Tende davanti al Campus Einaudi di Torino e fuori dalle università Statale di Milano e La Sapienza di Roma. A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno accademico, torna la protesta degli studenti davanti agli atenei e durerà tutta la settimana. La mobilitazione nazionale dell’Unione degli Universitari parte da Roma ma interesserà 25 città universitarie di tutta Italia, dove sono stati organizzati “tendate”, flash mob, presidi e striscioni.
Al motto di “Vorrei un futuro qui”, gli studenti infatti protestano contro il caro-affitti e chiedono “misure urgenti per poter studiare e lavorare in Italia, senza dover emigrare all’estero”. La vera sfida negli ultimi anni sembra infatti essere diventata la ricerca di una stanza in affitto per studenti, a un buon prezzo e in una buona posizione.
Diritto allo studio, quanto mi costi
In Italia il prezzo medio di una singola è cresciuto dell’11% rispetto al 2021, attestandosi a 439 euro. Una crescita in linea con le città studentesche di altre nazioni. Anche l’International Rent Index di HousingAnywhere segnala infatti che la crescita degli affitti nelle principali città europee è intorno al 10% annuo. Svettano Lisbona (+29,4%), L’Aja (+28,6%) e Berlino (+22,6%).
Milano, dove gli studenti sono al momento 220mila, di cui 70mila fuori sede, è la città più cara per gli universitari con un costo medio delle singole di 626 euro al mese. Secondo l’ultimo rapporto di Immobiliare.it Insights, sono più di 160 euro di differenza rispetto alle altre due città sul podio: Bologna con 467 euro e Roma con 452 euro.
Intanto N26 ha analizzato diversi aspetti della vita e dell’istruzione universitaria in 50 Paesi e realizzato l’Education Price Index: una classifica che analizza la qualità e il costo degli atenei nel mondo. La banca digitale tedesca ha quindi calcolato il tempo necessario per ripagare le spese affrontate durante gli anni universitari, una volta approdati nel mondo del lavoro. Quattro anni in Italia e in Francia, il doppio in Spagna (8 anni). 12 nel Regno Unito, 10 a Singapore e addirittura 19 negli Stati Uniti.
Debiti universitari
Attualmente, tra i Paesi Ocse, circa il 40% delle persone intraprende un percorso universitario dopo aver completato la scuola secondaria. È la percentuale più alta di sempre. Tra Paesi le condizioni degli studenti però cambiano: in alcuni, gli studenti universitari non pagano tasse o pagano solo i costi amministrativi, in altri sono previste tasse universitarie che variano in base alla natura pubblica o privata dell’istituto. La somma del costo della vita, del corso di laurea e di altre spese generali può trasformarsi rapidamente in una cifra importante e, in alcuni casi, influire sulle scelte finanziarie anche degli anni a venire.
Negli Stati Uniti ad esempio il peso finanziario dei debiti contratti per andare all’università si protrae per anni. Il debito medio da prestito studentesco è di 38mila dollari e, secondo il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti, è un problema significativo che riguarda il 37,8% degli americani. In totale, stima la Federal Reserve, l’importo dei prestiti agli studenti in essere è di circa 1.750 miliardi di dollari.
Per conoscere il livello qualitativo, e non solo, dell’offerta formativa, l’Index di N26 in particolare ha preso in considerazione la qualità degli atenei e il costo dell’istruzione – fattore su cui pesa l’attuale livello dell’inflazione – oltre al numero di anni necessari a una persona laureata per ripagare i prestiti contratti per le tasse universitarie.
I corsi di laurea su cui si è basata l’indagine sono Medicina, Infermieristica, Ingegneria civile, Software development e Scienze della formazione. Per valutare le implicazioni finanziarie dello studio di ogni materia, è stato determinato lo stipendio tipico che un neolaureato in ciascuna di queste discipline può aspettarsi di ricevere.
Per quanto riguarda il potere d’acquisto, sono stati presi in considerazione il costo degli alloggi, del cibo e di altre spese in ogni città. Inoltre è stata valutata anche la vivibilità delle città, un aspetto su cui pesano fattori come la sicurezza degli studenti, la qualità delle attrazioni culturali, della vita notturna e il livello di smart mobility. Su questo fronte, sul podio si classificano Praga (Repubblica Ceca), Tokyo (Giappone), Amsterdam (Paesi Bassi).
Il calcolo ponderato di tutti questi fattori fornisce una panoramica dell’istruzione universitaria in Paesi e città di tutto il mondo.
