Cosa sai dirmi di Harvey Milk? Che ruolo hanno avuto Marsha P. Johnson, Jackie Ormona e Zazu Nova nei moti di Stonewall del 1969? Forse è meglio abbassare il tiro… chi sa dirmi a cosa hanno dato origine i Moti di Stonewall? Un appassionato di storia e cultura #LGBT *(Lesbo, Gay, Bisessuale, Trans e chiedo venia agli attivisti per essermi fermato qui prima di aggiungere l’asterisco ma è una questione di hashtag) mi risponderebbe senza esitazione, un attivista forse si incaglierebbe su Jackie Ormona e Zazu Nova. Per tutti gli altri non posso far altro che lasciare alcuni link a Wikipedia perché non ho la minima intenzione di iniziare una lunga ed estenuante (per me come per voi) disamina su eventi pregnanti e figure iconiche di quello che tutti conoscono come Pride.
Che sia un corteo lungo cento metri oppure diversi chilometri, ciò che conta è che il Pride è un simbolo che identifica valori condivisi di unità, libertà, e orgoglio che hanno alla base la forza e il coraggio di chi ha lottato per conquistarli. Detto questo – che è la sacrosanta verità e non va mai dimenticata – al di là del valore simbolico del Pride, delle rivendicazioni, delle ideologie, dell’etica, della politica, mi sono chiesto quali possano essere stati i motivi più profondi che hanno spinto chi ha condotto – e di chi conduce tuttora – queste battaglie. Mi è infatti capitato di leggere in questi giorni, in articoli, blog e soprattutto sui social, che queste persone hanno combattuto per ottenere il diritto ad essere felici. Ma è veramente così? E’ il diritto ad essere felici che cercavano? La risposta, l’ho ritrovata a sorpresa in un albo a fumetti (il termine più appropriato sarebbe graphic novel perchè è un vero e proprio romanzo illustrato)
“Laura Dean continua a lasciarmi” di Mariko Tamaki e Rosemary Valero-O’Connell (2020, Bao Publishing). L’opera – candidata agli Eisner, gli “oscar” del fumetto americano, nella categoria “Miglior pubblicazione per adolescenti” – parla infatti di Freddy (Federica), una liceale che scrive a una rubrica di consigli d’amore perché la sua fidanzata Laura Dean, la ragazza più popolare della scuola, continua a lasciarla. Essere innamorata di lei è un autentico calvario, soprattutto perché continua a illuderla.
La storia, dolce e delicata, ci conduce attraverso un tortuoso percorso di guarigione da un amore tossico in cui ognuno di noi può ricondurre tutta la fragilità delle proprie vicende personali, siano esse adolescenziali o meno. In quest’opera l’identità di genere e affettiva di Freddy, sebbene sia magistralmente tratteggiata, non è elemento portante della vicenda. Ciò che conta sono le emozioni, i sentimenti, le scelte che fa. Il lettore soffre con lei, si arrabbia per come si comporta con gli amici più cari, riserva uno sguardo indulgente ai suoi comportamenti insensati ricordando i propri errori in un misto di agrodolce nostalgia.
“Ovviamente – ci ricorda Freddy in un passaggio chiave – sono consapevole che ci sono attivisti LGBTQIA che hanno combattuto per secoli perché avessi il diritto di mandare tutto all’aria così (…) proprio come i miei amici etero. Rappresento il progresso”. E’ proprio qui che con una freschezza e una semplicità uniche la protagonista risponde alla mia domanda, spiegando perché dobbiamo rendere omaggio a chi ha lottato per i diritti permettendoci di festeggiare questa straordinaria manifestazione di libertà chiamata Pride. Semplicemente perché hanno permesso alle generazioni future non solo di amare ma anche di tormentarsi e soffrire, sguazzando nelle parti più oscure del nostro essere per uscirne e forse poi immergervisi ancora.
Ci hanno dato la libertà di vivere, insomma, come tutti gli altri. In ogni corteo legato ai Pride ritroviamo volti sorridenti, espressioni felici ma ciò non significa che il Pride e i valori che simbolicamente rappresenta conferiscano un diritto irrevocabile ad essere felici. Chi, negli anni, ha creduto in questi valori ci ha semplicemente fornito gli strumenti per costruire questa felicità. Da questo punto in poi sta a noi ricercarla e ottenerla, oppure indulgere sulle nostre debolezze o irresolutezze sbattendole la porta in faccia. Come tutti, senza peraltro essere giudicati perché, questa sì, è una nostra scelta.