L’odissea di una madre e la paura di perdere sua figlia

tam-wai-yedn7rgsecy-unsplash

All’indomani della ricorrenza del 25 novembre per il contrasto alla violenza contro le donne ho ricevuto la sentenza di un procedimento civile per il riconoscimento di mia figlia che andava avanti dall’inizio del 2017. Sono rimasta incinta a luglio del 2015 in seguito a un temporaneo riavvicinamento al mio ex, con il quale avevo vissuto una storia a dir poco “turbolenta”. Cerca da subito di convincermi che la cosa migliore è abortire, pretende che sia io addirittura a desiderarlo. Mia figlia nasce ad aprile 2016. Il mio ex si fa vivo tramite messaggio a giugno e manifesta l’intenzione di riconoscere la bambina. Inizia una vera e propria persecuzione fatta di telefonate, messaggi, appostamenti, minacce. Il mio avvocato si attiva immediatamente e ci costituiamo in giudizio opponendoci alla richiesta di riconoscimento dimostrando, attraverso numerosi documenti, che non corrisponde all’interesse della bambina essere riconosciuta dal mio ex. A febbraio del 2017 faccio richiesta in questura di ammonimento per i comportamenti persecutori subiti, ma non lo ottengo perché tali comportamenti (compreso appostamenti di ore sotto casa, messaggi in cui mi si augura di morire) rientrano, secondo chi valuta la richiesta, in una normale conflittualità. A settembre dello stesso anno il giudice dispone una prima consulenza tecnica d’ufficio in cui chiede al perito di valutare la capacità genitoriale di entrambi i genitori. Invece di indagare l’idoneità di chi chiedeva di poter fare il genitore vengo posta sullo stesso piano di chi pretendeva l’aborto e vengo messa sotto la lente di ingrandimento dello psichiatra, noto per i fatti di Cittadella.

Naturalmente, fin dal primo incontro vengo trattata come una madre “ostativa”, mentre basta un’ora scarsa al perito per capire che il mio ex è pronto a incontrare per la prima volta la bambina. Quello stesso pomeriggio sono costretta a portare mia figlia nello studio del perito per conoscere il “padre”. La bambina è disperata, interviene l’avvocato e proviamo senza successo a far annullare la Ctu. L’ira del mio ex esplode in diversi momenti contro di me e contro la bambina. Testimoni le bibliotecarie di due strutture diverse e altri presenti. Tutto naturalmente registrato. In agosto 2018 torniamo in udienza e il giudice stabilisce per la bambina incontri liberi a casa del “padre” due volte la settimana senza che vi sia stata la visita domiciliare né l’osservazione del rapporto padre‐figlia. Fortunatamente la prima perizia conclusasi con un giudizio di inidoneità nei miei confronti e una diagnosi di conflitto di fedeltà in capo a una bambina di allora soli due anni, viene annullata per gravi vizi e il giudice dispone una nuova consulenza. Questa volta nel quesito il giudice chiede al Ctu, non solo di valutare le capacità genitoriali di entrambi i genitori, ma di suggerire una modalità di affido. Una causa di riconoscimento si trasforma così, prima ancora dell’emissione di un decreto sullo status, in una causa di affido. Da subito il consulente dimostra di non voler prendere in considerazione i riferiti di violenza. Questa volta alla bambina, di allora appena tre anni, viene diagnosticato il conflitto di lealtà!  A peggiorare la situazione arriva il Covid 19. Chiedo al giudice di sospendere le visite fintanto che dura l’emergenza sanitaria. Il mio ex comincia a mandarmi la polizia anche due volte a settimana. Denuncio anche per stalking. Sono costretti a sporgere denuncia anche i miei familiari per appostamenti sotto casa loro.

La mia storia è purtroppo l’emblema di un sistema patriarcale in virtù del quale un uomo può in qualsiasi momento decidere di riconoscere un figlio che non aveva voluto e di cui si è disinteressato completamente, ma soprattutto è l’emblema di una bigenitorialità che viene imposta a forza senza la minima considerazione del contesto familiare e delle situazioni di violenza. Ho denunciato e continuo a denunciare la violenza subita da parte delle Istituzioni che avrebbero dovuto proteggere me e la mia bambina.

