Vittime femminicidio, serve una rete per restituire il futuro agli orfani

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Ci sono stati momenti difficili in cui ho rischiato di crollare, ma ho trovato dentro di me una grandissima forza. Ho sempre pensato che quando la vita ti pone davanti a traumi così grandi, bisogna trasformare il dolore in qualcosa di positivo. Sono io che ho deciso come affrontare la situazione, ogni giorno ho cercato di tirare fuori il meglio. Mi sono laureata da poco in ostetricia per essere vicina alle donne, nella gravidanza e non solo”. Ida ha 23 anni, ne aveva 12 quando sua mamma è stata uccisa. Lei e suo fratello hanno vissuto con la zia – la sorella di sua mamma -, lo zio e i due cugini. “Sono stati la nostra forza, hanno fatto il possibile per farci sentire figli a tutti gli effetti” ci racconta. Le ferite dunque restano ma il futuro è tutto da scrivere: “Nonostante l’enorme tragedia, possiamo vivere la nostra vita”, è il messaggio di Ida per gli altri bambini e ragazzi orfani di femminicidio.

Proprio per costruire un futuro per i suoi nipoti, Renato – dopo 11 processi – paga ancora la parte del mutuo dell’assassino di sua figlia e non ha ancora ricevuto alcun aiuto dallo stato. “Il mutuo sulla casa familiare scade nel 2033, avrò 90 anni. L’assassino è in prigione, non paga e io non posso permettere che la casa di mia figlia e dei miei nipoti vada all’asta. La situazione è orribile. Vorrei lasciar perdere ma non posso, devo lottare per i miei nipoti, per dare loro un futuro, anche se complicato”, spiega Renato. Anche Giuseppina cresce i suoi nipoti, sua figlia è stata uccisa tre anni fa, due giorni prima di Natale. I bambini si sono trasferiti subito da lei, hanno cambiato città e regione. “La paura è di non poterli aiutare, di non riuscire a stare loro vicino per molto tempo – dice la nonna – Io mi sento vecchia e distrutta dal dolore: non ho voglia di fare nulla, non ho ambizioni, vivo alla giornata e questo mi spaventa perché ci vogliono energie per seguire i ragazzi, sono ancora piccoli”.

Anche Matteo e la sorellina sono piccoli, non hanno più la mamma dal 2005, erano presenti quando loro padre l’ha uccisa. Era sera e da quella volta, ogni notte, hanno gli incubi. Pietro ha paura che il padre ammazzi anche lui, ha assistito all’omicidio. Il nonno lo porta davanti al carcere per fargli vedere che non può uscire. Ivan non vuole diventare come “quello là” – spiega – ma non parla mai di quello che è successo. Luca ha un diario con le foto della mamma, lo porta a scuola di nascosto dai nonni perché non vuole farli soffrire.

Nella vita dei bambini orfani di femminicidio – figli della vittima ma anche dell’assassino – c’è uno spartiacque tra il prima e il dopo. “C’è chi scivola in una psicosi creando un mondo parallelo, chi va in depressione per un lutto non elaborato, chi mette in atto un controllo continuo, un disturbo ossessivo, chi matura il senso di colpa per non essere riuscito a proteggere la mamma”, spiega la psicologa Emanuela Iacchia, che segue quotidianamente bimbi e famiglie. Per questo “serve un sistema immediato di presa in cura, servono persone competenti che seguano la famiglia nel tempo: la paura dei nonni è non riuscire ad accompagnare i nipoti a una meta. Alcuni nonni, zii, affidatari lamentano di essere passati da più psicologi e da persone inesperte”, continua Iacchia. “Abbiamo casi di orfani e famiglie affidatarie totalmente abbandonati a loro stessi”, precisa Patrizia Schiarizza, presidente de Il Giardino Segreto. “E’ necessario creare una rete di persone competenti sul territorio, dall’assistente sociale allo psicologo all’educatore – continua Schiarizza – Gli orfani devono essere integrati nella rete sociale, i servizi sociali spesso intervengono a macchia di leopardo, non sempre in maniera tempestiva, anche le scuole a volte sono totalmente impreparate. Il bambino vive in una comunità che deve essere preparata e pronta ad accoglierlo e integrarlo”. Chi ce la fa è perché “entra in un circolo virtuoso, il percorso è lungo, è importante che chi si prende cura della situazione sia un riferimento continuativo. Serve una presa in cura dei bambini nell’immediato , il giorno stesso, la notte ecc e una presa in cura nel tempo, perché altrimenti ciclicamente i problemi tornano”, conclude Iacchia.

Nulla deve essere dunque lasciato al caso, servono professionisti formati e impegno da parte delle istituzioni. L’Italia si è mossa ma non basta. C’è una legge – la 4 del 2018 – che prevede tutele come il gratuito patrocinio e l’assistenza medica. Ci sono dei fondi, operativi da luglio 2020, con aiuti mensili, borse di studio, avviamento al lavoro ma le risorse arrivano a fatica, i procedimenti sono lenti e difficoltosi e al momento pochissime famiglie ne hanno beneficiato. Questi ragazzi – di cui in Italia non esiste neanche una stima – hanno bisogno di iniziare a costruire il loro futuro: hanno aspettato anche troppo.

Il reportage completo si può ascoltare nel podcast STORIE di chi RESTA, terza puntata del progetto DONNE IN ROSSO di Radio24 contro la violenza sulle donne a questo link

La prossima puntata, STORIE DI CHI RINASCE il 2 maggio alle 8.15 su Radio24

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  • Ezio |

    In tema di orfani che hanno perso i genitori, sarebbe opportuno non restringere la cerchia alle sole vittime di violenza, perché statisticamente ci sono tante altre tragedie famigliari da supportare, come gli incidenti stradali, gli abbandoni delle mamme che rifiutano la maternità ed abbandonano i figli al loro anonimo destino, i figli della prostituzione abbandonati a se stessi, le vittime di fenomeni naturali come terremoti ed innondazioni, i figli dell’ignoranza ed incapienza genitoriale, ecc…ecc..
    Tutte situazioni che la sensibilità di donne/mamme dovrebbero sentirne la necessità d’interventi efficaci ed immediati, come e quanto le vittime di violenza di cui vi occupate con preziosa solerzia apparentemente esclusiva.

  • gloria |

    Tenendo conto che in questi casi di primissima importanza resta la prevenzione e l’immediato ascolto e concreto aiuto non solo delle forze dell’ordine che in taluni casi superficializzano le situazioni complesse cui vengono a conoscenza, bisogna far in modo che l’iter legislativo sia dei fondi che dell’assistenza concreta alla famiglia affidatoria diventi celere nonchè il patrocinio gratuito, le figure specialistiche devono essere scelte con cura, oltre le competenze professionali devono presentare umiltà disponibilità , la competenza del cuore e tanta solidarietà

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