L’altro giorno al bar una signora è stata inaspettatamente molto sgarbata con me. Subito, ho sentito rizzarsi i peli dietro la nuca, l’agitazione salire. Volevo, d’istinto, contrattaccare. Sapevo però che sarebbe stato inutile, e sapevo anche che mi avrebbe caricato addosso ancora più tensione.
Ho cercato allora l’istinto opposto: la comprensione – confesso che ho cercato anche un po’ di compassione. Come? Ho pensato che quella signora stesse avendo qualche problema, e per questo fosse così aggressiva. Lentamente, la tensione è scesa (la mia: quella della signora non lo so, perché sono andata via).
Perché accendere l’empatia abbassa lo stress? Secondo le neuroscienze, perché mettersi nei panni degli altri attiva il nervo vago, che diminuisce la classica reazione di attacco o fuga di fronte a una sensazione di pericolo. Avviene perché, come conferma il fatto che abbiamo un’intera specie di neuroni specializzati nel “rispecchiare” ciò che sentono gli altri (i neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti), la capacità di comprendere gli altri ed empatizzare con loro è un istinto vitale della nostra specie. Saperlo è utile per “usarlo” nei contesti più disparati: al bar… ma anche, per esempio, in una delle situazioni a più alto fattore di stress nella vita di una persona: quando deve parlare in pubblico.
Secondo un recente articolo dell’Harvard Business Review, il nostro cervello percepisce come una situazione di pericolo il trovarsi davanti a molte persone che ci guardano: basti pensare al senso di vulnerabilità che provava l’uomo delle caverne quando era senza un riparo che lo proteggesse dalla vista dei predatori. Ecco, parlare in pubblico riproduce quella sensazione lì, e se resistiamo alla voglia di scappare, non possiamo però sfuggire a tutti gli altri sintomi della paura: respiro corto, orecchie calde, rossori…
L’autrice dell’articolo fornisce tre trucchi molto pratici per superare questo stato di ansia: comportamenti che consentono di trasferire la nostra reazione energetica dall’istinto primario dell’attacco o fuga all’altro istinto primario che contraddistingue la nostra specie: quello, appunto dell’empatia. Ri-direzionare un istinto può sembrare una pratica complessa o molto impegnativa: in realtà si tratta solo di attivare nuove abitudini e mantenerle finché non diventano automatiche.
1) Abitudine numero 1: smetti di pensare a te stesso e pensa a loro. Domandati:
come posso essere utile alle persone in questa sala? Perché si trovano qui? Chi sono, che bisogni hanno?
2) Abitudine numero 2: ricorda al tuo cervello che non sta per essere messo sotto esame, ma è qui per aiutare i presenti: perché le informazioni che contiene possono essere utili. Ripeti mentalmente
Non si tratta di me, si tratta di loro.
3) Abitudine numero 3: considera ogni persona nella stanza come un singolo individuo, non cercare di vederli e trattarli come un insieme. In questo aiuta il contatto visivo, come aiuta darsi la possibilità di vedere (ed essere visto) fino in fondo alla sala, da tutti, anche solo alzandosi in piedi.
Infine, aggiungo io, ricordati sempre che le persone ti guardano e ti giudicano molto meno di quel che pensi, mentre si accorgono subito (con piacere) se vengono viste e riconosciute da te.