Uscire dalla violenza domestica, dal silenzio alla fuga durante il lockdown

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Ha chiamato il centro antiviolenza dopo aver visto dei servizi in tv, ha cercato il nome su internet. Le operatrici l’hanno affiancata, durante il lockdown c’è stata l’escalation della violenza: da psicologica ed economica a violenza fisica. Ha temuto per la propria vita e per quella dei suoi figli. Così a un certo punto è fuggita di casa. E’ la storia di una donna che per anni ha vissuto con un uomo – il suo ex marito – che la controllava, la sminuiva davanti ai suoi figli, le chiedeva conto di tutto, anche della spesa al supermercato.

All’inizio non capivo che era vera violenza, facevo resistenza – ci racconta – Poi con il lockdown sono iniziate le aggressioni fisiche. Ero già in contatto con il centro antiviolenza che mi seguiva. Così a un certo punto ho telefonato e ho detto: basta, vengo da voi, cercatemi un posto, non posso mettere a rischio la mia vita e quella dei miei figli”.

Quali sono state le persone chiave nel suo percorso?
Nel mio percorso ho avuto tanta solidarietà e appoggio dal centro antiviolenza. Le operatrici mi hanno aiutata a rimettermi in piedi sotto ogni aspetto, dalla consapevolezza della violenza alle spese per l’affitto. Le assistenti sociali sono state attente soprattutto nei confronti dei miei figli, gli avvocati, le forze dell’ordine mi hanno creduta subito. Tutte persone formate e specializzate.

Nel suo caso dunque la rete sul territorio ha funzionato?
Sì, anche se anni fa ho avuto una brutta esperienza che mi ha segnata. Proprio all’inizio del mio percorso, ho cercato di rivolgermi ad altre situazioni. Ho trovato un’operatrice che mi ha chiesto se mio marito beveva o si drogava. Io ho risposto di no, allora mi ha tranquillizzata, dicendo che tutto si sarebbe risolto. Non ha capito che ciò che stavo subendo era già violenza, era già un reato. Questa storia mi ha condizionata molto, ho iniziato a pensare di essere esagerata. Solo quando mi sono rivolta al centro antiviolenza le operatrici hanno colto il mio grido di aiuto e lo hanno decodificato. Così dopo uno svilimento durato anni ho preso coscienza delle mie capacità. L’insicurezza resta, ma ora so da dove viene e so affrontarla.

Che consiglio può dare alle altre donne?
Io mi rendo conto che è difficile ma quando si inizia a sentire che c’è un controllo, quando ci si sente debole, bisogna subito chiamare il 1522 o direttamente il centro, anche solo per un consiglio. Ognuno ha i suoi tempi ma intanto la mano viene tesa e piano piano si affronta tutto. Se me ne fossi resa conto anni prima, tutto questo forse non sarebbe successo.

Le donne hanno paura di ritorsioni, di non essere credute, hanno paura che i figli vengano portati via”, sottolinea l’operatrice che ha seguito il caso. “Fare quella telefonata è fondamentale e può cambiare il destino di una donna“, spiega Elisa Ercoli, presidente Differenza Donna Ong. “Noi assistiamo circa 2500 donne l’anno: tutte hanno già provato a parlare con soggetti della rete istituzionale e non hanno avuto risposte immediate. La maggior parte delle donne in uscita dalla violenza ha bisogno della mediazione dei centri, perché deve rivedere la storia di violenza e comprendere quanto abbia significato cancellazione di diritti e libertà“. E’ molto difficile per una donna scrivere una denuncia querela in un pomeriggio se deve parlare di anni di maltrattamenti. Due in particolare gli ostacoli: le donne provano ad accennare alle violenze ma la risposta è che non ci sono ancora gli elementi. Oppure quando c’è già una situazione di reato, le forze dell’ordine non rappresentano i percorsi alternativi, a partire dal centro antiviolenza più vicino.

Le uniche armi sono formare le persone a contatto con donne e bimbi vittime di violenza e fare rete: tra centri, scuole, assistenti sociali, forze dell’ordine, giudici, avvocati. Casi virtuosi, tra gli altri, Roma, Milano, Tivoli e la procura di Benevento. Quest’ultima ha uno spazio di ascolto dove le donne sono sempre affiancate dalle operatrici dei centri, oltre a una sezione specializzata e alla formazione sul territorio, sottolinea il Procuratore di Benevento, Aldo Policastro.

La violenza non è un destino. Ogni donna può riprendere in mano la storia della propria vita e riscriverla libera dalla violenza e in piena autodeterminazione se a sostenerla e accompagnarla ci sono altre donne”, le parole di Lella Palladino, attivista dei centri antiviolenza, che da anni si occupa delle donne e dei loro figli.

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Il reportage completo si può ascoltare nel podcast STORIE di chi FUGGE, prima puntata del progetto DONNE IN ROSSO di Radio24 contro la violenza sulle donne a questo link.