“Succede ogni giorno”, cantava una canzone di Carly Simon: “due innamorati con le migliori intenzioni di restare decidono di separarsi“. Misureremo più avanti il bilancio complessivo dei danni causati dai lock down ai rapporti di coppia, ma sappiamo già che, secondo l’Associazione nazionale divorzisti italiani, nel 2020 c’è stato un aumento delle separazioni del 60% rispetto al 2019. Le ragioni? Nel 40% infedeltà coniugale, anche virtuale, nel 30% violenza familiare e nel 30% altre cause. Più che ragioni, però, queste sembrano essere conseguenze: le conseguenze di un contratto scritto male e che appare molto difficile da riformare, i cui costi sono altissimi e drammaticamente in aumento.
Secondo l’Istat, nel 2019 sono stati celebrati in Italia 184.088 matrimoni, i divorzi sono stati 85.349 e le separazioni 97.474: la somma di divorzi e separazioni viene quindi superata dal numero di matrimoni di sole 1.265 unità. Oltre 182.000 coppie nel 2019 hanno deciso di interrompere il contratto matrimoniale ed è stata, dal punto di vista legale, la rottura di un accordo che era stato pensato e firmato per durare per sempre. Perché certo, in Italia è possibile divorziare dal 1970, ma ancora oggi gli articoli del Codice Civile che regolano questo accordo trascurano un dettaglio: renderne esplicita la durata. Che così rimane sottintesa e culturalmente fissata nella totalità di una (sempre più lunga) vita.
Ti sposi per sempre. Ti amo oggi e sono pronta a costruire qualcosa con te e a prendermene la responsabilità, ma al tempo stesso devo saperti dire oggi che la donna che sarò tra venti anni amerà ancora l’uomo che tu sarai. Ecco che cosa chiede il contratto del matrimonio, rendendo la possibilità di separarsi una deviazione dalla norma: l’espressione di un fallimento del rapporto di coppia. Chi si separa “non ce l’ha fatta”, pensiamo tutti. Di conseguenza si cercano le colpe, oppure non si affrontano i problemi finché non diventano tradimenti o violenze – non solo fisiche: anche economiche, emotive, psicologiche.
E’ inimmaginabile la quantità di astio che un contratto nato per amore può generare. “Gli amanti a un certo punto cambiano e trasformano l’amore in odio”, canta ancora Carly Simon: sembra una fine inevitabile, perché si sta rompendo un contratto che non aveva scadenze, e la rottura sa così di tradimento. Ma è davvero impossibile evitare tutto questo dolore? Andiamo a rivedere che cosa sancisce l’articolo 143 del Codice Civile sui Diritti e doveri reciproci dei coniugi:
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
“Fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione” reciproche sono quindi richieste a chi firma questo contratto e sembrano conseguenze facili dell’amore, quando c’è. Diventano invece condizioni capestro, delle vere e proprie trappole quotidiane, quando l’amore finisce come sempre fa: a poco a poco, mentre e perché cambiano le persone o cambia il mondo, in una vita che si fa sempre più lunga e articolata.
Allora perché non ricominciare proprio dalla durata? Perché non liberare le coppie dall’ossessione del “per sempre” e reinserire periodicamente, nel matrimonio, la possibilità di scegliere? C’è già una data di inizio: perché non inserire anche, sin da subito, una data di termine? Cinque anni, un anno, dieci anni… la durata rende visibile il tempo perché mentalmente lo misuriamo all’indietro. Le scadenze sono proprio questo: simboli, luoghi di arrivo e di ripartenza. Una data di fine contratto inviterebbe a non dare nulla per scontato: a farsi domande più spesso, a investire tempo e attenzione nelle scelte che arriveranno. Se il contratto prevede un esaurimento naturale, poi, il senso di colpa e di fallimento per la sua fine vengono meno: le persone possono comunque non separarsi (firmando un nuovo contratto), ma diventa una scelta consapevole e ragionata, mai scontata.
Succede ogni giorno che l’amore finisca, eppure siamo tutti testimoni della fatica che si fa ad accettare la fine di un matrimonio. Il numero di matrimoni diminuisce ogni anno, ma questa non può e non deve essere l’unica strada. Anche l’istituzione del matrimonio come molte altre si gioverebbe oggi di una revisione alla luce della società in cui viviamo, della realtà delle nostre vite: lo meriterebbe perché scegliere di amare una persona è un atto di coraggio e di costruzione, oltre che di amore, e il contratto che lo sancisce potrebbe proteggerlo, non solo regolarlo.
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