Caivano, cosa serve davvero per combattere la devianza minorile

In un noto esperimento del 1997 pubblicato su Nature, Susanne Simard dell’Università della British Columbia in Canada dimostrò la capacità di “mutuo soccorso” tra le piante. Utilizzando anidride carbonica marcata radioattivamente, la studiosa ne seguì il destino in un bosco di abeti e betulle, osservando come, una volta assorbito e trasformato in zuccheri come esito della fotosintesi, la sostanza radioattiva non si distribuisse casualmente tra gli alberi attraverso le radici, ma passasse soprattutto agli alberi che si trovavano in condizioni di difficoltà, perché impossibilitati a svolgere la fotosintesi, o perché più giovani. “Sembra poesia, ma è realtà”, ha avuto modo di commentare il noto botanico Stefano Mancuso, che spesso cita la collega canadese in riferimento al “senso di comunità” delle piante.

Gli studi sul disagio minorile e l’inasprimento delle pene

L’esperimento mi è tornato alla mente mentre leggevo le recenti misure del governo italiano per combattere disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile, il cosiddetto “decreto Caivano”, insieme al dubbio che la comunità umana non abbia la stessa capacità di cura davanti al disagio dei suoi giovani. Dissuasione, ammonimento, repressione, carcere sono le parole chiave. Non si può negare che in un deserto di interesse questo decreto rappresenti un segnale di attenzione; né intendo discutere della necessità di controllo e sanzioni: mi interessa, piuttosto, parlare di misure e prioritànell’interesse dei bambini e degli adolescenti.

Come emerge dagli studi sul disagio minorile, l’inasprimento delle pene è un gesto vigoroso, la cui forza, però, rischia di essere più comunicativa che risolutiva. È noto ormai da decenni che tra pene più severe e diminuzione dei reati non vi è una relazione statisticamente significativa. Non solo la paura delle conseguenze non sembra rappresentare un freno alla devianza, ma alcuni studi internazionali evidenziano come ai fini della riduzione della criminalità nei quartieri delle città, misure contestuali come un aumento dell’illuminazione stradale o una riqualificazione ambientale siano più efficaci dell’inasprimento delle pene. 

Per contrastare i fenomeni della devianza e della violenza giovanile, più vicini di quanto vorremmo credere, di cui le tragiche vicende del parco verde di Caivano o la violenza di Palermo rappresentano solo gli episodi più eclatanti, serve ben altro approccio.

Come nasce la devianza e quali sono gli interventi più efficaci

La devianza, come ci hanno insegnato Gaetano De Leo e Patrizia Patrizi già negli anni 90, è un processo anziché un prodotto. È un percorso attivo che si costruisce nel tempo, che può nascere da deprivazioni, da fattori di ordine familiare e sociale, da specifiche dinamiche interattive e valoriali, ma che si consolida nell’incontro fra situazioni che si presentano e disponibilità del ragazzo ad accoglierle, in virtù dei vantaggi materiali e strumentali che offrono. Per un adolescente il disimpegno sociale può rappresentare un modo per gestire sfide evolutive: nel percorso deviante molti ragazzi trovano un’opportunità per sentirsi forti, per affermare la propria identità e acquisire uno status sociale. La ricerca degli ultimi anni conferma queste teorie e indica tra gli interventi più efficaci quelli rivolti ai ragazzi attraverso le scuole. Alcuni potrebbero lamentare l’elevato costo di questi interventi, ma si moltiplicano gli articoli che dimostrano come il risparmio generato nel lungo periodo sia decisamente superiore all’investimento iniziale.

Utilizzando l’intelligenza delle piante, dovremmo pensare allora a come promuovere contesti e comunità fertili, dispensatrici di responsabilità e di valori, nei quali far crescere le giovani generazioni. Serve una scuola che sia in grado di motivare e di non perdere per strada i suoi studenti: l’obbligo scolastico è poca cosa se la scuola che accoglie questi ragazzi non è in grado di trattenerli. Questi giovani hanno bisogno di rapporti umani, di incontri e connessioni che sottolineino e diffondano il “disvalore” sociale di certi comportamenti – puntando su uno “stigma” sociale diffuso – che li aiutino ad affermarsi senza dover ricorrere all’uso della violenza (alternative thinking promotion), che offrano loro possibilità di scelta e ne sostengano il coraggio di scegliere. I ragazzi vanno accompagnati e sorretti, perché come nel film “A Chiara” di Jonas Carpignano, smarcarsi da certi percorsi può comportare dolore e rimorso.

Le parole chiave per il riscatto e la rinascita

Opportunità relazioni sono le parole chiave. Qualcuno deve poter indicare a questi giovani che un altro mondo è possibile e riconoscere le loro potenzialità, aiutandoli ad uscire dall’inconsapevole ruolo di vittime predestinate. In Esperienze pastorali scrive ancora Don Milani: “Non ho retto i giovani con doni speciali di attrazione. Sono stato solo furbo. Ho saputo toccare il tasto che ha fatto scattare i loro più intimi doni. Io ricchezze non ne avevo. Erano loro che ne traboccavano e nessuno lo sapeva».

Perché non destinare parte dei milioni di euro stanziati dal Governo a progetti di rivitalizzazione delle comunità, partendo da soggetti e organizzazioni che conoscono bene i territori e il loro disagio? Perché non investire da subito in progetti di rigenerazione del tessuto sociale, ricreando le connessioni tra famiglia, scuola, centri sportivi, parrocchie, servizi sociali e di salute mentale, terzo settore, associazioni culturali e istituzioni? Sebbene il decreto Caivano lasci intendere che i minori che hanno commesso crimini troveranno un percorso non solo punitivo, ma anche educativo, di investimenti “educativi” per ora si intravvede solo il pallido ripristino di un centro sportivo. Se le tante ricerche prodotte in questo settore ancora non bastassero, almeno prendiamo esempio dalle piante che, come ci ricorda Mancuso, sono la comunità vivente più evoluta.

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