Sport, perché In Italia le atlete sono tutte dilettanti?

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Chissà cosa è passato per la testa ai rappresentanti di Coni e Federazioni quando hanno deciso – senza apparenti motivi – che tutte le donne atlete in Italia dovessero essere giuridicamente inquadrate come dilettanti. Assurdo pensare che – solo per fare alcuni esempi – una calciatrice della nazionale italiana o una campionessa di sci pluri medagliata siano definite professioniste dal pubblico ma dilettanti da un punto di vista giuridico. Già perché viene sempre più difficile pensare che queste atlete debbano essere definite tali.

Secondo la definizione del Vocabolario Treccani, dilettante è “chi coltiva un’arte, una scienza, uno sport non per professione, né per lucro ma per piacere proprio”.
Peccato che invece, da un punto di vista di fatto non sia proprio così. In Italia, infatti, sono sempre di più le atlete che fanno di una disciplina sportiva la propria professione. Professione che spesso non lascia il tempo ad altre attività.

calcioMa quali sono i contorni di tipo normativo? La Legge 91/1981 – “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” , nota ai più come la “Legge sul professionismo sportivo” è il primo nonché unico, ad oggi, intervento statale, che disciplina il lavoro sportivo. D’altra parte gli interventi statali nel mondo sportivo, sono sempre molto centellinati e quasi sempre effettuati in situazioni di urgenza. Sono pochi, anche perché l’ordinamento sportivo è autonomo e “mal digerisce” interventi esterni, che in qualche modo possano minare il proprio terreno.

Ecco perché la legge, nell’enunciare all’art 2 l’ambito applicativo, lascia campo aperto alle Federazioni, rimandando loro la scelta di aderire o meno al settore professionistico e al Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI – la definizione di professionismo e dilettantismo. Tuttavia, in questi anni il CONI non mai precisato quale fossero il criteri per definirlo e allo stesso modo nessuna Federazione si è preoccupata di chiederli.

Ai  fini  dell'applicazione  della  presente  legge,  sono sportivi
professionisti    gli    atleti,    gli   allenatori,   i   direttori
tecnico-sportivi   ed   i   preparatori   atletici,   che  esercitano
l'attivita'  sportiva  a  titolo oneroso con carattere di continuita'
nell'ambito  delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono
la  qualificazione  dalle  federazioni sportive nazionali, secondo le
norme  emanate  dalle  federazioni  stesse,  con  l'osservanza  delle
direttive  stabilite  dal  CONI  per  la  distinzione  dell'attivita'
dilettantistica da quella professionistica.

A causa quindi di questo plurimo buco normativo ad oggi, non sappiamo di preciso cosa si intenda per dilettantismo in Italia. Come si è detto, la legge 91/1981 non dà alcuna definizione in merito, tanto è vero che il dilettantismo deve essere definito a contrario: vale a dire che tutto quello che non è professionismo è quindi dilettantismo.

basket-azzurreLa distinzione tra le due macro-aree non può essere fatta considerando il valore, la portata economica, ma esclusivamente sulla base dell’ordinamento sportivo. Dunque un’attività, anche con carattere continuativo e oneroso, se svolta in un settore di una Federazione che non è professionistica rimarrà sempre dilettantistica. Ad oggi sono solo quattro le Federazioni Sportive Nazionali – e più precisamente Calcio, Basket, Golf, Ciclismo – hanno riconosciuto al proprio interno il professionismo, ma solo per certi livelli (ad esempio nella FIGC solo chi è tesserato per le Leghe di Serie A, B e Pro) e soprattutto solo per gli uomini. Quindi – come già accennato sopra – tutte le atlete in Italia tesserate presso una Federazione sono inquadrate giuridicamente come dilettanti.
Non importa se giochino per la nazionale italiana o siano campionesse olimpiche.

In termini più pratici significa che a loro viene esclusa qualsiasi forma di lavoro, che sia autonomo o subordinato. Da ciò ne discendono una serie di svantaggi e mancanze di tutele, che invece sono proprie del professionismo. Non hanno – ad esempio – contratti di lavoro che garantiscano compensi mensili, compensi previdenziali, tutele assicurative e non hanno la possibilità di accedere a contrattazioni collettive. In alcuni sport – il calcio ad esempio – hanno anche tetti massimi salariali.

calcio3Questa introduzione normativa è per fare un punto sulla situazione che troppo spesso ultimamente viene distorta. Quante volte si legge che, apportando “semplici” modifiche alla 91/81 si risolverebbe il problema introducendo il professionismo anche per le donne. Il ddl 972 presentato nel novembre scorso a prima firma della senatrice Alessandra Maiorino (M5s), ad esempio, propone di aggiungere all’articolo 2 la dicitura: “Per ogni disciplina regolamentata dal CONI è vietata qualsiasi forma di discriminazione di genere da parte delle federazioni sportive nazionali per quanto attiene la qualifica di atleta professionista”. Nella stessa direzione, con altra dicitura, va anche il ddl a prima firma di Claudio Barbaro (Lega Nord).

Ma in realtà il passaggio al professionismo per le donne è assai più complesso e non può essere semplicemente imposto per legge. Sarebbero necessari dei passi intermedi e le proposte di legge in questa direzione non mancano. Uno in particolar modo prevede per lo sportivo la figura di lavoratore – senza distinguere però tra professionismo e dilettantismo – alla quale vengono attribuite maggiori tutele. E proprio le tutele e l’assistenza previdenziale potrebbero essere i primi passi per andare verso il professionismo anche al femminile. In questo senso un grande esempio potrebbe venire dal calcio, che come sport nazionale in Italia è in grado di dettare la linea. E i tempi stanno maturando velocemente.