Dove va l’Italia? Che si abbia paura del futuro?

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C’è una parola che tutti dovrebbero conoscere ed è “singularity”. Utilizzata nel campo della tecnologia indica un momento in cui il progresso è talmente veloce che l’uomo perde la capacità di prevederlo. Troppo veloce il cambiamento per controllarlo.

Fa paura ed è nel nostro futuro prossimo. Uno dei possibili futuri. Soprattutto se decliniamo questo termine e questo concetto nel mondo del lavoro perché significa che oggi non sappiamo quale sarà l’impatto delle intelligenze artificiali sull’occupazione dei prossimi anni. Tante ipotesi, pochissime certezze.

La quarta rivoluzione industriale è già iniziata e come ogni cambiamento radicale porta con sé grandi paure visto che intere categorie professionali rischiano di essere spazzate via e sostituite da una app: architetti, sanitari, notai, avvocati, impiegati. L’elenco delle categorie a rischio è lungo. Le certezze poche. Le reazioni spesso ridicole.

Come i luddisti distruggevano le prime macchine a vapore così, pochi anni fa, i sindacati invitavano a boicottare le prime casse automatiche dei supermercati perché si sarebbero persi posti di lavoro. È come se, per sostenere l’occupazione, abolissimo il telepass dell’autostrada per far tornare a lavorare migliaia di addetti al pedaggio. Con Amazon Go è stato tagliato il problema alla radice visto che le casse non ci sono proprio più. Tutto cambia: alcune professioni muoiono e altre nascono.

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Photo by Marius Venter from Pexels

Per capire quali è utile guardare i settori economici che stanno bene, quelli che crescono; in primis, quello del turismo. Aumenta costantemente del 4% all’anno e, cosa che ci interessa molto, richiede ancora una forte componente umana visto che l’empatia è qualcosa che le Intelligenze Artificiali ancora non possono trasmettere e di cui il vero viaggiatore invece è alla ricerca.

Uso la parola “turismo” ma in realtà parlo di condivisione della nostra identità con chi ci paga per poterla conoscere. Un’identità che è un mosaico di cultura, arte, archeologia, artigianato, enogastronomia, agricoltura, paesaggio, tradizioni. La cultura ha bisogno di turismo e il turismo ha bisogno di cultura. Con buona pace di tutti gli integralisti del sapere che amano il loro orticello separato dal mondo.

Il nostro territorio ha bisogno di infinite nuove figure professionali per accogliere, raccontare, gestire, studiare, valorizzare ciò che ci circonda e offrirlo a cittadini temporanei. Anche fare il contadino oggi può essere visto in questa logica: “zappa-raccogli-vendi” diventa “coltiva-condividi-racconta”.

agriculture-asia-autumn-barley-236473Possiamo essere una destinazione di turismo accessibile dove l’assenza di barriere architettoniche rende semplicemente più belle le nostre strade; dove i bagni sono belli e ampi e non “da handicappati”; dove non avere la vista permette di scoprire suoni, sapori e odori in modo ancora più intenso; dove chi non ha l’uso dell’udito impazzirà per il nostro uso delle mani. Utile ed etico non sono mai stati così vicini. Siamo un luogo magico se solo imparassimo davvero a raccontarlo a tutti nel migliore dei modi.

Più il mondo globalizzato si uniforma e le strade principali delle città saranno una sequenza di negozi identici, tanto più ci sarà voglia di originalità, di unicità, di autenticità. Autenticità dei territori a cui far corrispondere autenticità delle persone rispetto al proprio destino.

Quando l’orizzonte è mutevole l’unica certezza siamo noi stessi. Se impariamo a trasformare le passioni, i talenti, i sogni in professioni scopriremo che spesso è proprio quello di cui questo mondo in rapida evoluzione ha bisogno. E questo, paradossalmente, fa ancora più paura del resto. Perché sparisce lo scudo di sicurezza del posto fisso, di chi ti dice cosa fare per 40 anni del tuo tempo, di chi ti traccia una vita “a prescindere” e poi tu ritagli la tua nei margini del tempo libero che diventa un momento di pseudoverità. La libertà di scegliere, quando diventa una necessità, terrorizza.

Ci sono infinite possibilità di nuovi lavori che si aprono davanti a noi. Io ne sono un esempio concreto. Ho lasciato la comoda e sicura sedia del giornalista e oggi mi occupo di architetture di narrazione identitaria dei territori. Che poi significa creare le condizioni affinché la narrazione di ciò che siamo, ossia dell’identità, diventi davvero efficace e funzionale allo sviluppo economico di un luogo. Nel giro di pochi anni quella che era solo un’idea è diventato un vero e proprio lavoro che si declina in mille modi diversi tra cui la conduzione di un programma televisivo è solo uno. Il lavoro che sognavo me lo sono inventato. Fa paura all’inizio ma c’è il rischio di essere felici.