Cara Alley,
l’altro giorno, su Facebook, sono incappato in un post (a tema scolastico) interessante.
A scriverlo? Lorella Carimali, milanesissima insegnante di matematica allo Scientifico Vittorio Veneto. La professoressa Carimali, che ha fatto parte della task force della ministra Azzolina per la ripresa delle scuole, in risposta all’insanabile diatriba tra scuolapertisti e scuolachiudisti, ha infatti affermato: “Basta! Silenzio, per favore! Tutto è diventato contrapposizione per salvare noi stessi. Anche sulla scuola, una battaglia: scuole aperte o chiuse senza chiedersi che cosa voglia dire tenere aperta o chiusa una comunità”.
Ancorché sia uno studente, ho già letto i libri della professoressa Carimali. L’ultimo, L’equazione della libertà (Rizzoli), pubblicato poche settimane fa, mi ha aperto un mondo. “Resilienza (nel mondo della scuola, ndr) è restare su quanto di positivo c’è in quanto stiamo vivendo”. Che siano tempi difficili, per studenti e docenti, è chiaro a tutti. Addirittura, c’è chi, nel CTS, teme che la “didattica a distanza possa provocare problematiche psicologiche irreversibili”. Il Dott. Agostino Miozzo accennava alla “sindrome della campana”. La discussione pro-Dad e anti-Dad resta inutile: viviamo in emergenza sanitaria e dobbiamo attenerci alle disposizioni. Però, in questa situazione critica, qualcosa di positivo è davvero accaduto: la scuola si è svecchiata, si è messa in gioco. E sarebbe un peccato dimenticare, in un’epoca post-Covid, tutti i vantaggi che la tecnologia ha offerto alla scienza didattica.
La resilienza in senso stretto è ormai un concetto superato, del resto. Un evento di pochi mesi fa in Triennale, a Milano, a tema “piante e umani”, mi ha aperto un mondo: oggi il must, negli ambienti di psicologia, non è la resilienza propriamente detta, bensì la resilienza trasformativa, ossia la capacità di reggere gli urti senza deformarsi ma senza neanche voler tornare noncurantemente alla normalità. È su questo perno che s’incentra la mia visione di scuola: la pandemia ha gettato le basi al futuro dell’insegnamento. Ora tocca a noi pensarne gli sviluppi.
Durante il mese di novembre, ho fatto più di quanto potessi mai immaginare: oltre alle canoniche lezioni scolastiche, ho assistito a decine di webinar di scienze e persino ad alcune lectio magistralis di logica. Emblematico è stato quel giorno nel quale, dopo essermi iscritto a una open lesson della San Raffaele, ho spostato il cursore per iscrivermi a una lezione della Cambridge University. La tecnologia non solo ha abbattuto le distanze fisiche (Cambridge e Milano non sono a un tiro di schioppo), ma anche quelle sociali e culturali. Oggi, al netto delle inclinazioni personali, basta una connessione al web, un po’ di buona volontà e tanta autodeterminazione per “gestire” il proprio percorso di studi.
In altri tempi, vale la pena ricordarlo, “i salotti buoni della cultura” non sarebbero stati così aperti, accessibili. La mia preoccupazione, che apprendo esser condivisa da migliaia di italiani, è questa: che il diritto allo studio, democraticizzato dalla pandemia, possa diventare nuovamente appannaggio delle élite al termine della crisi sanitaria. Per 2 italiani su 3, rivela infatti un sondaggio Ipsos pubblicato a maggio, resta il timore che, a pandemia conclusa, si debba tornare alla normalità come se niente fosse successo.
Dimenticando così i vantaggi delle videolezioni. I soldi risparmiati dai fuorisede e dai pendolari. La comodità di avere strumenti didattici innovativi a portata di mano.
Chi vive la scuola lo sa: è da anni che le Indicazioni ministeriali suggeriscono forme di didattica collaborativa, di flipped-classroom, di scuola delle competenze. Certo, si dirà, la scuola ha dormito il sonno di Epimenide, in questi decenni: tra tagli, accorpamenti, riforme, si è fatto ciò che si è potuto. Chi mai si sarebbe aspettato questo cigno nero?.
Ma ora. Ora non ci si dimentichi che il futuro dell’istruzione corre con la tecnologia. Certo, conoscere professori e colleghi de visu resta una grande esperienza umana. Ma la resilienza trasformativa, capace di pensare a soluzioni blended, è l’unica chiave di salvezza.
Alessio Cozzolino