Il 2021 di Londra: donne, Covid e Brexit

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A poco più di un giorno dalla fine dell’anno, il governo inglese annuncia che le scuole secondarie non apriranno come previsto il 4 gennaio. Si posticipa la data di almeno 2 settimane, con possibili ulteriori ritardi nelle zone a rischio più alto. Il 2021, quindi, inizia con un tema che già conosciamo (nel Regno Unito e altrove): la decisione, inevitabile eppure presa all’ultimo minuto, di chiudere le scuole si traduce in un nuovo carico sulle spalle delle donne.

Visti i numeri e la variante più contagiosa del virus – più di 50.000 casi al giorno, che continuano a salire – la decisione, appunto, era prevedibile. Nonostante ciò, l’annuncio del 30 gennaio lascia un solo giorno lavorativo per confermare chi avrà accesso alla scuola (ci sono eccezioni per i figli di chi svolge un lavoro di ‘prima linea’, come il personale medico). Un solo giorno per trovare servizi di childcare (ancora concessi) e per coreografare il tutto con gli impegni di lavoro, come fa notare Sophie Walker, la co-fondatrice di The Activate Collective, un’organizzazione che finanzia donne coinvolte nelle comunità locali perché si facciano strada in politica e migliorino la rappresentanza di genere a livello nazionale.

La retromarcia del 1 gennaio, quando il governo annuncia che anche tutte le scuole primarie di Londra rimarranno chiuse all’inizio del quadrimestre, confonde ancora di più la situazione. In una serie di messaggi su Twitter, Walker puntualizza una realtà che ci è nota: le donne hanno subito le conseguenze economiche della pandemia in maniera sproporzionata rispetto agli uomini. Secondo la società di consulenza McKinsey, globalmente, le donne rischiano di perdere il lavoro a causa di Covid-19 a un tasso 1.8 volte più alto rispetto agli uomini.

Nel Regno Unito, uno studio delle thinktank Compass e Autonomy e dell’organizzazione 4 Day Week ha preso atto di come la cura dei figli sia ricaduta sulle spalle delle donne durante la pandemia causando, anche, un più grave deterioramento della loro salute mentale: 86% delle madri che lavoravano a tempo pieno seguendo anche i figli durante il primo lockdown hanno ammesso di aver sofferto in questo senso.

E sono sempre le donne a trovarsi sproporzionatamente in prima linea nell’affrontare l’emergenza. Tre quarti degli insegnanti e il 77% del personale della sanità pubblica britannica sono donne – parte dei servizi cruciali che hanno tenuto in piedi questo paese durante la pandemia è, letteralmente, nelle mani delle donne.

Brexit

thomas-charters-fs1ehbtxzjc-unsplashL’anno nuovo inizia anche all’insegna di cambiamenti che inevitabilmente segneranno Londra. Dal primo gennaio, Brexit ha tagliato i ponti tra il Regno Unito e l’Unione Europea, o quasi. Una prima conseguenza tangibile, per le donne, è stata l’eliminazione della tampon tax. Il Regno Unito non è più vincolato dalle direttive Ue sull’Iva che impongono un’imposta minima del 5% su tutti i prodotti sanitari e quindi ha potuto eliminarla del tutto dal 1 gennaio. Cosa che per altro da tempo viene chiesta anche in Italia con iniziative parlamentari trasversali.

Ma guardando più ad ampio raggio, tra le varie conseguenze dell’accordo, incluso commercio e indirettamente finanza, c’è anche la cancellazione della possibilità di vivere e lavorare in UK per i cittadini UE senza bisogno di alcun visto. L’attrattiva di Londra si indebolisce per studenti, professionisti o semplicemente per chi cerca fortuna o un’avventura – e poi rimane, contribuendo alla ricchezza economica e culturale di questo Paese.

Il programma di scambio universitario Erasmus non includerà più il Regno Unito, e il costo di una laurea o dottorato di ricerca per studenti europei si alzerà considerevolmente. Finora i cittadini UE godevano dello ‘home fee status’, pagando le stesse tariffe dei cittadini britannici; a partire dai corsi che iniziano a settembre 2021, questo vantaggio verrà eliminato. Per esempio, per un italiano, una laurea alla London School of Economics costerà oltre 22.430 sterline e non più  9.250 sterline come ai cittadini inglesi.

L’incertezza sulla possibilità di rimanere e lavorare dopo gli studi ha già dissuaso menti brillanti dall’attraversare la manica. Un amico a capo di un dipartimento di ricerca al noto Imperial College di Londra ha perso un dottorando di cui era entusiasta per via di Brexit – il giovane continuerà i suoi studi nella nativa Germania. Le cose sarebbero andate diversamente anche per me, più di 20 anni fa, quando arrivai a Londra e i colloqui, per quanto duri, non erano appesantiti dalla necessità di ottenere un permesso di lavoro.

Nuovi ponti 

Per certi versi, il primo gennaio 2021 marca un nuovo inizio (per quanto più incerto) qui a Londra. Per altri, è semplicemente un altro giorno nel calendario di un’emergenza che continua ad allungarsi. Ma abbiamo tutti bisogno di un po’ di ottimismo. Il mio augurio, quindi, è che nonostante le difficoltà, spesso tragiche, della pandemia, si continui a rafforzare lo spirito di comunità che tanti qui a Londra, una metropoli di più di 9 milioni di persone, hanno riscoperto durante i mesi di lockdown.

È lo stesso spirito di comunità che anima l’organizzazione di Walker, che, assieme ad altre, sostiene voci femminili per migliorare il processo democratico e contribuire a creare una società più equa. Nonostante il Regno Unito lasci formalmente una comunità più grande, quella europea, mi auguro che i giovani (e i meno giovani) italiani continuino a considerare questo Paese come una destinazione interessante. Londra non sarebbe la stessa senza di loro – e se vi posso dare qualche dritta, sapere dove trovarmi, qui su Alley Oop.

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  • Silvia Pavoni |

    E al termine del primo giorno di scuola (oggi), il governo annuncia che tutte le scuole del Regno Unito – primarie e secondarie – verranno chiuse fino a metà febbraio. Lockdown nazionale fino ad allora.

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