Gaza, come si vive sotto assedio

EPA/HANNIBAL HANSCHKE

Sorprendentemente siamo ancora vivi” inizia così la testimonianza di Bisan Odehis, 24 anni, attivista di ActionAid Palestina, che racconta in un video la sua nuova quotidianità in una Gaza sotto assedio. Odehis mentre parla si trova all’esterno dell’ospedale Al-Shifa che, prima di diventare rifugio per 35mila persone, era uno degli ospedali più importanti e più grandi della Striscia. “Le condizioni qui sono miserabili. Siamo senza acqua, senza cibo, senza igiene. Le persone dormono e giacciono per terra, nei corridoi e ovunque all’interno dell’ospedale” dice la giovane.

Sull’orlo dell’abisso

Dopo l’attacco di Hamas a Israele, Gaza sta vivendo in questi giorni una delle crisi umanitarie peggiori di sempre con bombardamenti, sfollamenti e il taglio alle forniture di elettricità, carburante e cibo. In risposta agli attacchi terroristici del 7 ottobre che hanno ucciso 1.400 persone, Israele ha infatti annunciato di voler “demolire” (per usare le parole del premier Benjamin Netanyahu) Hamas, il movimento di resistenza palestinese che controlla la Striscia di Gaza, e annunciato un “assedio completo”. Si tratta per gli abitanti di Gaza (2,2 milioni di persone) di un nuovo conflitto dopo le 4 guerre in 16 anni da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia nel 2007.

Gemma Cosialls, country manager di ActionAid Spagna a Gerusalemme, ha dichiarato ad Alley Oop che: “La situazione nella Striscia di Gaza è profondamente allarmante. Garantire la sicurezza fisica delle persone e il loro benessere mentale è una sfida insormontabile poiché Gaza continua a subire bombardamenti incessanti e non c’è assolutamente nessun posto dove cercare rifugio”. E aggiunge: “E’ profondamente angosciante sentirsi del tutto impotenti nel sostenere e salvaguardare i nostri colleghi, oltre a non essere in grado di svolgere il nostro lavoro per garantire la loro dignità e protezione durante questi tempi difficili”.

Evacuazione impossibile

Nella notte tra giovedì e venerdì inoltre l’Idf, l’Israel Defense Forcesis, ha chiesto l’evacuazione dei civili palestinesi residenti nel nord della Striscia di Gaza: oltre 1,1 milioni di persone (pari a circa la metà della popolazione)  devono lasciare le loro case senza alcuna garanzia di sicurezza o di ritorno.

EPA/MOHAMMED SABER

Mentre centinaia di migliaia di palestinesi stanno quindi cercando di fuggire al sud, si contano già più di  3.785 palestinesi che hanno perso la vita mentre i feriti sarebbero 12.493, secondo il ministero della Sanità locale. L’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, ha fatto sapere che, non solo nell’enclave mancano i servizi vitali, sanità, acqua e servizi igienico-sanitari, ma anche che, con il numero delle vittime in aumento, i sacchi per i cadaveri iniziano a scarseggiare.

Intanto crescono i timori che il conflitto tra Israele e Hamas deflagri in una guerra regionale più grande: il pericolo è che gli scontri si amplino nella regione in modo incontrollato tanto che il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres domenica ha avvertito che il Medio Oriente è “sull’orlo dell’abisso“. La Cisgiordania è già sottopressione mentre è sempre più tesa la situazione al confine con il Libano, dove proseguono gli scontri tra l’esercito israeliano e il gruppo militare Hezbollah.

Rispettare il diritto internazionale umanitario

A ricevere l’ordine di evacuazione sono stati anche 22 ospedali della Striscia che per molte persone rimangono l’unico luogo sicuro dove rifugiarsi. In aggiunta, il massiccio sfollamento che è iniziato sta causando un significativo aumento dei bisogni umanitari, dato le infrastrutture civili sono state gravemente danneggiate. A Gaza riferisce l’équipe di Azione contro la Fame la popolazione ha iniziato a razionare l’assunzione di cibo a causa della mancanza di accesso sicuro alle forniture e della disponibilità di cibo sul mercato.

Mohammed ABED / AFP

A sostegno dei civili sul campo restano le associazioni umanitarie che prestano soccorso agli sfollati e chiedono con forza che il diritto internazionale umanitario venga rispettato. “Siamo di fronte alla richiesta di un trasferimento forzato di civili, azione considerata crimine di guerra secondo il Diritto Internazionale Umanitario; come tale, l’ordine di evacuazione deve essere revocato“, fa sapere WeWorld. L’evacuazione forzata degli ospedali in particolare, non solo è una violazione del diritto internazionale, ma rappresenta anche una grave offesa all’umanità per ActionAid. “Mentre migliaia di persone fuggono verso sud abbandonando le proprie case e comunità, è preoccupante assistere alle minacce di colpire ospedali e infrastrutture civili, una enorme violazione del diritto internazionale e disprezzo per le vite umane”, dice Riham Jafari, coordinatore Advocacy e Comunicazione per la Palestina.

Dallo staff di WeWorld a Gaza intanto arriva la conferma che non c’è modo di lasciare in sicurezza la Striscia: non ci sono mezzi per trasferire oltre un milione di persone in poche ore, non ci sono abbastanza rifugi e non c’è certezza che i valichi di frontiera siano aperti. “Gaza è costantemente sotto attacco”, fanno sapere. 

