Il precariato può uccidere. Parola di Elvira Navarro

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In Spagna, dove è nata, Elvira Navarro è stata definita la voce di una generazione. Con il suo romanzo “La lavoratrice”, che ora arriva in Italia, ha immortalato la precarietà del nostro tempo. Quell’incertezza lavorativa che può diventare asfissiante, uccide dentro giorno dopo giorno perché distrugge la speranza, lacera l’identità riducendola a brandelli. È come perdersi senza ritrovarsi. È camminare sul bordo di un vortice con la bocca spalancata, pronto a fagocitare.

Elisa si è smarrita. Ha rinunciato al suo sogno: essere una scrittrice. La protagonista del libro lavora in una grande casa editrice come editor. Il suo contratto a tempo determinato scade e viene declassata. Diventa collaboratrice esterna, l’ultima ruota del carro. É il primo passo di una discesa all’inferno. «Incominciarono a ritardare i pagamenti e a versarmeli puntualmente solo quando mi lamentavo. Dicevano di avere quell’attenzione nei miei confronti perché mi stimavano» scrive Navarro che ha attinto dalla sua storia personale di laureata in filosofia che ha attraversato il precariato.

Le viene ridotto lo stipendio e il lavoro è sempre più alienante. Deve rimanere chiusa ore e ore in una stanza a correggere bozze con gli occhi che bruciano e le tempie che pulsano. Elisa non riesce a trovare lavoro altrove. Si impone di resistere, non può mollare. Lascia la casa in cui vive al centro di Madrid e trova un piccolo appartamento in periferia. Ma la sua situazione economica non è buona ed è costretta ad affittare una stanza. È così che arriva nella sua vita Susana.

«Si presentò una mattina di novembre. Alta, bionda, equina con la pelle di un colore che ricordava quello della seta grezza». Susana, che ha passato gli ultimi sette anni della sua vita a Utrecht, in Olanda, è oscura e irregolare, ha problemi mentali. Il libro si apre con un assaggio che parla di lei. Un frammento, un pezzo di specchio infranto che rivela uno scampolo di vita. È come uno sfogo o una confessione. È tutto quello che Susana riferisce della sua pazzia a Elisa che lo scrive come un’intervista, un racconto.

La struttura del libro non è lineare, è anticonvenzionale e rispecchia l’ondivago moto interiore di queste donne, le loro solitudini. In fondo le due coinquiline non sono poi così distanti da come all’apparenza potrebbero sembrare. Susana è una donna che ha più di 40 anni, non ha mai trovato una stabilità lavorativa e affettiva, sembra essersi rassegnata. “Io non speravo in nulla di meglio di quanto stavo vivendo, nemmeno lo volevo”. È come un gioco di specchi perché è tutto quello che Elisa non vuole diventare eppure allo stesso tempo sembra essere quasi un presagio. La vita di Elisa, che ha dieci anni in meno, potrebbe prendere una piega simile a quella di Susana.

“L’impressione era di essere diventata l’epicentro di una catastrofe” dice Elisa che corre di notte per cercare quella salvezza che la luce del giorno risucchia. Madrid si popola di mostri e ombre livide. Ansia, depressione e attacchi di panico creano le allucinazioni in cui Elisa sprofonda.

Navarro è brava a straniare, a dissimulare, a costellare il libro con precipizi e verità fatue come un vetro appannato. Chi è reale e chi appartiene all’immaginazione?
La lavoratrice è un libro che parla di solitudini, di ossessioni, di isolamento, di paura, di disperazione, di devastazioni che spesso avvengono in silenzio. È un libro crudo e vero.

“Da quando ero una lavoratrice freelance il mio animo naufragava, questa cosa che prima mi feriva appena stava diventando un motivo cruciale del mio turbamento”. È un’opera che parla di quella che viene chiamata “la generazione perduta”. I trenta-quarantenni condannati al precariato, marginalizzati da una società che li ignora. Vivono in stato d’assedio senza certezze, hanno perso la speranza di un futuro degno: “Il passare del tempo non cambia nulla, facciamo sempre le stesse cose ma le mascheriamo per farle sembrare differenti”.

Elvira Navarro con questo romanzo potente getta uno sguardo inedito sulla problematica più radicale dell’ultimo decennio, ovvero la precarietà lavorativa ed esistenziale e le sue conseguenze sulla stabilità mentale. Il bornout (esaurimento mentale che nasce dal disagio occupazionale e provoca esaurimento fisico e mentale, distacco crescente dal proprio lavoro e una ridotta efficienza) è stato inserito di recente dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) nell’elenco dei grandi disturbi medici.

Una prostrazione che nasce in un momento che Navarro descrive bene: “Mi pagano i lavori urgenti. Mi danno qualsiasi tipo di manoscritto da correggere. Non so quando smetteranno di contare su di me. Essendo freelance nemmeno loro si sentono in dovere di darmi spiegazioni. Il fisco mi tratta come se io avessi un’impresa, ma in pratica non sono altro che la lavoratrice esterna di un grande gruppo editoriale che non mi assumerà più. Sono scettica e mi aspetto poco. Vorrei che mi pagassero quanto mi devono, che aumentassero le tariffe per la correzione delle bozze, che non mi sovraccaricassero di lavoro, vorrei inoltre, per il numero di ore che passo a correggere, potermi permettere un appartamento per me sola in centro, avere un mese di vacanza e non provare disappunto e dover ricorrere mio padre ogni volta che mi si rompono le lenti degli occhiali”.

Senza diritti, senza certezze anche l’anima si frammenta. C’è anche un altro interrogativo. Cosa stiamo disposti ad accettare? Può essere considerato dignitoso un lavoro che fa smarrire l’identità? Nel libro c’è una forma di resistenza, una fiammella nel buio. È l’irregolarità di Susana ad aiutare Elisa. Non sconfiggerà la precarietà, ma riuscirà a sopravvivere, ad andare avanti, ritornerà a scrivere. Un’apparente salvezza.


Titolo: La lavoratrice

Autrice: Elvira Navarro

Editore: LiberAria

Prezzo: 18,00 €