Hanno 4, 6, 10 anni, a volte neanche 12 mesi e su di loro grava già un passato pesante come un macigno. Sono i bambini interrotti, quelli che nella vita si trovano di fronte, fin da piccoli, a uno spartiacque tra prima e dopo il trauma. Ragazzi e ragazze che a volte si sentono diversi, non considerati, non ascoltati e che fanno i conti tutti i giorni col dolore di essere stati traditi, con la solitudine, con l’abbandono. Un dolore che se chiudiamo gli occhi sentiamo anche noi.
Sara non aveva neanche 2 anni quando è stata costretta per la prima volta a vedere il padre che neanche conosceva: per lei è un estraneo, piange, ha paura. Marta e Francesca oggi hanno 11 e 9 anni, avevano 4 anni e 18 mesi quando il padre ha ucciso la madre e poi si è suicidato. “Fino a poco tempo le ragazze sapevano che i genitori erano morti in un incidente. Sono bambine meravigliose, nel loro futuro devono poter fare ciò che vogliono, la rete intorno è fondamentale“, ci racconta nonna Stefania, sempre col sorriso e una forza non comune. Sara, Marta, Francesca (nomi di fantasia) sono bambine che hanno diritto a essere ascoltate, aiutate e ad avere le stesse possibilità dei loro coetanei, nonostante tutto. Ma spesso ciò non avviene per la mancanza di aiuti e di professionisti competenti.
Obbligata a vedere il padre. Sara oggi ha sei anni, quando sua mamma è rimasta incinta il padre voleva convincerla ad abortire. Poi, quando la bimba non aveva neanche un anno, l’uomo ha chiesto il riconoscimento. Dopo 4 anni il tribunale di Venezia, a novembre 2020 in primo grado, ha stabilito il riconoscimento paterno e disposto l’affido della minore ai servizi sociali, con collocazione prevalente presso la madre, ma con tempi quasi paritetici per il padre. Decisione confermata in appello a dicembre 2021. Ciò è avvenuto in base a due consulenze tecniche d’ufficio (ctu): la prima, arrivata quando la piccola aveva 18 mesi, evidenziava un conflitto di lealtà con la mamma; la seconda definiva la donna madre simbiotica, ostativa, con un rapporto fusionale con la bambina che secondo il consulente non aveva diritto a essere ascoltata. Così, nonostante la sentenza non ancora passata in giudicato, Sara è stata obbligata a vedere il padre fin da subito in incontri liberi. Ma lei non voleva, piangeva, si disperava aggrappandosi alla mamma, che ha impugnato la decisione del tribunale. Ora mamma e figlia aspettano il ricorso il ricorso in Cassazione per un vizio di forma: il riconoscimento tardivo. L’articolo 250, III e IV comma, relativo al riconoscimento dei figli, spiega infatti che “il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento”. Nel frattempo Nel frattempo “è iniziato per noi uno stalking giudiziario con decine di denunce che rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza e la serenità della bambina – racconta Frida, la mamma che ha presentato negli anni denunce per violenza e richieste di ammonimento tutte archiviate – Viviamo ogni giorno in una tensione continua, con l’angoscia di poter essere divise. La mia priorità è proteggere mia figlia: lei non ha mai voluto vedere il padre, ha assistito agli episodi di violenza”.
La proposta di legge. Proprio la modifica dell’articolo 250 è tra i nodi salienti della proposta di legge presentata a maggio 2021 ma ancora frema, firmata da 29 deputate (prima firma Laura Boldrini) dal titolo “Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di affidamento e ascolto del minore e di protezione da abusi e atti di violenza domestica”. La proposta prevede che, nell’ipotesi di rifiuto del consenso da parte del genitore al riconoscimento successivo del figlio da parte dell’altro genitore, “la sentenza che tiene luogo del consenso non possa essere pronunciata ove contrasti con l’interesse del minore”. Il giudice, inoltre, deve valutare “l’eventuale condotta pregiudizievole al figlio posta in essere, anche antecedentemente alla domanda, dal genitore che intende riconoscerlo”. Altro punto, contenuto nell’articolo 2, è l’esclusione tra i motivi che comportano la decadenza dalla responsabilità genitoriale di “sindromi prive delle necessarie evidenze scientifiche, anche ove risultanti da patologie o disturbi comportamentali scientificamente rilevabili”, la cosiddetta Pas, l’alienazione parentale. Viene poi introdotto (articolo 3) un nuovo comma che dispone l’obbligo di ascolto del minore maggiore di anni dieci (e anche di età inferiore, se capace di discernimento) in apposita udienza e, a pena di nullità, dal giudice o da un suo delegato. Ma “la chiave” è l’articolo 4 che modifica l’articolo 337 ter, relativo ai provvedimenti riguardo ai figli, ci spiega l’avvocato Girolamo Andrea Coffari. Nella norma si specifica che, nell’adottare i provvedimenti riguardanti ai figli, il giudice deve procedere con “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” ma “tenendo altresì conto, nel seguente ordine, della volontà del minore ascoltato, della continuità affettiva e della stabilità”. “Si tratta di una rivoluzione copernicana rispetto alla bigenitorialità stabilita dalla legge 54 del 2006. Le regole diventano la volontà del minore, la continuità affettiva e la stabilità. Ci sono bambini di due anni che vengono strappati dalle madri: sono gravi traumi che si portano dietro per tutta la vita”, sottolinea Coffari.