Le migliori università del mondo
Dati i calcoli dell’Education Price Index , le migliori università del mondo si trovano negli Stati Uniti dove, però, i costi dei corsi di studio sono anche i più elevati: la spesa si aggira attorno ai 27mila euro l’anno e si stima che siano necessari ben 19 anni di lavoro per ripagare i prestiti contratti per le tasse universitarie (sotto questo singolo aspetto fa peggio solo la Giamaica dove servono 28 anni per ripagarsi gli studi).
L’Inghilterra segue gli Usa posizionandosi al secondo posto della classifica. Qui la spesa per le tasse universitarie in Inghilterra è di circa 11.500 euro, ben 12 anni di lavoro per compensare le spese affrontate. L’offerta formativa risulta molto valida anche a Singapore, che per questo specifico indicatore si colloca alla pari di Londra, godendo di costi leggermente inferiori (9.112 euro, ripagabili in 10 anni di lavoro).
Bisogna scorrere qualche posizione per trovare i primi Paesi europei. L’Italia in particolare si colloca al 14° posto. Nel nostro Paese per laurearsi si spendono meno di 2.800 all’anno, per cui sono sufficienti 4 anni di lavoro per estinguere il “debito”. All’interno dell’Unione Europea, la qualità delle università italiane è inferiore solo alla Germania, le cui università conquistano il 6° posto della classifica dello studio, vantando, tra l’altro, anche grande convenienza economica con un costo di circa 500 euro, facendo sì che i tedeschi impieghino solo un anno per ripagare le tasse universitarie. In Spagna e Francia, dove laurearsi costa rispettivamente 4.800 euro e 2.700 euro circa (circa 8 e 4 anni di tempo per ripagare gli studi) per ciascun anno accademico, le università si aggiudicano in ordine il 23° e il 15° posto dell’Index.
Chiudono la classifica relativa alla qualità dell’offerta formativa le università dell’Indonesia, della Bulgaria e dell’Argentina, dove per frequentare uno dei corsi di laurea presi in analisi è necessario spendere ogni anno rispettivamente 2.300 euro, 666 euro e 925 euro, costi che vengono ripagati in ordine in 9, 1 e 2 anni di lavoro.
I numeri della formazione in Italia
Ancora oggi, secondo Almalaurea, meno di quattro 19enni su dieci si immatricolano all’università. Secondo i dati provvisori del Miur del giugno scorso – i definitivi saranno rilasciati in autunno – si contavano 329.817 ragazzi e ragazze per la prima volta immatricolati nelle università italiane nell’anno accademico 2022-2023, oltre 7.000 in più rispetto al 2021-2022, in aumento del 2,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Per quanto riguarda la preferenza dei corsi di laurea, circa il 30% delle nuove immatricolazioni si incanala nell’area STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). I nuovi studenti per l’area economica, giuridica e sociale sono il 35% mentre quelli dell’area sanitaria e agro-veterinaria il 17%. L’area artistica e letteraria interessa invece il 18% dei nuovi iscritti. In aggiunta, la quota di laureati che ha maturato un’esperienza di studio all’estero durante il corso di studio nel 2022 è stata del 9%.
In totale, con riferimento ai più recenti dati disponibili relativi all’a.a. 2021/2022, gli studenti iscritti ai corsi universitari sono invece 1.822.141. Tra le quasi 330.000 nuove immatricolazioni si conferma una maggiore presenza femminile: 183.647 nuove iscritte, il 56%, rispetto 146.170 nuovi studenti, il 44%. Una scelta premiante per le studentesse visto che per le laureate più giovani nei Paesi Ocse il gender pay gap è più basso rispetto alla media.
Chi si iscrive non sempre porta a termine gli studi però: in Italia, secondo i dati più recenti disponibili (a.a. 2015/16), la quota di studenti che abbandona i corsi universitari dopo il primo anno si attesta al 12,2% per quelli di primo livello, al 7,5% per i magistrali a ciclo unico e al 5,9% per i magistrali biennali. Ci sono invece buone notizie sul lungo periodo: la popolazione universitaria nel decennio dall’anno accademico 2011-2012 al 2021-2022 è aumentata del 10,3%, nonostante un calo della popolazione fra i 18 e i 24 anni del 5% nello stesso periodo, come stimato dal Rapporto 2023 sul Sistema della formazione superiore e della ricerca di Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario.
N26 non è l’unica app finanziaria che in questo inizio di anno universitario ha fatto i costi con l’istruzione superiore nel Paese. Revolut infatti ha intervistato un campione rappresentativo della popolazione italiana di oltre 1.000 persone da cui è emerso che per il 73% degli intervistati le tasse universitarie nel Paese sono troppo costose. Solo il 3% degli intervistati ritiene che le tasse universitarie siano allineate alla qualità dell’istruzione.
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