Quante cose non facciamo più nella stagione del “post-covid” – o meglio, del durante covid? E che effetto ci fa non farle più, considerando che, per come è fatto il cervello umano, la mancanza di una chiara data di scadenza ci fa sentire come se “non le faremo MAI più”?
Apparentemente le abbiamo lasciate andare senza notarlo: sono abitudini che compongono sia la macro che la microeconomia dei nostri comportamenti e pensieri, ma a ben guardare arrivano anche a influenzare la nostra visione del futuro e la nostra capacità di progettarlo. Ecco quindi almeno tre categorie di cose che “non facciamo più”.
1) Bighellonare entrando e uscendo dai negozi, immaginare un viaggio, fare acquisti impulsivi, entrare al volo in un bar per un caffè, programmare un cinema in modo spensierato, mettersi il rossetto: questo insieme di cose che abbiamo smesso in parte o del tutto di fare rientra nella categoria “leggerezze necessarie” ed è uno dei motori del consumismo, che conta sul fatto che ogni tanto ci venga voglia di premiarci e che per farlo ci basti una passeggiata, una serata, una voglia che diventa un progetto. Spendiamo meno, desideriamo meno, ci svaghiamo meno: abbiamo meno possibilità di scelta tra le cose da fare e quindi anche meno stress da “voglio e devo fare tutto”, obbediamo meno agli inviti a consumare per esistere, molti nemmeno li vediamo più, abbiamo quindi più tempo “libero” e forse meno cose da buttare.
2) Le riunioni da remoto iniziano con una puntualità che avremmo attribuito solo agli Svizzeri, quasi nessuno “perde più tempo” o ha più voglia di rimandare a domani quel che può fare (online) oggi, non si cercano scuse e si va all’essenziale, come richiede uno stato di emergenza, in cui ciò che importa è la sostanza e lamentarsi sarebbe inadeguato ai tempi che corrono. Questo insieme di comportamenti e attitudini mentali fa parte del gruppo “dedicare tempo a ciò che è inutile”, di cui noi Italiani siamo considerati esperti mondiali.
E invece eccoci, siamo diventati un popolo efficiente, maestri nel fare le file, maglia rosa nel rispetto delle regole anti-Covid: diamo punti persino ai Francesi e agli Inglesi!
All’altro estremo dell’inutile ci sono però la capacità e la voglia di lasciarsi ispirare dall’inaspettato, sfruttare i lunghi tragitti in metropolitana per leggere un libro, sentirsi liberi di programmare esperienze senza confini, sognare ad occhi aperti: tutte attività non immediatamente utili, che però nutrono la nostra meravigliosa capacità di immaginazione.
3) Per ultimo viene il gruppo dei comportamenti che ci mancano di più: una mancanza così dolorosa che ne parliamo con pudore o non ne parliamo proprio, perché chi aveva mai fatto caso a quanto ci fosse necessario toccare gli altri? Invece non ci tocchiamo più. Non coccoliamo i figli degli amici, non ne baciamo i genitori, non stringiamo la mano ai conoscenti, non mettiamo la mano sulla spalla di chi ci è vicino, non abbracciamo, non…
“Non bacio le persone come vorrei” dice Maria Chiara; “Per noi “fisiconi” è una tortura”, rincara Francesca – e ci scopriamo tutti in qualche modo fisiconi perché ancora oggi, sei mesi dopo esserci ritirati dal contatto con gli altri, non toccarci sembra strano: le mani pizzicano per la mancanza di una pratica che era di riconoscimento e di rassicurazione, ma anche di vicinanza emotiva e di nutrimento. Noi, che per comprenderci meglio ci avvicinavamo, noi che leggiamo i sentimenti in un’espressione facciale, noi che non ci eravamo accorti che degli altri cercavamo anche l’odore, perchè ci diceva delle cose: noi siamo rimasti soli davanti a una telecamera, sperando che l’altro accenda la propria.