Sono seduta alla scrivania e fisso lo schermo di un monitor. Mi sono abituata a parlare davanti ad una web-cam, a fare video su youtube, a trascorrere ore in videoconferenza. Mi sono abituata a pensare alle attività più appropriate per i miei alunni, per arricchire la parete della nostra classe virtuale. La 3 H, si chiama così. Non ho cambiato il nome, ho cambiato la forma. La parete della classe virtuale è coloratissima, piena di schede, video, immagini, storie, racconti, attività che hanno accompagnato e accompagnano bambini e bambine, lungo questo viaggio inatteso, verso il nuovo ordine di scuola. Dall’infanzia alla primaria. Un bel salto, un grande cambiamento, che avrebbe visto me come traghettatrice e loro come piccoli esploratori, uniti su un comune sentiero, alla scoperta della nuova avventura che li attende.
Fisso il monitor e leggo Terza H. Ma è tutto così immobile, così silenzioso. Non riesco a non pensare a quella vera, dico, la classe, quella terza H fatta di sedie e tavoli. E’ un pensiero ricorrente quello che mi avvolge: la campanella dell’ingresso, mi sembra di rivederli, ecco che arrivano, alla rinfusa, a volte correndo, a volte in ritardo. E via, tolgono il cappotto, appendono cappello e sciarpa, poi entrano. “Buongiorno maestra”. Sorridono, chiacchierano, litigano. Si spingono per avere il gioco più ambito, si arrabbiano, li osservo mentre fanno la pace, si offrono la mano e dai, amici come prima. Tutti prendono posto ed è lì che comincia l’alchimia, quella mescolanza di composti chimici che nessuna DAD può imitare. Sguardi complici, sorrisi, mani sfiorate, richieste, risposte a domande impossibili.
Guardiamo fuori dalla finestra: piove. E dalla pioggia, evento quasi scontato, parte una lezione estemporanea tra le più belle. “Cosa provi? Come ti fa sentire? Da dove arriva tutta quest’acqua?” Siamo seduti in cerchio, vicini, e parliamo. La pioggia, i cappotti appesi, i guanti, le sciarpe. Si, perché lì, nella terza H, quella reale, il tempo è rimasto sospeso, si è fermato all’ultimo giorno, prima del lockdown. Nella mia classe è ancora inverno, sui muri ci sono i disegni dei bambini e delle bambine, delle loro maschere di carnevale, sui vetri sono appesi gli origami dei fiocchi di neve e i ritagli dei loro alberi spogli. Quelle mura non lo sanno che il tempo è andato avanti, che l’inverno è finito e ha lasciato spazio alla primavera, al sole, alle rondini. Lì è rimasto tutto fermo. I tavoli, le piccole sedie, gli armadi colmi di guide, gli scaffali coi libri e i quaderni. I cartelloni con i numeri e l’alfabetiere. Lì è rimasto fermo anche il nostro mondo, quello fatto dal “noi”, da quello che si crea tra insegnante e alunni, quel microcosmo in cui nessuno ha accesso, non per privacy, ma per una legge chimica, che si ripete solo in presenza di determinati fattori.
Succede come quando t’innamori. Succede così, si accende la scintilla e si cammina insieme, giorno, dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Crescono gli alunni e, per un miracolo metapedagogico, di un percorso evolutivo che accoglie tutti i protagonisti e li rende partecipi di un cambiamento morale, affettivo e psicologico, cresce anche l’insegnante. Quel mondo, quel piccolo grande cosmo pieno di reazioni chimiche inesplorabili, è fermo.
Siamo entrati nella fase 2 della gestione del contagio di questo virus che ci vede bloccati in casa, e nessuno sa o può riuscire a farlo ripartire. Le esigenze dei bambini in età prescolare sono differenti da quelli in età scolare o adolescenziale. La socialità, ad esempio, è meno spiccata, soprattutto nei bambini molto piccoli, che hanno ancora come unico riferimento le figure di attaccamento. Ci sono, però, dei bisogni a cui bisogna guardare e con molta attenzione, che rientrano nella sfera emotiva: l’affettività, il contatto umano, le esperienze, le percezioni sensoriali, le interazioni con l’adulto. La scuola dell’infanzia è un’esperienza fisica, oltre che psicologica. Pensare ad una riapertura delle istituzioni scolastiche, vuol dire, quindi, analizzare i bisogni educativi diversificati di ogni segmento scolastico, evidenziandone le possibili criticità.
