Angelica, Circe, Medea: riscrivere la femminilità e il potere

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Le storie sono tutte uguali. Era il 1928 quando il linguista russo Vladimir Propp pubblicò un saggio, divenuto un classico, in cui spiegava che nelle fiabe e nelle storie popolari c’è uno schema che si ripete. Identificò tutte le sequenze di questo schema, la loro funzione nello sviluppo della narrazione e le tipologie di personaggi che compaiono nelle storie. Ad esempio, il re e la principessa: il primo ha la funzione di legittimare l’eroe e le sue qualità positive, la seconda ha la funzione di premio, e può infatti essere sostituita da qualunque altra cosa costituisca un premio per l’eroe. Nel caso di un’eroina femminile, il suo premio consiste generalmente nel matrimonio e non viene raggiunto tramite missioni eroiche, ma solo tramite azioni che ne dimostrano le qualità femminili positive. 

Uscendo dal terreno della fiaba e guardando alla letteratura classica, le cose non sono molto diverse. Gli schemi narrativi si fanno più complessi, ma i personaggi femminili sono costruiti quasi sempre attorno ad archetipi che non lasciano loro molta libertà di azione: la Moglie, la Madre, la Fanciulla, la Maliarda, la Megera e poche altre variazioni sui temi. La bellezza (o bruttezza) della donna è il primo metro di misura che ne determina la funzionalità all’interno della storia, e molto spesso alla bellezza si associa anche un valore morale o delle qualità spirituali. Si pensi alla Beatrice cantata da Dante, e d’altro canto si pensi a Elena di Troia: la bellezza da sola non determina le qualità morali, ma tutto dipende da come la donna si rapporta al vero protagonista, che è sempre l’uomo. 

Ciò non toglie che nella storia della letteratura ci siano personaggi femminili di grande impatto, indimenticabili, che hanno contribuito con prepotenza ad arricchire gli archetipi, talvolta originando narrazioni alternative basate sulle loro gesta, quelli che oggi chiameremmo spin-off. È ancora Elena a fungere da esempio, quella dell’omonima opera di Euripide, personaggio profondamente diverso dalla canonica femme fatale: donna fedele, vittima dei giochi degli dei, infelice per la lontananza del marito e sofferente per la fama immeritata di adultera. Una Elena che in qualche modo si redime dall’immagine con cui l’aveva dipinta lo stesso Euripide nelle Troiane. La sua bellezza diventa innesco di varie sofferenze, in un modo che, facendo combaciare i personaggi l’uno con l’altro, col senno di poi ci offre una visione sfaccettata e complessa, assai contemporanea, dell’animo femminile e delle offese che subisce.

Naturalmente è nella modernità che troviamo operazioni di riscrittura consapevole dei personaggi archetipici femminili, opere letterarie in cui talvolta avviene un vero e proprio rovesciamento dei ruoli. Grazie a queste opere, non solo il femminile mostra una tridimensionalità che era stata appiattita dalla funzione narrativa, ma è in grado anche di svestire i panni delle funzioni tradizionali e scegliere liberamente narrazioni totalmente inedite. 

Come l’Angelica di Vittorio Macioce, edizioni Salani. “Dice Angelica” è il titolo scelto dall’autore, ed è lei infatti la voce narrante che racconta dal proprio punto di vista le gesta e le vicende dei paladini dei poemi cavallereschi. Una voce restituita, a un personaggio che muto ha attraversato secoli e autori (Boiardo nel Quattrocento e Ariosto nel Cinquecento) rispecchiando una femminilità tanto idealizzata quanto irreale. Basti pensare che, pur essendo la figlia del sovrano del Catai, la Cina Settentrionale di Marco Polo, viene descritta come una bellezza esotica, sì, dagli occhi obliqui ma dai capelli rigorosamente biondi, come voleva la tradizione della bellezza canonica del tempo. E tra le prime cose che Macioce le fa dire, c’è questa frase: “Diranno che odoro di spezie e di sale. È sudore, ma ai maschi piace”. Ed è così, con sfrontatezza e pragmatismo, che Angelica ci restituisce la sua storia, quella di una ragazza che cerca il proprio posto nel mondo, scontrandosi con lo sguardo altrui, con le sue illusioni e fanatismi, cosciente di essere lei stessa in quello sguardo l’illusione più grande di tutte: l’amore. “Sei tu allora la famosa Angelica?” le chiedono. “Eccomi. Ci sono. Che roba è la fama? Non sono sicura che sia quello che fai, forse è quello che dicono di te”.

