Un anno fa Mario Morcellini definì in un’intervista ad Alley Oop la generazione dei 30-40enni “sotto scacco”. Una generazione ‘terra di mezzo’ investita, comparativamente di più dei giovani 20-30enni, dalla tempesta della crisi economica, ancora alla continua ricerca di un reddito sicuro e, dunque, costretta a procrastinare scelte fondamentali di vita. Oggi, a distanza di un anno, il sociologo Morcellini, già prorettore della Sapienza e oggi commissario Agcom, torna sul tema della sofferenza di questa generazione, che tante condivisioni, dibattiti e applausi ha suscitato in questi mesi. E punta l’indice su una misura di cui oggi si parla tanto: il reddito di cittadinanza.
Una scelta politica, afferma il sociologo ad Alley Oop, “che ha ovviamente, al di là delle intenzioni e delle modalità tecniche, un impatto diverso sulle fasce d’età. Può aumentare infatti il senso di frustrazione delle generazioni meno giovani e soprattutto del cluster dei 30-40enni”. Del resto, c’è una differenza “drammatica tra reddito di cittadinanza e lavoro: quest’ultimo riduce la possibile percezione di inutilità, mentre il reddito di cittadinanza può paradossalmente rischiare di aumentarla, perché risana in qualche misura i buchi di disoccupazione, ma non è escluso che possa rendere meno convinta la ricerca attiva di un lavoro. È evidente che siamo di fronte ad una scelta politica legittima ma, in questo Paese e in tempi di risorse scarse, rischia di essere probabilmente elemento di allungamento dei tempi di attesa del lavoro”. E, a differenza della fascia d’età più giovanile, “per i 30-40enni il procrastinarsi dell’attesa costituirebbe ovviamente un danno psicologico e identitario ben più grave”.
“La differenza con i 23-30enni? È quella di non aver esaurito la speranza”
C’è infatti una “radicale diversità tra le fasce d’età 23-30 e 30-40. Per i primi, i tempi di attesa sono psicologicamente duri ma ancora sostenibili; superati i 30 anni tutto diventa invece più irreparabile, inclusa la capacità dinamica di inventarsi ricerca e soluzioni lavorative. La politica invece sembra continuare su una scelta ottica che rende più appariscenti i giovani di 20-30 anni, quelli ai quali è consentita una speranza.
Il fatto che ci sia disoccupazione in quella fascia d’età è storicamente e intuitivamente sempre più plausibile per l’aumento del numero dei laureati e la conseguente ricerca di una congruenza tra studi fatti e posizioni professionali. Anche nel passato, e dunque ben prima dell’impatto della crisi economica, i tempi di attesa per le professioni pregiate e soprattutto per quelle della conoscenza erano più allungati.
È per queste peculiarità anagrafiche del caso italiano che la scelta di una soluzione, praticata in altri Paesi e timidamente avviata anche in Italia, si rivela certamente legittima a condizione però che la sua interpretazione sociale non implichi un allontanamento dalla prospettiva di un lavoro”. Sotto questo aspetto, un monitoraggio attento e tempestivo può correggere eventuali distorsioni.
“La politica è in difficoltà a fondare le proprie strategie sui dati”
In generale “questo governo, almeno in termini di comunicazione pubblica, ha sollecitato attese nel mondo dei 30-40enni” ma “abbiamo, ancora una volta, la riprova che la politica è in difficoltà a fondare le proprie strategie sui dati. Dal punto di vista elettorale, è difficile distinguere la fascia dei 20-30enni, anch’essa bisognosa di attenzioni, da quella dei 30-40enni. Dove vedo allora un problema politico e scientifico che altrimenti rimarrebbe sullo sfondo? Il fatto che la strada scelta sembra unicamente quella del reddito di cittadinanza”.
Ma allora qual è la soluzione? “E’ difficile ovviamente prescindere da una scelta di tipo politico, ma hanno ragione anche quanti chiedevano investimenti per lo sviluppo. Certo in Italia non mancano studiosi ed esperti che possano indicare le policies capaci di trasformare l’incremento di risorse economiche in previsioni verificabili di aumenti immediati della forza lavoro”. Non mancano neppure, prosegue Morcellini, “studiosi e casi internazionali a cui fare riferimento. In Italia la crisi ha avuto gli effetti più disastrosi, e questo significa che non abbiamo neanche studiato e imparato da errori e proposte virtuose e sostenibili, messi in campo dal nostro e da altri Paesi. Sappiamo che l’economia non guarda in faccia ai soggetti politici, ma ai principi generali di funzionamento e di sostenibilità”.
È comprensibile, continua lo studioso, “l’orgoglio di annunciare una misura innovativa come quella del reddito di cittadinanza. Ma sarebbe più prudente combinare una tale politica di welfare con una previsione di investimenti che mettano in sicurezza la strategia di sostegno ai giovani”.
“I giovani non mostrano adeguata capacità di difendere i propri interessi”
Al di là del voto, conclude Morcellini, “i giovani non hanno mostrato un’adeguata capacità di difendere i propri interessi, pur avendo legittimamente votato per il cambiamento. Non facciamoci ingannare dalle risposte sbrigative sui social perché in realtà i giovani non sono intervenuti in modo collettivo sul reddito di cittadinanza. È stata la politica che ha scelto per loro, e non basteranno eventi per costruire una comunicazione adeguata di questa scelta. È vero che consultare i giovani è un’impresa tutt’altro che facile e avrebbe certo differito i tempi di un progetto che evidentemente punta all’effetto di annuncio, ma dobbiamo evitare che questa misura appaia come un’invenzione di una nuova élite politica alla quale i giovani delusi (che ci saranno inevitabilmente) venga in mente una celebre frase Frantz Fanon: non saranno mai i bianchi che faranno le leggi che servono per i neri.”