A distanza di una settimana l’una dall’altra, due giornate internazionali puntano i riflettori sul legame fra due temi: la disabilità e la violenza contro le donne. Il 24 novembre l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti ha portato il tema in Senato con un evento voluto dalla senatrice Urania Papatheu e supportato dalla ministra per le disabilità, Erika Stefani, la ministra per le Pari Opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, la senatrice Valeria Valente e l’europarlamentare Patrizia Toia.
La realtà raccontata nel corso dell’evento, disegna un contesto in cui sono sempre più numerosi gli abusi tra le donne con disabilità, che d’altro canto spesso non hanno piena consapevolezza degli abusi che subiscono e per questo molte volte non denunciano. Inoltre non possono contare su servizi di sostegno adeguati e sono spesso vittime di discriminazioni e abusi multipli, soprattutto di carattere psicologico e relazionale.
La vicepresidente di Uici Linda Legname spiega: “È necessario distinguere tra forme di violenza fisica e quelle più sottili, relazionali e psicologiche, che sono quelle che le donne disabili subiscono maggiormente senza averne consapevolezza. Dato che il caregiver si occupa di assisterle, gli si perdona quasi tutto, si ritengono legittimi gesti che non lo sono, e questo accade soprattutto in famiglia. Sono violenze che hanno a che fare ad esempio con il controllo del denaro, delle relazioni affettive, dei percorsi di formazione. Ma possono riguardare anche l’ambito lavorativo e la salute. Basti pensare che anche per una visita dal ginecologo viene violata la riservatezza e l’intimità”.
Si tratta naturalmente di un fenomeno complesso da mappare e monitorare, per la mancanza di dati statistici disaggregati. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (2014), quando il 31,5% delle donne senza limitazioni aveva subìto una forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, la percentuale saliva al 36,6% per le donne con disabilità, mentre il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio per le donne con disabilità (10%) rispetto a quelle senza limitazioni (4.7%). Tutto questo a fronte di un 31,4% di donne con disabilità che ha subito violenza psicologica dal partner attuale, rispetto al 25% delle donne normodotate. Si può facilmente immaginare che nel corso della pandemia i dati possano essere anche peggiorati, come lo sono i dati di violenza per le donne in generale. La verità è che il quadro abbozza un fenomeno che è ancora quasi del tutto sommerso.
“È necessario proteggere la donna informandola – continua Legname – mettendo a disposizione e predisponendo strumenti fruibili e accessibili. Si pensi ad esempio che una persona sorda non può accedere al numero antiviolenza 1522. Inoltre occorre una maggiore formazione degli operatori dei centri di assistenza, così come del personale di polizia, delle strutture sanitarie e della magistratura. Uici ha lanciato un appello alle istituzioni il 25 novembre al Senato: usate le associazioni di categoria per raggiungere la formazione necessaria, avere indicazioni e linee guida. Facendo rete si può fare meglio”.
Una risposta potrebbe essere dunque sollecitare uno sforzo corale delle istituzioni e dell’opinione pubblica affinché si prenda coscienza di questa situazione, si aiutino le donne con disabilità a rompere il muro del silenzio, si attuino misure adeguate per eliminare questo lato oscuro e invisibile della violenza contro le donne. A Catania, ad esempio, è stato inaugurato lo sportello rosa cogestito dal Centro Antiviolenza Thamaia e da Uici. Un luogo dove possono confluire storie come quella della giovane donna non vedente rifiutata dalla famiglia quando ha manifestato il proprio orientamento sessuale. O come la donna diventata cieca a causa di una storia di violenza coniugale, che è comunque una storia di redenzione perché dopo gli spari ricevuti la donna ha potuto ricostruirsi una vita, totalmente nuova e inaspettata. È fondamentale, dunque, promuovere e rafforzare i percorsi di presa in carico e protezione, per una riconquista dell’autostima e del senso di indipendenza delle donne con disabilità, in modo da consentire loro di sottrarsi alle situazioni potenzialmente o effettivamente violente.
“Finché si continuerà a negare identità e valore alla sfera umana, affettiva, sessuale e sociale delle donne disabili – conclude Legname – considerando la disabilità solo in quanto tale, la violenza contro queste donne resterà più facile da agire, sempre più difficile da far emergere. Importanti sono anche le campagne di sensibilizzazione, a partire dalla famiglia e dalla scuola, per combattere quelle forme di violenza, anche invisibili, contro le donne con disabilità, che minano nel profondo la costruzione del loro progetto di vita e la loro felicità”.
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