proprio ideale di salute o bellezza: i rischi più grandi delle food challenge sono l’emulazione e la disinformazione. La terapia di recupero da un disturbo alimentare rappresenta un processo di transizione per un giovane paziente, che nella sua fragilità potrebbe essere compromesso se influenzato da forme di spettacolarizzazione come le sfide social sul cibo. Capire come siano fatti questi contenuti crea consapevolezza sia per un adulto che accompagna l’adolescente nel suo approccio con il cibo, sia per giovani donne (e non solo) che selezionano quotidianamente il loro pane “social” quotidiano.
Se hai bisogno di aiuto puoi consultare la lista dei centri operativi in Italia per la cura dei Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione fornita dall’Istituto superiore della sanità.
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