Uso del tempo: come cambia dopo il matrimonio?

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La formazione di una famiglia, cioè la transizione dalla condizione di celibe e nubile a quella di coniuge, comporta una sensibile modifica nell’uso del tempo di uomini e donne, conseguente alla marcata divisione del lavoro di genere tra produzione domestica e produzione per il mercato (Tab. 1).

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La formazione di una famiglia avvia infatti una produzione di beni e servizi alternativa a quella per il mercato ma altrettanto utile, e questa attività domestica modifica le scelte sull’uso del tempo di entrambi i coniugi. Ad esempio, le donne nubili impiegano più tempo per dormire, mangiare e cura della persona rispetto agli uomini celibi (48,2% contro 47,5%), ma dopo le nozze le parti si invertono: il tempo usato dagli uomini sposati per queste attività aumenta rispetto a quello degli scapoli (da 47,5% a 47,9%), mentre quello delle donne coniugate si riduce rispetto a quello delle nubili (da 48,2% a 47,1%). Ma è soprattutto il tempo libero che si comprime drasticamente per la componente femminile della coppia dopo il matrimonio (da 19,0% a 16,0%), mentre si incrementa per la componente maschile, anche se di poco (da 22,1% a 22,4%).

Nella vita di coppia le ore di lavoro aumentano rispetto alla condizione di single, soprattutto per le donne. I dati mostrano infatti che il tempo complessivamente dedicato al lavoro dalle nubili non è molto maggiore di quello dedicato al lavoro dagli scapoli (18,8% contro 17,2%), ma dopo il matrimonio le ore di lavoro rappresentano il 31,0% della giornata di una donna, contro il 22,9% della giornata di un uomo.

La formazione della coppia è sufficiente a produrre questa divisione di genere delle attività da svolgere quotidianamente, anche in assenza di figli, e la disparità di tempo dedicato alla produzione domestica non cambia apprezzabilmente neppure quando entrambi i coniugi sono nella condizione di occupato; anche in questo caso, infatti, le donne svolgono più del doppio del lavoro familiare rispetto agli uomini, sia nelle coppie con figli (20,4% contro 8,5%), sia in quelle senza figli (13,8% contro 6,4%).

Questa ineguale divisione del lavoro produce la perenne “fame di tempo” delle donne sposate che lavorano, e le costringe all’affannosa ricerca di una posizione di equilibrio tra i due fuochi della loro doppia presenza: retribuzione e carriera da un lato (la realizzazione del proprio talento sul mercato del lavoro) e identità di genere dall’altro (essere una buona moglie e una buona madre in famiglia).

La differenza di genere nell’uso del tempo è riconducibile a due possibili cause: la diversità delle preferenze di uomini e donne (sia genuine sia condizionate dagli stereotipi di genere), e la diversità dei costi e dei benefici che discendono dalle loro scelte (la struttura degli incentivi).

La semplice osservazione dei dati non permette di separare la componente attribuibile alle differenze nelle preferenze da quella determinata dalla diversa struttura degli incentivi. Ma, dal punto di vista economico, ciò che più rileva è proprio il cambiamento del comportamento degli agenti in risposta al cambiamento della struttura degli incentivi che si verifica a seguito di specifici provvedimenti di politica economica. Infatti, anche se le donne avessero lo stesso ordinamento di preferenze degli uomini, farebbero le loro stesse scelte solo in presenza di una identica struttura degli incentivi; ma poiché i costi e i benefici abbinati ad ognuna delle possibili alternative di scelta sono generalmente diversi per maschi e femmine, ne consegue che le donne compiranno scelte diverse rispetto a quelle degli uomini; scelte libere, razionali, informate e motivate dal proprio tornaconto esattamente come son quelle degli uomini, ma diverse, perché rispondono ad una diversa struttura dei costi e dei benefici. Pertanto, l’ineguale ripartizione del lavoro tra i sessi evidenziata nella Tab. 1 è la rappresentazione delle scelte di donne e uomini data l’attuale struttura degli incentivi; le decisioni osservate sarebbero però diverse in circostanze diverse (cioè rimuovendo il condizionamento degli stereotipi sulle preferenze genuine o modificando la struttura degli incentivi mediante opportuni provvedimenti di politica economica).

Tra i provvedimenti di politica economica volti a ridurre l’ineguale divisione del lavoro di genere sono ben note le politiche di conciliazione tra lavoro familiare e lavoro retribuito e di condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne. Ma, di recente, il Parlamento europeo sembra puntare più in alto. La Risoluzione 2018/2077(INI) esorta infatti gli Stati membri a perseguire un approccio che ribalta la divisione del lavoro nell’intero ciclo di vita di ogni persona, uomo o donna, sostituendo il modello di distribuzione “verticale” delle attività, attualmente prevalente, con quello “orizzontale” rappresentato nella Figura 1.

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Fig. 1 – Distribuzione delle attività in base all’età

Fonte: Liedtke (2005) http://www.newwelfare.org/wp-content/pdf/N2.pdf

Nella Risoluzione si legge infatti: “E’ importante che nell’ambito delle politiche relative all’equilibrio tra vita privata e vita professionale si adotti un approccio orientato all’intero ciclo della vita, in modo che tutti possano essere sostenuti nei diversi momenti della propria vita e possano partecipare attivamente al mercato del lavoro e alla società nel suo insieme”. A tal fine “sono necessarie politiche moderne, solide, trasversali, strutturali, coerenti e complete, che includano incentivi e misure efficienti per favorire la conciliazione tra il lavoro, la possibilità di dedicare tempo alla famiglia e agli amici e di prendersi cura dei familiari, il tempo libero e lo sviluppo personale”. E’ “necessario soprattutto un cambiamento culturale a livello della società, che prenda di mira gli stereotipi di genere, affinché il lavoro e le attività di cura siano ripartite in modo più equo tra gli uomini e le donne”.