La sentenza, pubblicata in questi giorni  afferma che corrisponde all’interesse di mia figlia essere riconosciuta dal mio ex, in assenza di accertamento biologico, ma in virtù di una valutazione di idoneità di un Ctu. Il tribunale affida una bambina splendida che ha sempre vissuto serenamente con la sua mamma ai Servizi Sociali e dispone che debba vedere il “padre”. Si tratta di una sentenza punitiva che mi condanna addirittura al pagamento delle spese processuali e al risarcimento danni nei confronti del mio ex per un importo di circa 40000 euro. Vengo condannata per lite temeraria a causa di un procedimento che non ho richiesto io e nel quale mi sono semplicemente difesa, com’era mio diritto. Quanto eventualmente a me dovuto di mancato mantenimento e spese varie a decorrere dalla nascita della bambina al Tribunale evidentemente non interessa. Ma l’aspetto più preoccupante è che l’aver chiesto aiuto alla stampa e alle Istituzioni  e l’aver sottoposto il mio caso alla Commissione femminicidio, che se ne è fatta carico chiedendo al Tribunale l’invio del fascicolo processuale, abbia fatto ritenere al Collegio giudicante che “il contegno processuale ed extra-processuale della resistente abbia travalicato i limiti dell’esercizio del diritto di difesa”. Come può una donna difendersi e difendere i propri figli se rischia addirittura una condanna di questo tipo?

  • Debora T. |

    Tra le varie, lei scrive che il consulente non ha preso in considerazione “i riferiti di violenza”, ovverosia quanto lei ha meramente raccontato. Meno male, direi! I consulenti seri prendono in grande considerazione i REFERTI di violenza e non generiche accuse che chiunque potrebbe fare verso un’altra persona. Il padre, che evidentemente ha speso fior di quattrini dall’avvocato per anni al fine di riuscire a conoscere la figlia, riconoscerla legalmente (che significa anche doverle versare un mantenimento) e un domani poterle anche lasciare un’eredità, beh! A me pare proprio una gran brava persona, al contrario di come vorrebbe farlo apparire. Un padre menefreghista sarebbe fuggito in Brasile con una bella ventenne, altro che perdere tempo e danaro in cause giudiziarie.

  • Anna |

    Dunque Lei ha fatto di tutto e di più per impedire, in ogni modo, persino che padre e figlia si conoscessero. Inquietante ove racconta che la bimbetta (di circa 2-3 anni) in compagnia della mamma nello studio del ctu, per vedere il suo papà per la prima volta, “è disperata”: quantomeno bizzarro che una bimba sia disperata semplicemente nel vedere una persona che non conosce (deve avergliene parlato proprio bene). Comodo sostenere che un padre volesse un aborto, senza però portare uno straccio di prova. Fortunatamente tanti Giudici ormai hanno capito l’andazzo di certune.

  • al |

    molto categorica nel non lasciare neanche una possibilità di fare il padre…..

  • ezio |

    Per Holly
    Mi piacerebbe conoscere quale sarebbe per lei il bene più importante del diritto di un figlio minore ad avere un papà ed una mamma, possibilmente entrambi accudenti e collaborativi.

  • ezio |

    Così tanto per far riflettere chi scrive, perché termina con una domanda e come farebbe un vero amico/a e non solo unirsi al coro di parte lesa come leggo…
    La sequela di fallimenti che ha collezionato in varie sedi di supporto e di giudizio, i riferimenti agli stereotipi di prassi, come il sistema patriarcale vigente, la bigenitorialità come un male, opponibile al diritto dei figli ad avere due genitori adeguati, i diritti e solo i diritti senza un minimo accenno a qualche dovere verso l’altro e soprattutto verso la figlia, generata senza partecipazione e consenso dell’altro ed anche la violenza subita dalle istituzioni che avrebbero dovuto proteggerla, ecc..ecc….
    Onestamente e molto sinceramente, penso che lei sia su una strada sbagliata, sicuramente anche e soprattutto mal consigliata legalmente fin dal principio, ma anche mal supportata dai suoi famigliari e migliori amici, ma soprattutto dal suo mancato giudizio sull’opportunità di generare con un compagno con il quale aveva avuto una relazione “turbolenta”, poi riprovato senza prudenza ne protezioni, così tanto per vedere l’effetto che fa’ a risbagliare, per poi rifiutare anche il diritto di riconoscimento paterno per responsabilizzare un papà e permettergli di crescere come genitore ed uomo, sono pretese senza un minimo di autocritica, che putroppo l’hanno portata dove tutta da sola e mal consigliata è arrivata al totale fallimento che ci ha raccontato.
    Si fermi, rifletta, cambi anche il legale che la segue chiedendo altri pareri a confronto, ma soprattutto apra la coscienza di madre verso una bambina che ha tutto il diritto di avere un papà ravveduto, accudente ed affettuoso, indipendentemente dal suo personale giudizio di ex compagna sbagliata per un uomo sbagliato, che ha liberamente scelto ed altrettanto liberamente riscelto per generare la vostra figlia, senza ora mettere in atto quella che un altro sterotipo definisce alienazione parentale, che le potrà costare la perdita dell’affidamento materno.

  Post Precedente
Post Successivo