Picchi di 50 denunce al giorno a Milano e 30 a Roma, centri antiviolenza sovraccarichi, mancanza di personale specializzato. Sono le prime conseguenze dell’applicazione del Codice rosso contro la violenza domestica e di genere, entrato in vigore il 9 agosto. La legge, oltre ad aumentare le pene e introdurre nuove fattispecie di reato, impone una trattazione prioritaria dei casi di maltrattamenti in famiglia e violenza.
La polizia ha l’obbligo di segnalare tutti i casi al pubblico ministero, che deve sentire le vittime entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato. “L’intento del legislatore è rilevante ma se tutto è urgente, niente è urgente. Bisogna adottare il buon senso e concentrarsi sui fatti di reale violenza “, ci spiega Letizia Mannella, procuratrice aggiunta al tribunale di Milano, spiegando che “con l’applicazione del Codice rosso abbiamo avuto anche 50 segnalazioni al giorno, ora intorno a 40, numero comunque molto elevato”. Il termine di 3 giorni può essere prorogato in presenza di esigenze di tutela di minori under 18 o riservatezza delle indagini, ma secondo la procuratrice di Roma, Maria Monteleone non basta. “Le maggiori criticità riguardano il carattere generale della disposizione che non si applica solo ai casi realmente urgenti e le possibilità di deroga sono troppo limitate, serve una modifica alla legge – spiega Monteleone – L’esigenza di intervenire in tempi così brevi a volte è controindicato e crea problemi di vittimizzazione: ad esempio quando la vittima è particolarmente vulnerabile anche se maggiorenne”.
Per l’applicazione della legge ogni procura ha emanato delle direttive, come Tivoli, che comprende 75 comuni per oltre 500mila abitanti. “Le azioni in atto da tre anni nel contrasto ai reati di violenza di genere hanno portato al raddoppio delle denunce: 1000 nell’ultimo anno, con l’adozione di 100 misure di custodia cautelare”, sottolinea il procuratore Francesco Menditto. “La svolta è stata culturale: credere alle donne e intervenire rapidamente, con l’impegno di 4 magistrati su 8 e la formazione di polizia e carabinieri”. Secondo la procura di Tivoli sono tre i nodi cruciali che la legge 69 2019 – a costo zero – non risolve: assenza di formazione della polizia giudiziaria, assenza di personale, assenza di idonee strutture che consentano di accompagnare la donna prima e dopo la denuncia.
“Le case rifugio in Italia sono poche, se il bisogno cresce in maniera esponenziale non è possibile far fronte a tutte le richieste di ospitalità” ci racconta Lella Palladino, presidente D.i.RE – Donne in rete contro la violenza. “In alcuni centri da Nord a Sud, in particolare nel Lazio e in Campania, abbiamo passato un’estate terribile: ad agosto rispetto alle due-tre richieste di accoglienza alla settimana, siamo arrivati a otto-dieci. Due mesi però sono pochi per fare un bilancio”. A Milano, nel centro antiviolenza del Policlinico, dal 9 agosto i numeri non sono cambiati, spiega Alessandra Kustermann, responsabile del Soccorso Violenza Sessuale e Domestica, che individua due mancanze nel Codice rosso: “la possibilità dell’arresto, qualora l’uomo violi il divieto di avvicinamento e fondi per gli uomini maltrattanti”.
In sintesi, occorre una rete che percepisca la gravità dei reati: servono strutture che accolgano le donne e i loro figli e persone che li accompagnino in tutto il percorso. Perché “se alle donne non si crede, tutto è inutile”, sottolinea Palladino. Un quarto delle denunce viene archiviato, la metà dei processi si conclude con l’assoluzione. E il dramma del femminicidio si ripete. Da gennaio a settembre ci sono stati 69 casi, secondo i dati ancora provvisori raccolti sulla stampa dalla Casa delle donne di Bologna. Ventiquattro negli ultimi due mesi e mezzo: uno ogni 72 ore, una media che torna, costante, negli anni.