Alla proposta di legge si è aggiunta l’ultima relazione della Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio sulla “Vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”. L’indagine mostra come in oltre un terzo dei procedimenti civili di separazione giudiziale con affidamento di figli minori e dei procedimenti minorili sulla responsabilità genitoriale siano presenti allegazioni di violenza, che però in tribunale non vengono prese in considerazione. Così nella maggioranza dei casi i bambini finiscono in affido condiviso anche al padre violento. “Una relazione che solleva problemi enormi a cui bisogna dare risposte e che parla esplicitamente di violenza istituzionale, dovuta alla scarsa preparazione degli operatori coinvolti: magistrati, avvocati, forze dell’ordine, operatori sociali”, aggiunge l’avvocato. La relazione evidenzia, ad esempio, che nei procedimenti civili bambine e bambini soggetti dell’affido nel 69,2% dei casi non sono stati ascoltati e quando l’ascolto avviene (30,8% dei casi), esso viene delegato nell’85,4% dei casi al tecnico nominato e ai servizi sociali. Solo nel 7,8% dei casi il giudice ha parlato con i bambini.
Il diritto a essere felice. “Voglio tornare a essere felice” è lo slogan del progetto Airone a favore degli orfani di crimini domestici – gli orfani di femminicidio – e delle famiglie affidatarie, presentato a Roma il 25 maggio 2022. Un progetto legato al bando “A braccia aperte” dell’impresa sociale Con i Bambini che coinvolge tutta Italia, con quattro partenariati divisi per zone: nord est (Orphan of Femicide Invisible Victim), nord ovest (S.O.S. – Sostegno Orfani Speciali), Centro Italia (Airone) sud (RESPIRO – Rete di Sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli orfani speciali). Capofila per il Centro Italia è l’associazione per la tutela dei bambini Il Giardino segreto, per un totale di 30 enti, tra cui Università La Sapienza di Roma, Lumsa, Università degli studi de l’Aquila, procura della Repubblica presso il tribunale di Tivoli, Unicef e Fnas – Fondazione nazionale assistenti sociali. L’obiettivo è offrire un supporto a 360 gradi agli orfani e alle loro famiglie, partendo da un monitoraggio, visto che in Italia non esiste una stima ufficiale, creando strumenti operativi e costruendo una rete di professionisti che sostenga i ragazzi e le ragazze nella loro crescita. Quattro i pilastri su cui si basa il progetto: assistenza ai bambini e alle famiglie, prevenzione e formazione. “Sette anni fa quando mia figlia è stata uccisa mi sono sentita avvolta da una cupola nera”, sottolinea Stefania, nonna affidataria. Stefania, poco dopo il femminicidio, ha ricevuto una telefonata da amici della figlia: da allora quei ragazzi sono sempre accanto a lei e alle sue nipoti. “Dico sempre che nella tragedia sono stata fortunata – spiega – ho avuto persone che mi hanno aiutata: gli amici, le maestre, la regione Lazio, il Giardino Segreto”. “Il nostro scopo è restituire ai bambini e alle bambine orfane le stesse opportunità di tutti gli altri offrendo loro, oltre ad assistenza psicologica, anche la possibilità di seguire il proprio percorso di studi e coltivare passioni come la musica, la danza o il teatro”, spiega Patrizia Schiarizza, avvocata e presidente de Il Giardino Segreto. “Costruire una rete intorno a questi bimbi è fondamentale, per me è un conforto. Le mie bambine devono poter seguire i loro sogni: e se vorranno fare le ballerine potranno farlo”, conclude Stefania.
***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com