Immaginiamo di essere bambini, ragazzi, adolescenti. Ci addormentiamo in una sera di inizio marzo, dopo aver festeggiato il carnevale. Ci risvegliamo in una fredda mattina che il mondo conosciuto, non esiste più. Le scuole sono chiuse, i parchi, i giardini inaccessibili, gli amici lontani. Le tv rimandano scene mai viste prima, entrano negli ospedali e le immagini sono tristi, inimmaginabili. Le città sono vuote, si esce solo per fare la spesa, per procurarsi beni necessari, i genitori non lavorano, o lavorano da casa. I nonni si possono vedere solo tramite video chiamata, così come i compagni di scuola.
Inizia una didattica a distanza che prende tutti in contropiede. I compiti bisogna comprimerli in file e inviarli via mail. Tutto stravolto. Niente abbracci, niente incontri, niente baci, niente amici.
Dopo una primavera, che doveva irrompere nelle nostre vite con i suoi colori e i suoi profumi che, invece, ci ha rinchiusi nelle nostre paure, è arrivata un’estate che ha ridestato la speranza. I bambini e le bambine hanno vissuto nella quasi normalità, ma con un sottofondo di ansia per il futuro. La scuola ricomincerà? Sarà tutto come prima?
Dopo un periodo di tregua, eccoci, nuovamente, dentro ad un uragano. Il virus è tornato. E ancora, niente sport, niente feste, niente amici, niente incontri, niente abbracci. La parola d’ordine è attenzione.
Tutti a meravigliarci per il comportamento dei bambini. Esemplari, obbedienti, quasi rassegnati, sin dal primo momento. A marzo, quando gli è stata strappata la primavera. A settembre, quando gli è stato chiesto di entrare a scuola in fila indiana, di non avere un compagno di banco, di non toccare il superfluo, di disinfettarsi continuamente le mani, di indossare le mascherine, anche all’aperto. Bambini, bambine, ragazzi e ragazze resilienti e coraggiosi. Ma il loro mondo interno, come è cambiato? Cosa pensano? Come vivono questi giorni?
Abbiamo chiesto loro dei sacrifici che vanno decisamente oltre la loro comprensione, ascoltano le nostre parole, assorbono la nostra rabbia, la nostra frustrazione, per una situazione difficilissima e attualmente fuori controllo. Le difficoltà economiche delle famiglie si sommano alla preoccupazione per la salute. Il futuro non esiste, si cerca di vivere giorno dopo giorno, senza fare programmi, senza sognare troppo, senza illudersi più di tanto. Il nostro modo di vivere ha un profilo basso. Casa, lavoro e ancora casa.
I bambini e le bambine stanno vivendo la nostra ansia, le nostre incertezze, la nostra perdita di fiducia.
“Mamma, vorrei tornare indietro nel tempo, a quando si stava bene”. Con questa frase mi ha colpito come un pugno, Alessandro, mio figlio tredicenne. L’ha pronunciata così, nel mezzo di una giornata come le altre, mentre faceva i compiti, mentre io ero distratta da mille cose. Mi sono fermata. L’ho guardato e l’ho abbracciato. E’ vero, niente abbracci. Ma oggi no, oggi questa frase è un grido che non può passare inascoltato. Quando stavamo bene. Nella fanciullezza e durante l’adolescenza, lo sguardo deve essere rivolto al futuro, non al passato. Se si rimpiange ciò che era, vuol dire che un pezzo di infanzia è andato irrimediabilmente perso. Allora bisogna rendersi conto del peso che portiamo addosso, un fardello che vale più del nostro lavoro, della nostra salute. E’ il futuro dei nostri figli, dei nostri alunni che noi dobbiamo proteggere.
Siamo noi adulti, genitori ed educatori ad essere i custodi del loro futuro e abbiamo un compito arduo. Fare di tutto affinché riescano a vederlo, o almeno a intravederlo tra le maglie delle nostre proteste, delle nostre ansie, delle nostre recriminazioni, delle nostre perdite. Dobbiamo parlare, non nascondere. Spiegare, affrontare l’attuale, renderli partecipi e consapevoli, senza farli cadere nei nostri drammi personali, per quanto grandi essi siano. I bambini, i ragazzi e le ragazze si nutrono della speranza, devono vivere, giocare, sporcarsi, innamorarsi. Questo accadrà ancora, succederà. Glielo dobbiamo ripetere come un mantra. Passerà, ancora. Ce la possiamo fare, ancora.
Occorre essere presenti e solidi perché mai, come in questo momento, i più piccoli, hanno bisogno di una guida sicura, stabile, che dica loro che è un momento difficile, che passerà. Abbiamo il dovere di ascoltarli perché i nostri figli non sono così forti e resilienti come immaginiamo. Sono solo molto abili ad adattarsi. Questo non vuol dire che dentro non soffrano, che non coltivino pensieri negativi, che non abbiano bisogno di essere tenuti per mano e accompagnati oltre il guado. Abbiamo tutti questo compito difficile ma possibile. Fare in modo che tutti i protagonisti del futuro non pensino “al tempo in cui si stava bene”, ma possano concentrarsi con fiducia sul loro percorso, che sarà unico e irripetibile.
Custodiamo il futuro, abbiamo tutti il diritto di ritrovare la serenità. Ma i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze, di più. Loro hanno il diritto alla speranza.