Ci sono, con un tempismo perfetto, a 48 anni sto arrivando alla mia “seconda primavera”. Non posso dire subito di che cosa sto parlando perché dai librai so che i titoli su questo tema non vendono, e immagino accada lo stesso con gli articoli. Questa stagione della mia vita ha infatti uno di quei nomi stigmatizzanti e cacofonici di cui un giorno dovremo parlare approfonditamente, valutando l’opportunità di cambiarli.
Si tratta di fenomeni che abbiamo nominato veramente tanto tempo fa, secondo codici in buona parte inadatti a definirci oggi. E in un nome c’è tanto, se non tutto. Il nome delle cose contiene la cultura che le narra: al nome in automatico si associano attributi, conseguenze, storie. Per questo mi fa sorridere quando sento dire che bisogna occuparsi della sostanza delle cose, prima che di come le chiamiamo: il modo in cui le chiamiamo è sostanza primaria.
Insomma, sono alle porte di un’età della vita in cui potrò ridefinirmi ancora, in un crescendo di libertà. Il mio corpo e la mia testa si stanno preparando a rallentare il mio processo di invecchiamento e potrò smettere di sentirmi legata a una serie di scadenze e regole che già da un po’ mi interessavano poco. In questa fase della vita:
“Sei libera, non sei più una schiava, non più una macchina fatta di parti. Sei solo una persona.”
dice Kristin Scott Thomas nella serie tv Fleabag. Non si tratta di una pensione anticipata, ma della menopausa che, come le gravidanze e tutte le transizioni importanti della vita, si annuncia con 9-12 mesi di anticipo attraverso la “premenopausa”. Così si ha tutto il tempo di trasferirsi cognitivamente, fisicamente ed emotivamente in un territorio nuovo. In una nuova sè stessa.
“Posso già sentire le avvisaglie del non dovermi più preoccupare se gli altri mi trovano carina”, racconta la giornalista Eva Weiseman su The Guardian.
E, sorpresa sorpresa, avrò anche una tendenza fashion dedicata a questo mio nuovo modo di essere: si chiama “Menocore”, anche noto come il desiderio di vestire come Diane Keaton in “Tutto può succedere”: comoda, rilassata, morbida e bellissima.
“Mi ci sento appieno. Aspiro ad essere una donna che non ha tempo per le stupidaggini sul raggrinzirsi, per i leggins attillati, per i tacchi traballanti e una saltuaria allergia al pane. Una donna a cui interessa passeggiare nelle valli, fare slow cooking, avere buone conversazioni e solo cose così”, continua la Weiseman.
Quindi perché dovrei chiamarla solo meno e pausa? Etimologicamente sta per “pausa del mese” perché cessano le mestruazioni, ma perché definire un evento per mancanza? Ho capito, finisce qualcosa, ma che cosa inizia? La medicina cinese, per esempio, ama questa età, che chiama appunto “seconda primavera”.
“Per la medicina tradizionale cinese, ogni mestruazione (poeticamente definita “rugiada lunare”) rappresenta per la donna una perdita di energia. Il cessare del ciclo, viceversa, metterebbe fine anche a questa metaforica emorragia. Non a caso la menopausa viene definita seconda primavera: un tempo in cui finalmente l’intelligenza interna del corpo femminile permette di preservare l’essenza dentro di sé. È la donna drago, che dal risparmio di sangue ed energia trae nuova linfa per il Cuore e il proprio viaggio interiore”, racconta la dottoressa Stefania Piloni, specialista in Ostetricia e Ginecologia.
Potrò dunque diventare una donna drago, se lo vorrò, e cogliere alcuni dei “sette doni” di cui parla nel suo libro Cheryl Bridges Johns, per esempio:
1) scoprire le parti represse e nascoste di me;
2) vivere in un tempo espanso;
3) reclamare la mia libertà spirituale.
Anche se confesso che mi piace di più l’idea di ammorbidirmi che quella di scatenare una forza interiore repressa: vorrei, anche in questa nuova età, ritrovare una dimensione di cura di me stessa e degli altri che ho già visto fare miracoli nella mia maternità e nel mio lavoro. Vorrei rallentare, diventare più saggia, esprimere più dolcezza.
“Per liberare questo nuovo potenziale, dobbiamo però sbarazzarci del fardello di retaggi culturali e pregiudizi antichi che in questa fase ci vogliono “finite”. Finito è il compito riproduttivo, certo, ma a 50 anni o giù di lì – 49 secondo la tradizione cinese che fa ruotare la vita femminile intorno al numero 7 – ci sono ancora tutti i presupposti, soprattutto oggi, per pensare davvero a un nuovo inizio”, conclude la dottoressa Piloni.
Ecco, oggi so che a 49 anni entrerò puntuale nella mia seconda primavera: ora è tempo di onorare e lasciar andare ciò che sono stata e di essere libera di immaginare come sarò.