La pandemia da Covid-19 ha costituito un banco di prova per la distribuzione fra uomini e donne delle responsabilità di cura domestica e familiare. L’esito è stato “un vero e proprio ‘fallimento redistributivo’ del tempo di lavoro e di cura tra uomini e donne a seguito dello shock pandemico”. E’ quello che emerge dai dati della Relazione sul Bilancio di genere, riferita all’anno 2020: “Le donne dedicano un numero maggiore di ore al lavoro domestico e familiare rispetto agli uomini sia prima dell’emergenza Covid-19 che durante la prima e la seconda ondata della pandemia, senza alcun apprezzabile cambiamento nei tradizionali ruoli di genere all’interno delle coppie”. Lo segnala la sottosegretaria al Mef, Cecilia Guerra, nella premessa del documento che sarà presentato nei prossimi giorni alle commissioni Bilancio del Senato e della Camera.
Guerra riferisce che l’impatto della crisi generata dalla pandemia del Covid-19, “diversamente rispetto alle crisi precedenti, è stato particolarmente negativo sulle donne e si è tradotto non solo in una significativa perdita di posti di lavoro in settori dominati dalla presenza femminile, ma anche in condizioni di lavoro peggiori, in una accresciuta fragilità economica e in un conflitto vita-lavoro ancora più aspro del passato, che hanno ampliato i divari di genere pre-esistenti in ambiti chiave del benessere”. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, i numeri che emergono dal Bilancio di genere sono impietosi: il tasso di occupazione femminile nel 2020 è sceso al 49% (quando per la prima volta nel 2019 aveva superato il 50%) mentre il divario rispetto a quello maschile è salito a 18,2 punti percentuali (contro il 17,9% del 2019). Si è registrato un impatto maggiore dove già erano presenti criticità: le giovani (33,5%), le donne residenti nel Mezzogiorno (32,5%) e le donne con figli (il tasso di occupazione delle madri è il 73,4% di quello delle donne senza figli con un peggioramento di quasi l’1% rispetto al 2019). Le ‘Neet’ che non studiano e non sono in cerca di un lavoro sono cresciute dal 27,9% del 2019 al 29,3% del 2020 contro una media Ue del 18 per cento. Le donne ‘costrette’ al part-time involontario sono cresciute dal 60,8% al 61,2% delle occupate part-time contro una media Ue del 21,6 per cento (le donne inoltre sono 1.866.000 rispetto a 849.000 uomini).
La situazione del mercato del lavoro deve essere letta, per essere compresa, alla luce del ‘fallimento’ del riequilibrio fra uomini e donne delle responsabilità di cura domestica e familiare: i carichi di cura addizionali, rileva Guerra, “si sono tradotti in un sovraccarico di lavoro complessivo per le donne che hanno potuto svolgere il lavoro retribuito da remoto (in uno spazio-tempo coincidente con quello del lavoro non retribuito di cura) oppure in una riduzione (e nei casi più gravi nell’abbandono) del lavoro retribuito per altre donne”. La conclusione è che “sarà difficile conseguire risultati soddisfacenti in termini di uguaglianza di genere sul mercato del lavoro finché il tema della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare non riguarderà alla pari uomini e donne. Solo l’adozione di una prospettiva di condivisone delle responsabilità relative ad entrambe le sfere della vita, che implica la messa in discussione della visione tradizionale per cui uomini e donne sono naturalmente deputati ad attività diverse, potrà produrre cambiamenti”.
Altro punto critico peggiorato dalla pandemia nel 2020 è quello della violenza di genere e non solo in Italia tanto che le Nazioni Unite hanno parlato di ‘pandemia ombra’. La sottosegretaria al Mef rileva inoltre che i dati della Relazione, “confermano che il nostro Paese appare ad oggi ancora molto in ritardo nel contrastare il fenomeno inaccettabile ma largamente diffuso della cosiddetta ‘vittimizzazione secondaria’” a causa sia degli “stereotipi” che della “inadeguata formazione dei diversi attori coinvolti nel percorso di fuoriuscita dalla violenza (forze dell’ordine, operatori sanitari, giudici, assistenti sociali)”.
Guardando al futuro, la sfida è partita dalla definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che punta ad un approccio sistemico di ‘mainstreaming di genere’ che si basa sulla trasversalità della dimensione di genere rispetto ai diversi ambiti di intervento. Un approccio che “richiede una valutazione dell’impatto di genere in tutte le fasi (programmazione, attuazione, monitoraggio, valutazione ex-post), per orientare le risorse” e che può produrre un “cambiamento radicale” nell’organizzazione della società, poiché parte dal “riconoscimento dell’uguaglianza di genere quale elemento strutturale per il benessere collettivo”. L’obiettivo è quello di superare da politiche di genere frammentate e occasionali che rappresentano le donne “come una categoria svantaggiata, quando invece le donne rappresentano più della metà della popolazione”. In questo ambito, il Bilancio di genere che compie una classificazione delle spese differenziandole in ‘neutrali’, ‘sensibili’ e ‘dirette a ridurre le diseguaglianze di genere’ e utilizza 128 indicatori, costituisce “uno strumento di conoscenza e di partenza di fondamentale importanza” ha detto Guerra. Un suo ‘consolidamento’ potrà avvenire, grazie al Pnrr, dalla legge di Bilancio 2024 che dovrà presentare una classificazione delle voci secondo i criteri alla base degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’Agenda 2030, relativamente al bilancio di genere e al bilancio ambientale.
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