È urgente aprire corridoi umanitari sicuri per proteggere la popolazione e le squadre umanitarie ancora presenti nell’area” gli fa eco Azione contro la Fame, che sottolinea inoltre: “qualsiasi attacco deliberato e sproporzionato contro i civili è contrario al diritto umanitario internazionale. E’ necessario consentire l’accesso a cibo, acqua e servizi igienici e sanitari salvavita attraverso i valichi di frontiera e proteggere sia i civili che il personale umanitario da qualsiasi violenza” .

Vivere sotto assedio

Gaza è ormai completamente isolata da cibo, elettricità, acqua e carburante. Le infrastrutture civili sono state danneggiate e 400mila persone vivono senza acqua potabile e servizi igienici. Medici Senza Frontiere ha denunciato che le ambulanze “non possono essere utilizzate perché vengono colpite dagli attacchi aerei”. Lo conferma anche Gemma Cosialls: “gli ospedali e ambulanze sono diventati bersagli di bombardamenti, rendendo quasi impossibile per gli operatori sanitari operare senza esporsi a pericoli estremi“. L’Unrwa, nel suo bollettino del 16 ottobre, ha fatto che sapere che le riserve di carburante in tutti gli ospedali di Gaza avrebbero avuto una durata di soltre 24 ore mentre è stato già chiuso l’ultimo impianto di desalinizzazione dell’acqua di mare funzionante di Gaza.

La situazione all’interno di Gaza è disastrosa, poiché le case e i civili continuano a essere bersaglio indiscriminato di continui bombardamenti“, ha dichiarato Nadim Zaghloul, direttore ActionAid Palestina che si trova in West Bank. “I nostri colleghi sono fuggiti dalle loro case e stanno utilizzando gli ospedali come rifugi. I raid aerei sono continui e intere famiglie hanno perso la vita“.

Dawood NEMER / AFP

Tra loro c’è Samah, operatrice umanitaria che si è rifugiata a casa di sua madre insieme alla figlia di 15 anni e al figlio di 13 anni, che ha raccontato che le bombe cadono pericolosamente vicine a loro giorno e notte. “Non possiamo dormire di notte e non possiamo riposare di giorno. La mia famiglia ha fatto scorta di cibo e acqua prima di mettersi al riparo, con gli scaffali già quasi vuoti. Ma non possono uscire a fare rifornimenti, per paura di essere presi di mira o di essere coinvolti nei bombardamenti. Penso ai miei figli. Penso se domani saremo vivi o no“.

La situazione di donne e bambini

A oggi gli sfollati interni sono già 338mila e preoccupano soprattutto le condizioni delle 50mila donne incinte presenti a Gaza in questo momento e dei neonati senza cure mediche essenziali e senza sicurezza.

Tra coloro che hanno espresso preoccupazione, c’è anche Unicef che ha chiesto l’immediata cessazione delle ostilità per la sicurezza dei bambini che vivono in quei territori e che “hanno bisogno di una soluzione politica duratura alla crisi, in modo che possano crescere in pace e liberi dall’ombra della violenza“. I picchi di violenza hanno causato la morte di 199 bambini e il ferimento di oltre 2.800 negli ultimi tre anni, ha dichiarato Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef.

Civili in prima linea

La crisi umanitaria di Gaza è esacerbata dalle caratteristiche demografiche e geografiche di quel territorio. Attraverso alcuni grafici il Financial Times ha mostrato come Gaza copra un’area pari all’incirca a un quarto di Londra e in alcuni punti sia più affollata di Manhattan. Tra le zone più popolose ci sono le parti a nord, tra cui Gaza City, dove i civili hanno ricevuto l’ordine di andarsene per la propria sicurezza.

Per quanto riguarda la struttura per età della popolazione, i territori palestinesi hanno una delle popolazioni più giovani al mondo e sono uno dei pochi luoghi al di fuori dell’Africa sub-sahariana ad avere un’età media inferiore ai 20 anni. A Gaza su 2,3 milioni di abitanti, i bambini sono quasi quanti gli adulti.

I bambini e gli adolescenti che vivono nei Territori Palestinesi Occupati non hanno mai conosciuto una vita senza il blocco o vissuto un’infanzia normale e migliaia di loro, spiega ActionAid, hanno un disturbo da stress post-traumatico e soffrono di depressione, dolore e paura.

La situazione in Cisgiordania 

Cosialls dà anche un resoconto di ciò che sta avvenendo in Cisgiordania dove già nell’ultimo anno la situazione “era altamente instabile” e dove la gente oggi vive “in un costante stato di tensione, temendo il peggio“. La Cisgiordania, spiega, ha assistito a un aumento significativo della violenza e al generale inasprimento delle misure restrittive imposte da Israele e ora la popolazione teme che la situazione di conflitto possa estendersi

Attualmente la Cisgiordania si trova in uno stato di isolamento “con movimenti interurbani limitati, se non impossibili, e confini praticamente invalicabili verso la Giordania e Gerusalemme. La regione è alle prese con una carenza di carburante, mentre nei negozi locali c’è scarsità di cibo. Un numero considerevole di residenti di Gaza ha cercato rifugio a Ramallah e ci si aspettiamo altri arrivi, con conseguente crescente bisogno umanitario in Cisgiordania” conclude Cosialls.

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