La Carta di Certaldo compie 25 anni, in difesa del lavoro di strada in Italia

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Al mattino presto lo vedevo sempre al bar della stazione, a prendere un cappuccino. Era tutto stropicciato, probabilmente aveva dormito sulle panche della sala d’attesa. Era vestito male, trasandato, ma lo sguardo era vivo, lucido, di quelli che la vita l’hanno vista e forse anche al suo meglio. Aveva sempre addosso un pantalone di velluto a coste.

Poi trascorreva il resto della giornata all’ipermercato, nell’area dove ci sono due tavoli e quattro sedie. Un’attesa perenne, interrotta solo dal panino delle 14 e da quello delle 20. Lo vedevo perché mi capitava di incrociare questo signore anche quando andavo a fare la spesa, di corsa, tornando dalla stazione.

L’ipermercato era per il signore dal pantalone di velluto a coste  un “drop in”, un posto dove chi non ha una fissa dimora e non sa dove andare, può stazionare al caldo – o al fresco, dipende dalle stagioni – senza timore di essere cacciato.

E’ a lui che ho pensato mentre scrivo di Certaldo 2019, l’evento che si terrà dal 7 al 9 novembre a Firenze, un evento e un convegno, ma anche un momento di riflessione, sui 25 anni della Carta di Certaldo, documento fondativo del lavoro di strada in Italia. È organizzato e promosso dal Gruppo Abele e dal Cat di Firenze, in collaborazione con CGIL e Cnca.

A metà degli anni Novanta, infatti, nel paese di Boccaccio si discusse di questa pratica importante nel mondo del terzo settore, provando a dare per la prima volta in Italia una “cornice metodologica condivisa per la progettazione, lo sviluppo e la valutazione del lavoro di strada (anche detto: di outreach, di bassa soglia o di prossimità)”. E oggi? Che senso ha questo lavoro e quali sono le condizioni ambientali in cui esso si svolge?

«L’obiettivo dell’evento è rileggere e rilanciare il valore sociale, culturale e politico di un approccio che rovescia gli schemi classici della relazione (di aiuto e cura) tra professionista e utente. Una relazione meno asimmetrica e più dialettica. Capace di riconoscere, accanto ai saperi esperti, i saperi informali. Attenta a incontrare le persone nei loro luoghi di vita, senza attenderle nelle stanze degli ambulatori» spiega Lorenzo Camoletto, responsabile scientifico di Certaldo 2019.

Le tre giornate, cui hanno aderito numerose tra le principali realtà associative del settore, saranno uno spazio di confronto e di dialogo fra operatori di prossimità, servizi sociali e sanitari, decisori politici e comunità locali, partendo da quattro pilastri “La Città come caleidoscopio della strada”, “La Comunicazione della strada tra urla e silenzi”, “La Salute della strada come salute della società”, “Il Diritto e Rovescio. Le contraddizioni tra giustizia e norma”.

Spesso li vediamo avvicinarsi ai senza tetto o agli adolescenti. Ai sex workers e ai consumatori di sostanze. Sono operatori che intercettano bisogni e problemi che la strada accoglie, nel bene e nel male. Quante vite affiancano gli operatori di strada e di prossimità? «Oggi il dibattito si arricchisce di nuove istanze – aggiunge Camoletto – come i temi securitari e i temi delle periferie. Chi lavora per strada ha una lettura quasi immediata dei fenomeni e – spesso – ha anche le soluzioni».

In 25 anni è cambiato tutto. Dalle persone alle sostanze, dalle tecnologie che sono entrate di prepotenza nelle nostre esistenze alla conformazione delle città stesse. «Ciò che non è cambiato è il bisogno di relazione delle persone – spiega – ma se un tempo la “comunità” di riferimento esercitava un controllo sociale “buono”, oggi non è più così. Le persone sono sempre più sole, isolate, sempre più incapaci di parlarsi l’uno con l’altra. Gli operatori di strada possono surrogare una presenza del lavoro di comunità, laddove ci siano eventi di difficile lettura e comprensione, che spesso balzano agli onori della cronaca».

img_8418-1Il lavoro dell’operatore di strada è una vocazione, da costruire negli anni, con studio, fatica e passione, e tanta empatia. Ed è anche molto meno romantico di quanto possa sembrare, ma è fondamentale preservarlo. Al centro come nelle periferie, anche se forse le prime sono a rischio tanto quanto le seconde. Non si rivolge soltanto al “target” per il quale è stato formato, ma serve da ponte tra i diversi attori del contesto locale di quel territorio, ed è sicuramente lo strumento più immediato – e sotto certi aspetti più oggettivo – per comprendere i fenomeni complessi che attraversano la nostra società: a volte, eventi di cronaca piuttosto forti agitano e scuotono l’opinione pubblica ma sono solo un’esemplificazione che andrebbe contestualizzata. In strada lavorano assistenti sociali, educatori, mediatori culturali, psicologi, infermieri, medici, avvocati, in alcuni casi operano come volontari, in altri professionalmente. E poi ci sono gli operatori “pari”, quelli cioè che appartengono al target di riferimento. Li troviamo in ogni regione d’Italia, con una maggiore concentrazione al Centro Nord ed un “picco” in Emilia Romagna, ed una maggiore distribuzione al Nord Ovest e al Centro Italia.

«Faccio questo lavoro da 25 anni – conclude Camoletto – e quando vai per strada per incontrare una persona, vai a casa sua. È lei che espelle te se non sei capace di metterti in relazione – una relazione sempre orizzontale. Per cui bisogna completamente destrutturarsi per poterci stare. Ti devi conquistare la loro attenzione, devi essere seducente senza essere collusivo, devi essere interessante. Se non ce la fai o sei “inacidito” questo lavoro non puoi farlo più».