Donne nella scienza, 3 su 10 lasciano dopo la maternità

A 8 anni di distanza dall’istituzione della Giornata Internazionale per le Donne e le Ragazze nella Scienza voluta dall’ONU per mettere in risalto il loro contributo in questi campi, molto va ancora fatto per incentivare le carriere delle madri lavoratrici nelle STEMM (acronimo di scienza, tecnologia, ingegneria, matematica e medicina) e abbattere gli stereotipi che gravitano attorno al binomio maternità e lavoro.

Per questo motivo, 17 organizzazioni che rappresentano milioni di scienziate in tutto il mondo si sono riunite nel movimento Mothers in Science per chiedere a istituzioni e agenzie di finanziamento di eliminare le barriere sistemiche che le madri devono affrontare nelle scienze.

Mamme STEMM unite

Negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi per attrarre più donne nella ricerca ma la sotto-rappresentazione in alcune discipline e, in particolare, nelle posizioni di leadership è persistente. “Questo è dovuto principalmente a due motivi” racconta ad Alley Oop la professoressa Isabel Torres, co-founder e ceo di Mothers in Science.

In primo luogo, un forte accento è stato posto sull’incoraggiare le ragazze a perseguire percorsi STEMM, senza ‘aggiustare il sistema’ e promuovere il mantenimento della carriera da parte delle donne. In molti campi ci sono tante donne, a volte sono addirittura la maggioranza, che fanno dottorati di ricerca, poi molte però lasciano a causa di pregiudizi sistemici e disuguaglianze legate alla maternità. In secondo luogo, il cambiamento è lento perché ai nostri leader manca la volontà di agire e apportare un vero cambiamento. Questo succede perché i nostri leader non sono donne ed è difficile provare empatia per un gruppo sottorappresentato quando appartieni a quello dominante e non provi sulla tua pelle le sfide della minoranza”.

Ecco allora l’idea di raccogliersi in una coalizione: “sapevo che l’unico modo per convincere i nostri leader ad ascoltarci sarebbe stato unirci e fare sentire le nostre voci. Solo insieme facciamo più rumore”.

La proposta dell’Action Plan for Funding Agencies

Il divario di genere nelle scienze si allarga man mano che le donne fanno carriera e il principale collo di bottiglia coincide con il momento in cui queste costruiscono una famiglia. Le neomamme hanno quasi 3 volte più probabilità di abbandonare la loro carriera rispetto ai neo papà o alle coetanee senza figli. Allo stesso modo, quasi il 40% delle donne medico ridimensiona la propria pratica o lascia il lavoro per motivi familiari.

Il movimento, che è nato con una conferenza inaugurale nel maggio 2021, da poco ha pubblicato un piano d’azione dedicato alle agenzie di finanziamento. Il rapporto, intitolato Action Plan for Funding Agencies, contiene una serie di strategie per promuovere l’inclusione di madri – e in generale caregiver – e colmare il divario di genere nel finanziamento alla ricerca. Queste indicazioni sono una guida per migliorare le pratiche e, più in generale, diffondere una cultura di equità e inclusione nelle scienze. “Il piano nasce con i contributi di lavoratrici da tutto il mondo e diverse organizzazioni l’hanno approvato”, dice Torres, PhD in genetica alla Cambridge University e madre di quattro figli.

Ad aderire al Piano sono enti e associazioni che vanno dal Brasile (con Parent in Science) alla Nuova Zelanda (dove la portavoce è AWIS-NZ– Association for Women in the Sciences), passando per l’Europa con l’EPWS– European Platform of Women Scientists. Il movimento è internazionale perché “le disuguaglianze sistemiche che frenano le accademiche sono universali e solo lavorando insieme avremo la possibilità di spingere il cambiamento del sistema in tutto il mondo”.

Il maternal wall

Oltre il 60% delle donne che studiano o lavorano nel settore afferma che la genitorialità ha avuto un impatto negativo sulla propria carriera. A livello globale il 38% delle #MothersInSTEMM, per usare l’hashtag scelto dal gruppo, ha avuto meno opportunità professionali da quando è diventato genitore. È l’effetto del maternal wall: un insieme di forze silenziose che spingono le madri ai margini. Gli ostacoli riguardano in modo sproporzionato le donne perché tradizionalmente sono loro a prendersi carico maggiormente dei lavori di cura e della casa e questo porta a molte disuguaglianze e pregiudizi.

Come spiega Torres: “la mancanza di assistenza all’infanzia è un problema enorme a livello globale, perché ogni volta che il sostegno fallisce (ad esempio, quando ci sono chiusure scolastiche impreviste) o non è sufficiente (centri che mancano o non sostenibili), è sistematicamente la madre che si prende cura dei figli, a scapito della sua professione. Anche i divari di carriera sono un grosso problema, perché nella maggior parte dei Paesi le madri hanno congedi parentali molto più lunghi dei padri ed è anche più probabile che smettano di lavorare per prendersi cura dei propri figli o per lavorare a tempo parziale”.

Secondo Mothers in Science, il 34% delle accademiche lascia un’occupazione a tempo pieno dopo la maternità. Infine, dice Torres, c’è un altro problema di cui si parla meno ma che è altrettanto importante: i pregiudizi su gravidanza e  maternità. “I nostri dati ci suggeriscono che la maternità è correlata a un declino nella produzione scientifica. Dopo aver avuto figli, alle ricercatrici vengono offerte meno opportunità professionali e vengono percepite dai loro pari come meno competenti. Questo ovviamente influenza il lavoro e l’avanzamento di carriera. Nel nostro piano per le agenzie proponiamo politiche per affrontare tutti questi problemi”.

Le proposte

Il piano comprende sia buone idee che best practice per creare un sistema veramente inclusivo nelle STEMM. Tra le azioni che andrebbero intraprese, secondo Mothers in Science, ci sono ad esempio: fornire un sostegno finanziario che garantisca la continuità della ricerca (ad esempio prevedendo che borse di studio e assegni di ricerca abbiano un congedo parentale retribuito o aiutando finanziariamente ricercatori che rientrano al lavoro dopo un’interruzione prolungata della carriera) o semplificare le richieste di sovvenzione e riformare il processo di valutazione (in questo caso promuovendo attivamente la parità e la diversity nei comitati di selezione o permettendo ai candidati di spiegare le lacune nella carriera e i ritardi nelle pubblicazioni).

Certo non mancano le buone pratiche nel mondo. Mothers in Science riporta ad esempio i casi del National Institutes of Health (Stati Uniti) e del German Research Council che forniscono supplementi alle borse post-dottorato e alle borse di ricerca per coprire le spese per l’assunzione di personale aggiuntivo durante la gravidanza e il congedo parentale della beneficiaria del premio. O ancora viene menzionato l’approccio scelto dalla Commissione Europea che chiede un Gep, un piano per la parità di genere, tra i criteri di ammissione a tutte le istituzioni accademiche e le organizzazioni che fanno richiesta di finanziamenti per la ricerca.

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  • Cristina |

    Le organizzazioni scientifiche che distribuiscono fondi di ricerca dovrebbero tenere in considerazione il tempo impiegato alla cura dei figli, che sia maternità o tempo ridotto quando si valuta la produttività di una ricercatrice negli anni confrontata a quella di un collega uomo o una collega senza figli . Questo è un criterio essenziale per giudicare la qualità di ricerca in base al numero di pubblicazioni, fondi recepiti e collaborazioni nazionali e internazionali oltre alla partecipazione a conferenze.

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