Nessuno si salva da solo. E qualcuno lo sapeva prima del Covid 19

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Mentre eravamo in auto con alcune ragazze entusiaste di iniziare il progetto di difesa personale, diretti verso la favela più lontana dal mare, Marco diventava sempre più scuro in viso“. Ancora una manciata di chilometri e poi: “Roberta, mi ha detto, senza scollare lo sguardo dalle notizie sullo smartphone, dobbiamo trovare un volo per l’Olanda al più presto, a brevissimo potrebbero chiudere gli aeroporti qui in Brasile“.

img_5958E così è stato. Roberta e Marco Kuis, marito e moglie, olandese lui, italiana lei – un omaggio all’anagrafe superfluo per chi i confini è più abituato a superarli che a chiamarli per nome – nel giro di pochissime ore hanno preso un aereo che da Fortaleza, nel Nord Est del Brasile, li ha riportati in fretta e furia nel Nord dei Paesi Bassi, dove abitano per la maggior parte dell’anno. A dettare il nuovo, irrevocabile, programma di viaggio, il Covid 19.

img_6177Solo venti giorni fa in una video intervista, io già da una Italia in lockdown, loro ancora liberi di muoversi, mi presentavano a uno a uno gli amici grandi e piccoli della favela, mentre si apprestavano a riportare alla base un gruppo di turisti che aveva scelto di aderire al ‘Favela Tour’, l’ultima delle iniziative che Aloha Foundation, nata nei primi anni del Duemila, ha messo in campo per dare a bambini e teenager dei quartieri più poveri di Fortaleza una alternativa alla droga, alla prostituzione, alla criminalità.

Il nostro obiettivo – racconta Roberta, insieme a Marco e a quattro coordinatori brasiliani una dei promotori di Aloha – è mettere ragazzi e ragazze nella condizione di trovare un lavoro nel settore turistico, uno dei più fiorenti della regione. Come? Attraverso innanzitutto l’istruzione e la prevenzione. Tutti i volontari di questa associazione no profit insegnano inglese, danno lezioni di surf e kite surf, forniscono pasti sani e il più regolarmente possibile e a più persone possibile“.

img_5208Grazie all’attività di Roberta, medico, e di Marco, fotografo e surfer, Aloha Foundation ha costruito un ponte con l’Olanda. Un ponte importante che vuole dire scambio culturale, possibilità di viaggiare e costruire legami importanti con una doppia direzione. Un punto d’appoggio, l’Olanda, che dove si svolgono attività di charity che permettono alla fondazione di sostenersi e dare vita a progetti che coinvolgano più persone possibile.

img_0812Con alcuni degli ultimi fondi raccolti abbiamo comprato questo frigorifero“, mi indica ancora Roberta, mentre comincia a diventare buio, le strade della favela cominciano a farsi pericolose, è tempo di rientrare alla base, non prima di avere scattato una foto di rito con i turisti. L’immagine impressa negli occhi e sulla foto è di venti giorni fa. Il Covid 19 sembrava una specie di fantasma solo nostro, e quasi mi pareva fuori luogo chiedere se ne avevano sentito parlare a loro, ragazzini che con la paura di morire convivono appena vengono al mondo. Sono stata zitta, ma la realtà ha fatto ugualmente il suo corso.

Nella regione del Ceara’, grande come Olanda, Belgio e Nord della Francia, ci sono 300 posti di terapia intensiva. In Olanda duemila. Oggi Aloha ha continuato a distribuire i pasti, con i volontari dotati di mascherine, guanti e distanze di sicurezza “, è la frase di Roberta che chiude il nostro aggiornamento di stasera. Nessuno si salva da solo.