Videogiochi, ragazze non solo virtuali nel mondo dei gamer

 

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Tanto amati quanto temuti, che ci piaccia o meno, i videogiochi occupano una parte sempre più grande del nostro tempo libero – e delle nostre preoccupazioni. Due terzi degli Americani sono ‘gamers’, passandoci una media di 12 ore a settimana; in Italia il 96% tra i sei e i 17 anni giocano con i video giochi.

Se per tanti rappresentano una forma di intrattenimento (o addirittura opera d’arte) per molti, e probabilmente molti genitori, i video games possono essere percepiti come un mondo alieno e pericoloso. L’anno scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto il termine ‘gaming disorder’ alla sua lista ufficiale dei disturbi mentali.

Per non parlare poi del problema delle molestie sessuali, problema che persiste nonostante sforzi per rendere gli e-sports più inclusivi, come nel caso di Fortnite, secondo Giulia Pearce, game designer e professore associato all’Università Northeastern di Boston, Stati Uniti.

39bd9bdb-27e6-4299-8bd1-dff50a09208bCreato da Epic Games nel 2017, Fortnite ha assoldato un esercito di 250 milioni di giocatori, molto spesso adolescenti, che combattono per rimanere gli unici superstiti in un’isola virtuale attorno alla quale si stringe inesorabile una tempesta. La sua popolarità è tale che da quest’anno Fortinte ha un suo campionato del mondo – tenutosi a luglio allo stadio Arthur Ashe di New York (quello degli US Open di tennis) sotto lo sguardo attento di decine di migliaia di spettatori dal vivo e da 2,3 milioni di appassionati online.

Oltra alla fama, i vincitori hanno guadagnato un montepremi collettivo di 30 milioni di dollari. Kyle ‘Bugha’ Giersdorf, un sedicenne americano, ha conquistato il primo posto. Tutti gli altri finalisti gli assomigliavano: giovani ed esclusivamente maschi.

91feb797-cdb8-450d-8137-c198563a924aFortnite è anche il mio accesso al mondo degli e-sports. Mio figlio di 10 anni e i suoi amici ne sono entusiasti. Stanno giocando adesso, mentre scrivo, nel loro gruppo privato – tutti bambini: il mio in vacanza in Italia, gli altri a casa in Inghilterra, console in mano e headset piazzati, discutendo di tattiche di battaglia e ridendo.

Con le opportune cautele, a quell’età i videogiochi sono semplicemente un divertimento – nessuno di questi giovani gamers si è imbattuto in episodi spiacevoli. Ma c’è altro: per questi bambini il genere del personaggio che li rappresenta è una caratteristica come un’altra, non è discriminatoria. La decisione sul personaggio (o skin o outfit, per usare il gergo del caso) con cui scendere in campo sembra essere una scelta estetica che rende le distinzioni tra maschio e femmina irrilevanti. 

d3de3abe-c568-43f3-876f-5c901e0659c3L’attuale preferito del gamer di casa è una bizzarra figura di fantasia, Fishstick, un pesce rosso dotato di arti dalla parvenza molliccia. Fino a poco fa, però, c’era Laguna, una ragazza bionda che lo ha portato ad un’eroica vittoria mentre si annoiava a cena fuori con gli amici di sua madre. Prima ancora era il turno di Molten Valkyre, guerriera dall’aspetto inquietante con cui ha avuto meno fortuna. 

La riassegnazione sessuale nei video games non è un fenomeno del tutto nuovo. Già esiste un dibattito sui motivi che portano a cambiare genere virtualmente, e che ha condotto a varie conclusioni – dalle strategie di gioco per gli uomini, al proteggersi da attacchi verbali nascondendosi dietro ad avatar maschili per le donne. E qui si ritorna, purtroppo, al tema del sessismo.

Il mondo dei videogiochi è aperto ai più giovani e la necessità di proteggerli da ambienti tossici è ovvia. Le piattaforme che li ospitano hanno la responsabilità di garantire un campo di gioco libero da abusi, sessuali o di altro tipo; a loro il compito di punire infrazioni con severità e prontezza. Sembra, però, che molto debba ancora essere fatto in questo senso. 

60650037-2c77-4b84-92fd-344fcb07e8a2Sarebbe un peccato costringere giovani giocatrici ad autoescludersi dagli e-sports per via di queste molestie; e privare i ragazzi di una controparte femminile con cui cimentarsi. Sarebbe un vero peccato, insomma, se gli stessi bambini che combattono come ragazze virtuali in Fortnite, poi crescano deducendo che le ragazze reali, assenti dal gioco, siano semplicemente non alla loro pari.