“Roba”, sì, usa questa parola Macioce. E ne usa altre ugualmente spiazzanti, per catapultare nel contemporaneo questa ragazza e mostrarci quanto simile sia ai nostri adolescenti (e alla nostra adolescenza stessa).

Non sarà un caso che le riscritture dei personaggi classici abbiano tanto successo proprio tra le giovani generazioni, come è accaduto ai libri di Madeline Miller, autrice di due veri e propri casi editoriali. “La canzone di Achille” e “Circe” hanno scalato le classifiche nel 2020-21, e non si tratta di novità: il primo è stato pubblicato nel 2011, mentre il secondo nel 2018. Il grande successo si è generato proprio grazie a un tam tam social, nato su TikTok, che ha fatto schizzare le vendite negli Stati Uniti per poi diventare virale fino in Italia.

“Circe”, edito da Marsilio nella traduzione di Marinella Magrì, racconta la storia della prima strega della letteratura in una chiave che diremmo femminista, puntando molto sull’immedesimazione del lettore e sfruttando il potere di una prosa guizzante ed emotiva. La figlia di Elios e della ninfa Perseide si racconta come una fanciulla intrappolata tra due mondi, incapace di identificarsi nell’uno come nell’altro in quanto non abbastanza bella e potente per essere una divinità, né abbastanza fragile e inconsapevole per essere un’umana. Tuttavia preferisce la compagnia dei mortali, si interessa al destino dello zio il cui nome sente sussurrare tra le mura di casa, Prometeo, e nella parabola di autodeterminazione che racconta c’è la volontà di sottrarsi alla cultura dominante, costruendo il proprio destino e affermando la propria indipendenza.

Una voce forte, ma che, va detto, resta una voce con un che di incompiuto, adolescenziale. Ben diversa da quella di un’altra Circe, incontrata tra le pagine di “Medea – Voci”, di Christa Wolf, edizioni e/o e traduzione di Anita Raja. Un sofisticato capolavoro di riscrittura del 1996, che non si limita alla fiction. Se infatti la Medea che conosciamo è quella che ci è stata consegnata da Euripide, ovvero la femmina irrazionale che uccide i propri figli come gesto di vendetta contro il potere razionale del maschio, il complesso lavoro di Christa Wolf si struttura come una vera e propria indagine che si riallaccia alle fonti antecedenti l’opera di Euripide. La Medea a cui dà la voce è una donna forte e libera, una “maga”, dicono, incapaci di vedere la conoscenza di cui è depositaria, un “sapere del corpo e della terra”. La sua guerra contro il potere non riguarda questioni di matrimonio e gelosia, ma la scoperta dei terribili crimini su cui esso si fonda. È questo disvelamento che Medea deve pagare, e pagherà con la solitudine: esiliata da Corinto e dalla Colchide, senza radici e legami, mentre i suoi figli vengono lapidati. Un potere che non dialoga, non risponde, colpisce e spezza, mentre donne come Medea, e come la stessa Christa Wolf, scrittrice della Repubblica Democratica Tedesca, lo sfidano con i loro interrogativi. 

Tra le “voci” che compongono questa immensa riscrittura, si erge isolata e pungente quella di Circe: “Sai che cosa cercano, Medea? mi chiese. Cercano una donna che dica loro che non hanno colpe; […] Che la scia di sangue che si lasciano dietro fa parte della mascolinità così come gli dèi l’hanno determinata. Grandi bambini terribili, Medea”.

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Titolo: “Dice Angelica”
Autore: Vittorio Macioce
Editore: Salani, 2021
Prezzo: 18€

Titolo: “Circe”
Autore: Madeline Miller
Traduzione: Marinella Magrì
Editore: Marsilio, 2021
Prezzo: 12€

Titolo: “Medea – Voci”
Autore: Christa Wolf
Traduzione: Anita Raja
Editore: e/o, 2019 (ultima edizione)
Prezzo: 11,90€

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