L’ufficio a portata di mano nella valigetta, pochi effetti personali nel trolley e via verso un nuovo incontro di lavoro. È il mondo dei viaggiatori d’affari che, secondo un’indagine di Sap Concur e Wakefield Research, si sentono ancora insicuri nelle proprie trasferte di lavoro con donne e persone LGBTQ+ tra le categorie più a rischio. Le principali preoccupazioni riguardano la sicurezza personale e le molestie, nonché le frustrazioni che i dipendenti provano per le proprie aziende che non sfruttano a pieno le tecnologie e talvolta sembrano anteporre gli interessi personali e economici davanti alle loro esigenze.
Lo studio è stato condotto su un campione di 7,850 business traveller di 22 Paesi del mondo che viaggiano per affari tre o più volte all’anno. Il 58% degli intervistati afferma di aver modificato le proprie modalità di viaggio perché non si sentiva sicuro, mentre il 52% dei viaggiatori d’affari cita la sicurezza durante le trasferte come l’aspetto più importante che la propria azienda potrebbe fornire. Lo conferma Elena, 38 anni, sales manager di una multinazionale che viaggia in media cinque giorni lavorativi al mese. “viaggiando molto in auto, il mio timore maggiore è fermarmi, soprattutto nelle ore più buie, in aree di sosta per fare riferimento o per usare i servizi”.
Nell’indagine di Sap Concur – tra i principali operatori mondiali di soluzioni di gestione di viaggi, spese e fatture – sembrano essere proprio le viaggiatrici d’affari a dover affrontare le situazioni più critiche: più di tre donne su quattro (77%) hanno riportato di avere subito molestie o maltrattamenti durante i viaggi di lavoro. Per esempio viene chiesto loro se viaggiano con il marito (42%), vengono ignorate dal personale dipendente (38%) o ricevono apprezzamenti inopportuni mentre lavorano (31%). E questo accade più sono giovani le viaggiatrici. Per esempio Il 46% delle rappresentanti della Generazione Z riferisce di essere stato invitato a viaggiare con il marito rispetto al 31% delle Boomer.
“Fortunatamente non ho mai subito molestie nei miei viaggi, temo che se succedesse cambierei immediatamente lavoro. Posso parlare però di discriminazione: capita di essere sottovalutata inizialmente. Nel mio ambito i Sales sono principalmente uomini. A primo impatto mi è capitato di percepire poca fiducia. Poi gli interlocutori valutano che sono preparata e non noto più questo distacco. Inoltre quando dico di dovere partire e fare delle trasferte in città magari percepite come non sicure la maggior parte degli interlocutori si stupisce che io lo faccia da sola, sia uomini che donne.” È il cosiddetto gender bias per cui uomini e donne ricevono un trattamento diverso solo per il genere a cui appartengono. “Sul quarto punto della ricerca, invece, mi ritrovo in pieno purtroppo. Col pretesto di essere simpatici, diciamo così, alcuni si lasciano andare ad apprezzamenti non richiesti”, conclude.
Quando viaggia per lavoro la stragrande maggioranza delle persone LGBTQ+ (95%) afferma di nascondere il proprio orientamento sessuale, principalmente per proteggere la propria sicurezza, nel 57% dei casi. Inoltre rispetto al solo 53% dei colleghi non LGBTQ+, nell’85% dei casi questi viaggiatori hanno modificato le proprie trasferte per motivi di sicurezza personale. Nel 2017 il mercato dei viaggi d’affari delle imprese italiane è tornato ai massimi livelli del 2007. Rispetto all’anno precedente è cresciuto di un milione di trasferte arrivando a 30,8 milioni per un controvalore di 19,7 miliardi di euro (+4,51% sul 2016).
I dati provengono dal Nuovo osservatorio sui viaggi d’affari 2018, secondo cui si viaggia soprattutto per incontrare clienti e fornitori (18,1 milioni di viaggi) per riunioni aziendali (cinque milioni) e per fiere (3,5 milioni). Aumentano i viaggi d’affari ma a quanto pare l’attenzione delle aziende per i propri dipendenti in trasferta non viene percepita in crescita. Quasi un terzo (31%) dei business traveller dà la priorità alla propria sicurezza come il fattore più importante durante un viaggio di lavoro, ma oltre la metà (54%) ritiene che questo aspetto non sia la priorità della propria azienda. “Mentre queste continuano a cercare di massimizzare la soddisfazione dei viaggiatori, la realtà è che i dipendenti hanno fame di maggiore empatia, orientamento e migliori strumenti tecnologici mentre si imbattono in frustrazioni comuni e preoccupazioni individuali, lasciando spazio al miglioramento per imprese di ogni dimensione“, ha dichiarato Mike Koetting, Chief Strategy Officer di Sap Concur. “Dal punto di vista dei rischi e della sicurezza – aggiunge Elena – le aziende potrebbero fare di più, per esempio stilando documenti dettagliati su quali sono i pericoli che corriamo come personale viaggiante e come evitarli“.
I Millennial sono più sensibili ai fatti di attualità e, negli ultimi 12 mesi, il 42% dei viaggiatori d’affari in questa fascia di età ha ridotto i viaggi verso determinate località a causa di disordini politici o rischi per la salute, rispetto al 36% di Gen Xers e al 23% di Baby Boomers. Quali sono i Paesi meno sicuri? Qui ci viene in aiuto il gruppo francese International Sos che ha elaborato una “Travel Risk Map”, tenendo in considerazione i rischi in termini di salute e sicurezza. Da questa mappa emerge che per il 2020 sono stati catalogati come Paesi più pericolosi: Mali, Somalia, Sudan del sud, la Repubblica Centrafricana, Yemen, Libia, Siria, Iraq, Afghanistan e parte dell’Ucraina.
Viaggiare crea sempre un po’ di stress, anche a chi lo fa spesso: Il 37% dei business travellers sono più stressati prima di un viaggio quando devono pianificare, prenotare e organizzare da soli ma le tecnologie potrebbero facilitare le loro trasferte. D’altro canto, al rientro, il 24% di loro preferirebbe “andare dal dentista piuttosto che compilare una nota spese”.