Quando vivevo in Toscana, andai un paio di volte a trovare le signore ospiti di una Rsa dove lavorava una mia amica come educatrice. Si ingegnava (e s’ingegna attualmente) con grande passione per arricchire le loro giornate, scandite dai pasti principali e da altri (pochi) appuntamenti fissi. Per molte di loro gli affetti erano lontani e così l’arrivo di una bambina – così mi chiamavano – era una novità che poteva arricchire le chiacchiere in poltrona nella sala relax.
Lei mi parlava sempre delle sue adorabili nonnine, delle loro meravigliose storie, ultime testimoni di eventi che leggiamo solo sui libri o di cui possiamo cogliere qualche dettaglio dai documentari trasmessi (raramente) in tv. Dalla resistenza al boom economico, dalle battaglie sindacali alla povertà delle campagne. Per me era come stare sulla giostra. Annotavo avidamente sul mio quaderno fatti, vicende, sempre guidata dalla mia amica che mi suggeriva se era il caso di alzare la voce per farmi sentire o evitare certe domande che potessero suscitare troppa commozione. Tutte erano bellissime e le porto nel cuore.
«Quanti anni hai?» chiedevo.
«Classe….» era la tipica risposta, perché il calcolo degli anni risultava difficile ma l’anno di nascita era scolpito indelebilmente.
Mi capita spesso di pensare a loro. Qualcuna non c’è più. Tra le nonnine c’era, infine, chi non ricordava più nulla perché l’Alzheimer – o altra forma di demenza – aveva azzerato tutto il suo passato e annacquato il presente in un limbo. Le demenze sono fortemente in aumento in tutto il mondo, e anche da noi, ma poco viene fatto per sostenere le famiglie quando arriva questo tzunami.
Parlo per esperienza personale perché venti anni fa arrivò anche nella mia famiglia, colpendo mia nonna. Le famiglie sono sole. Talvolta le persone affette da demenza restano nelle loro abitazioni, con figli che si barcamenano, facendo mille salti mortali per garantire loro assistenza, coadiuvati da caregiver, spesso con un serratissimo turnover e una burocrazia estenuante da affrontare.
L’alternativa è il ricovero in una struttura, se restano soli o non c’è la possibilità di seguirli perché la famiglia è lontana. In ogni caso il contraccolpo è enorme, non solo di tipo economico, ma anche psicologico. Ma quasi mai se ne parla. Anziane e anziani sono una porzione assai fragile del nostro Paese, spesso dimenticata o protagonista di tristissime vicende di cronaca.
Sul sito del ministero della Salute si trovano dati che dovrebbero far riflettere chi ci governa, a tutti i livelli, visto l’aumento considerevole della popolazione anziana in Italia e nel mondo. Si stima, ad esempio, che nel nostro Paese, secondo le proiezioni demografiche, ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani nel 2051, con conseguente incremento delle malattie croniche legate all’età e quindi anche delle demenze. Entro il 2030 si prevede (i dati sono forniti dal Global Action Plan 2017-2025 dell’OMS)
che la demenza potrebbe colpire, in tutto il mondo, 75 milioni di persone e 132 milioni entro il 2050, con circa 10 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 3 secondi).
La previsione dei costi nel mondo potrebbe superare il trilione di dollari all’anno. E sempre sul sito del ministero della Salute è riportata la statistica del numero totale dei pazienti con demenza: oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza.
Dietro quei numeri ci sono storie e persone. C’è la fatica della gestione del quotidiano e un dolore che non si può spiegare. Non dimentichiamolo. Non dimentichiamoli.
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