Ostaggi di Hamas, l’appello della mamma di Ella (8 anni) e Dafna (15 anni)

I giorni sono interminabili, le notti sono lentissime e oscure. Per le famiglie israeliane degli ostaggi in mano ad Hamas dal 7 ottobre scorso il tempo è un macigno che pesa sul cuore e toglie il fiato. Da 19 giorni, almeno 224 cittadini israeliani sono tenuti prigionieri. Al momento sono state liberate solo due cittadine statunitensi Judith e Natalie Raanan (madre di 59 anni e figlia di 17 anni) e due anziane israeliane Yocheved Lifschitz (85 anni) e Nurit Cooper (79 anni). Per tutti gli altri la speranza è appesa a un filo, alla mediazione dell’Egitto, alle notizie rilanciate dalle agenzie internazionali.

Le figlie di Maayan

Nessuna notizia, nessuna comunicazione, nessun contatto dalle Nazioni Unite o dalla Croce rossa internazionale ormai da più di due settimane” mi dice Maayan Zin in una conversazione su Zoom dal centro di Israele. Maayan da 19 giorni non ha alcuna notizia delle figlie Ella di 8 anni e Dafna di 15 anni, rapite il 7 ottobre scorso dai terroristi di Hamas mentre erano a casa del padre nel Kibbutz Nahal Oz a sud di Israele per celebrare i 70 anni della comunità.

Dorme poco e mangia ancora meno, questa mamma che cerca di gestire un dolore immenso e di continuare a parlare con i giornalisti di tutto il mondo, con un solo messaggio: “Basta perdere tempo, basta cavolate (bullshit) e basta politica. La priorità deve essere portare a casa gli ostaggi, poi facciano quello che vogliono con Hamas“.

Poche parole, un messaggio chiaro, perché è la sola cosa che importa alle famiglie degli ostaggi, che “si tengono in contatto, si passano informazioni” per cercare di porre un argine all’incertezza. E in questo frangente sono aiutati dai volontari di Hostage and Missing Families Forum e di Bring them home now, che cercano di non far dimenticare gli ostaggi in un’escalation di guerra che porta l’attenzione altrove.

E’ importante che il mondo capisca che è successo tutto perché un gruppo di terroristi ha deciso di attaccare civili inermi che nulla avevano fatto” spiega Maayan, che ci tiene a precisare che non vuole parlare di politica, non le interessa: “Devono innanzitutto riportarle a casa. Il mondo si deve svegliare e salvare gli ostaggi perché questo non è un problema solo di Israele, è un problema che tocca tutti i Paesi come atto terroristico“.

Il rapimento

Maayan ha scoperto dai social media. I rapitori sono entrati in casa dell’ex marito Noam Elyakim e della sua fidanzata Dikla e hanno preso il cellulare di lei, aperto Facebook e cominciato una diretta in cui si vede tutta la famiglia sotto il tiro dei rapitori: l’ex marito ferito Noam, le due ragazze spaventate così come il figlio 17enne della fidanzata, Tomer.

Attenzione il video della diretta Facebook a questo link mostra immagini sensibili.

Maayan, che quella mattina aveva mandato un messaggio all’ex marito per chiedere se stessero bene avendo sentito i razzi di Hamas senza ricevere risposta, ha saputo cosa fosse successo da un messaggio della sorella che le ha inviato una foto delle figlie sedute su un materasso e con vestiti non loro diffusa su Telegram. Sulle prime ha pensato a un fotomontaggio, poi sono iniziate le telefonate e qualcuno le ha girato il video che era apparso sui social con la famiglia nelle mani dei terroristi.

Solo in un secondo momento Maayan ha saputo che i terroristi hanno obbligato Tomer a seguirli casa per casa e a ripetere in ebraico le loro parole: “Apriti e vieni fuori; nessun male ti accadrà“. E poi il massacro di intere famiglie.

I corpi di Noam, Dikla e Tomer sono stati trovati sulla via per Gaza in condizioni tali che non è neanche stato possibile fare loro un funerale ebraico, in cui la salma viene pulita e purificata versando dell’acqua sul corpo, e poi avvolta in un sudario bianco. Sono stati seppelliti in bare chiuse. Le due ragazze, invece, sono sopravvissute come testimonia la fotografia. Ma dopo quello scatto più nessuna notizia.

La speranza di riportarle a casa

Quando si parla degli ostaggi rilasciati per cercar di tenere viva la speranza di una soluzione a breve, Maayan commenta: “Non si capisce come stanno prendendo le decisioni e perchè. Hanno rilasciato due donne anciane ma non i loro mariti“. Resta così tutto sospeso con un’incertezza che taglia il respiro e sa di piombo.

Maayan continua a ripetersi che sarà forte e che le sue ragazze saranno forti. Anche se quello che è successo è sempre stato così impensabile che nessuno è preparato e di certo non le giovani. “Quella di un rapimento non è un’eventualità di cui si è mai parlato in famiglia” osserva Maayan mentre mi mostra le foto delle sue bambine e torna a ripetere: “Chiediamo al governo israeliano e imploriamo i leader mondiali di riportarli tutti a casa immediatamente. Questa è una missione nazionale e globale che dovrebbe essere la tua prima e unica priorità”.

Intanto da parte delle famiglie degli ostaggi prodeguono le iniziative: gli appelli ai funzionari statunitensi ed europei perché partecipino alle trattative, una petizione alle Nazioni Unite per il rilascio immediato degli ostaggi a Gaza, chiamate ed e-mail disperate alle organizzazioni umanitarie a Gaza. Nulla viene lasciato intentato.

A livello politico il 9 ottobre Israele ha nominato un generale di brigata in pensione, Gal Hirsch, affinché fungesse da coordinatore del governo per gli israeliani rapiti e scomparsi, una posizione che era vacante da un anno. Ma al momento le notizie sul suo operato sono oggetto di critica. Hirsch, infatti, non avrebbe avuto alcun ruolo nei negoziati per il rilascio di due coppie di ostaggi israeliani la scorsa settimana, secondo quanto hanno riferito al Times of Israel due funzionari diplomatici stranieri. Inoltre lo stesso giornale scrive che Mohammad al-Emadi – l’inviato del Qatar a Gaza a cui è stato consegnato anche il portafoglio degli ostaggi – ha cercato di contattare l’omologo israeliano per una settimana ma Hirsch non avrebbe ancora risposto alla sollecitazione.

Alle famiglie degli ostaggi resta solo di non far dimenticare i loro cari, continuando a mostrare le foto e a parlare di loro come fa Maayan, che da madre non si arrende neanche di fronte a una guerra così brutale. Le sue bambine devono tornare a casa.

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