Il 9 marzo 2020 è stato il nostro 11 settembre. Il giorno in cui il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ha annunciato che l’Italia, tutta l’Italia, sarebbe diventata una grande, enorme “zona protetta”. Tutti uniti da Milano a Reggio Calabria, da Trieste a Ventimiglia, isole comprese, ad affrontare un nemico comune. Una data che rimarrà nella storia e che le generazioni future leggeranno sui libri.
Purtroppo non conosciamo ancora la fine di questo periodo di emergenza, anche se dai balconi alle pagine social cerchiamo tutti di essere ottimisti. Una cosa siamo certi rimarrà nei nostri ricordi e nelle memorie che consegneremo ai nostri figli: l’impegno di chi si sta dedicando, ma forse sarebbe più corretto “sacrificando”, il proprio tempo, le proprie energie e molto spesso la propria famiglia, agli altri.
Li stiamo chiamando eroi. Sono i medici le cui storie e volti coperti dalle mascherine stanno entrando quotidianamente nelle nostre case dagli schermi dei tablet e della tv. Sono storie che stiamo quotidianamente cercando di raccontare a quei figli a cui, fino a poco tempo fa, erano ancora negate le brutture dei telegiornali.
Ci siamo riscoperti, forse, tutti un po’ più uniti, un po’ più solidali, un po’ più umani perché la morte che sta passando davanti ai nostri occhi fa paura. Ogni giorno di più.
In Friuli Venezia Giulia, in questi giorni, si è deciso di incrementare i posti di terapia intensiva per i malati di Covid-19, passando dagli attuali 29 a 94. Segno che anche qui, ci si sta preparando ad affrontare l’emergenza. Un’emergenza che, a Trieste, riguarda i due principali ospedali cittadini.
“Siamo tutti pronti e anche chi, come me, non è attualmente in prima linea si è messo a disposizione della struttura ospedaliera per essere riposizionato” racconta il dott. Vittorio Ramella, dirigente medico presso la Clinica di Chirurgia Plastica dell’Ospedale di Cattinara. “Stiamo affrontando una situazione di emergenza sanitaria che sicuramente rappresenta il periodo più buio dal dopo-guerra ad oggi. Siamo chiamati a confrontarci con una nuova realtà, con nuove scelte e con una nuova organizzazione del nostro lavoro. Al momento la Direzione Sanitaria ha disposto la chiusura dei reparti di Dermatologia e Fisioterapia, gli interventi non urgenti sono stati annullati, rimangono però le attività rivolte verso i pazienti oncologici. Continuiamo ad assisterli al meglio, anche se le sedute sono state limitate. Il nostro lavoro nei confronti dei pazienti va avanti perché purtroppo il Covid-19 non ha fermato tutte le altre malattie”.
È vero. Sembra che il virus abbiamo ingoiato anche tutti gli altri problemi sanitari. “Purtroppo non è così – prosegue il dott. Ramella – le persone continuano ad ammalarsi come prima. E da quando le persone hanno iniziato a stare di più in casa, penso che assisteremo anche all’incremento degli incidenti domestici che, troppo spesso, vengono sottovalutati”.
Da quando scuole, uffici e negozi si sono fermati e svuotati, le case si sono infatti ripopolate di mamme e papà che sfornano dolci, nonni che salgono sulle scale a cambiare lampadine e famiglie intere pronte a grandi manovre edilizie. “Il mio consiglio è di prestare ancora più attenzione del solito. Fatelo per voi e per noi. Per non metterci nelle condizioni di non potervi assistere al meglio. Un monito invece a chi continua a uscire da casa in modo irresponsabile, rischiando di slogarsi una caviglia magari facendo una corsa e avendo necessità di impegnare un medico in questo delicato momento: State a casa!”.
Ma cosa significa per un medico di microchirurgia mettersi a disposizione per l’emergenza Covid-19? “Significa innanzitutto avere a cuore il bene della collettività con la consapevolezza che anni di microchirurgia, dove non è consentito neanche il minimo errore o distrazione, rappresentano una buona palestra per questa nuova sfida. E poi significherebbe sostenere e dare un contributo fattivo a colleghi, amici, che stanno esaurendo le proprie energie, seppur sostenuti dalla solidarietà di tutti noi”.
Come ogni cosa, anche l’emergenza virus va messa in prospettiva e va ripensato il futuro. “Ma il mio sguardo, e quello di molti colleghi, è rivolto al dopo Covid-19. Mi auguro che si possa iniziare a ripensare all’intero sistema sanitario con più attenzione e con più risorse per la ricerca, i medici e la struttura nella sua complessità, dalla gestione del paziente alle norme di comportamento aziendali, fino al numero di visite dei parenti ai malati. Ma questa è un’altra battaglia, oggi dobbiamo concentrarci a vincere il Covid-19”.