Lavorano le task-force e si moltiplicano i comitati di genitori e docenti che chiedono una riapertura in sicurezza, come il comitato #lascuolaascuola, che ha come obiettivo un lavoro comune tra scienziati, medici, psicologi, insegnanti e genitori, per apportare idee e giungere a soluzioni fattibili. La didattica a distanza, intanto, è l’unica via che abbiamo attualmente, per non spezzare quel filo che lega gli alunni agli insegnanti. Ci ha fatto scoprire nuove opportunità, perché avere competenze digitali non vuol dire solamente saper postare stories su Instagram, ma comprendere appieno le potenzialità che la rete offre e le sue infinite possibilità.
Una presentazione in Power Point, una lezione con Google Heart, una spiegazione integrata con video e immagini, risultano soluzioni accattivanti, stimolanti e, sicuramente, più vicine agli interessi dei nativi digitali. Se le risorse della DAD hanno reso possibile portare avanti il percorso educativo e formativo, sappiamo che non può essere la sola soluzione per il futuro, soprattutto per i più piccoli. La scuola è innanzitutto luogo d’elezione per lo sviluppo e la formazione degli studenti, ma è anche istituzione vicina alle famiglie, a supporto di esse. La didattica è, per antonomasia, di “vicinanza” e occorre studiare, al più presto soluzioni idonee per riprendere in mano il filo, per rianimare le classi vuote, per far ripartire il tempo sospeso.
Ci confrontiamo ogni giorno con scenari disparati: lezioni a distanza, alternate con lezioni in presenza, gruppi a giorni alterni, classi con pochi alunni, banchi distanziati, lezioni all’aperto, lezioni in palestra, esami in presenza, esami on line.
La scuola e gli scenari, ma senza alcuna soluzione tangibile. Questo perché alla scuola, non solo adesso, da sempre, si è pensato troppo poco e male. Ci sono criticità che questa emergenza ha evidenziato e che, da sempre, fanno parte di questo mondo. Classi troppo piene, pochi docenti, pochissimi docenti di sostegno, mancanza di infrastrutture, spazi aperti inesistenti o trascurati, palestre non agibili, senza finestre, o con finestre rotte, laboratori troppo piccoli e mancanza di dispositivi tecnologici. In questi due mesi sono emerse le criticità che avvolgono la scuola e che ne ritardano l’apertura per difficoltà oggettive di gestione degli spazi e del personale.
La speranza è che questa grave crisi, riapra finalmente una finestra d’osservazione sul mondo scolastico, mettendo in luce le mancanze e dando voce agli addetti ai lavori e alle famiglie, a coloro che vivono quotidianamente le necessità in ambito educativo. La tecnologia ci ha aiutato a sopportare la distanza e dovrebbe essere rinforzata anche in presenza, attraverso l’utilizzo di piattaforme che possano facilitare lo studio per i ragazzi e le ragazze con difficoltà d’apprendimento, attraverso la condivisione di video, slide, schemi, presentazioni, ricerche on line, che stimolano la curiosità e l’interesse degli alunni di ogni fascia d’età.
Ma quella classe vuota è sempre un pugno nello stomaco, una mancanza incolmabile. Per i bambini più piccoli, per le fasce d’età prescolari, quella classe è un primo approccio verso il mondo esterno, è il trampolino di lancio verso il futuro, è il tempo della crescita e dello sviluppo delle capacità interazionali, affettive, emotive e sensoriali. Difficile replicarlo in remoto. Il pensiero della mia classe, dovrebbe animare i propositi di chi deciderà il destino della scuola, divisa tra necessità e diritto alla salute, portando in alto il tema della riorganizzazione degli spazi, della riduzione del numero di alunni per classe, dell’implementazione del personale docente e dei collaboratori. Un percorso tortuoso, non facile, figlio di scelte che hanno visto la scuola trasformarsi, nel corso degli anni e non sempre in meglio.
Sono qui, davanti ad uno schermo, come ogni giorno da febbraio, e penso a quel tempo che è rimasto sospeso lì, nella mia terza H, con l’inverno dentro e la primavera fuori. Tiro un sospiro. Arriveranno nuove stagioni anche lì. La scuola tornerà a scandire il tempo. E se i nostri sorrisi saranno coperti da una mascherina, impareremo anche a parlare e a sorridere con gli occhi. Del resto, lo facevamo già.