In quanti possono vantare una casa degna di un museo di design, un luogo in cui trovare l’ispirazione? Una di questi è Cristina Celestino, classe 1980, designer e architetto corteggiatissima da brand fashion e non solo: “Sono nata in Friuli in un paesino di campagna, vicino a Pordenone. Ho sempre amato i giochi tutti da inventare; uno dei miei preferiti era una grande bobina di carta sottilissima che mi regalò mia madre su cui disegnavo grandi poster che appendevo in camera”, racconta. Poi Cristina frequenta il liceo scientifico e durante una lezione di storia dell’arte arriva la folgorazione: “Avevo una professoressa bravissima che era anche architetto e dava un taglio molto particolare alle sue lezioni, con un focus sull’architettura e sugli interni. In particolare ricordo una lezione al 5° anno di liceo riguardante le case dei grandi architetti costruite intorno agli anni ‘30. Progetti come la Villa Savoye di Le Corbusier, la casa Müller di Loos e la Villa Tugendhat di Mies Van der Rohe in cui gli architetti si erano occupati di ogni cosa, dall’architettura ai rivestimenti per arrivare alle maniglie”. Opere d’arte totale che lasciano il segno sulla giovane studentessa, colpita da “una visione dell’abitare così complessa” da decidere di proseguire gli studi universitari seguendo i nuovi interessi. “Scelsi così di studiare architettura o design anche se al momento non avevo ben chiara la differenza fra i due. La facoltà del design era a Milano mentre lo IUAV a Venezia aveva comunque una buona nomea e così cominciai a studiare lì architettura. Oltre ai corsi progettuali ero affascinata dai corsi di storia dell’architettura. Uno dei miei docenti è stato il Prof. Dal Co, che mi ha fatto appassionare moltissimo alla materia. Ricordo ancora le sue lezioni, una su tutte quella su Carlo Scarpa, quasi commovente!”. Una passione, quella per la storia dell’architettura, che Cristina sente ancora molto: “ancora adesso consulto i libri sui quali avevo studiato per trovare ispirazione per i miei progetti attuali”, racconta la progettista.
“Dopo la laurea nel marzo 2005 ho riscoperto un forte interesse per gli interni e per gli arredi. Ho iniziato ad acquistare moltissimi libri sugli oggetti di design, passando poi alle monografie. Studiando e informandomi ho cominciato a desiderare di possedere questi pezzi, a capire dove poterli trovare. Ho iniziato a frequentare i mercatini di antiquariato, a studiare i cataloghi delle aste e a mettere insieme una mia piccola collezione”, dichiara Cristina. Una collezione che le tornerà utile qualche anno dopo. Cristina inizia il primo lavoro presso lo studio di Massimo Carmassi, suo relatore: “Mi occupavo di edifici a scala urbana, di scuole… Mi piaceva la parte di ricerca preliminare ma quando poi mi trovavo a lavorare sugli infissi ho capito che disegnare dettagli costruttivi non era il mio futuro”.
Dopo 5 anni a Firenze nel 2010 Cristina vuole cambiare contesto, manda curricola a Milano e riceve risposta da Sawaya & Moroni: “Oltre ai prodotti si occupavano anche di interni ed è lì che ho iniziato a progettarne io stessa. Un mio collega invece si occupava di prodotti che venivano presentati al Salone del Mobile. È stato così che ho iniziato a vivere anche io, indirettamente, il fermento legato a quel momento dell’anno, vedendo campioni di materiali, prototipi e foto che mi passavano tra le mani”, dichiara la creativa, che nel frattempo continua a dedicarsi alla ricerca di pezzi di modernariato: “Ero diventata una vera e propria collezionista, esperta di case d’asta, mercatini, una passione che condividevo anche con il mio compagno. Cercavo soprattutto lampade, particolari, realizzate magari con materiali inconsueti. Ricordo ancora il primo acquisto, due lampade di Luigi Bandini Buti per Kartell! Avere questi pezzi di design in casa mi consentiva di osservarli ripetutamente con attenzione. La svolta c’è stata quando ho capito che potevo passare dal collezionismo a progettare io stessa arredi e non solamente interni”.
Così Cristina inizia a disegnare oggetti di notte e nei weekend, senza sosta, parallelamente al lavoro da Sawaya & Moroni: “Nel 2012 ho deciso di partecipare al Salone Satellite, dove ho presentato diversi progetti tra cui gli Atomizer e il mobile voliera, mostrandomi al pubblico con il mio brand ‘ATTICO‘, un nome dato un po’ con ingenuità che mi ricordava un periodo vissuto a Roma all’ultimo piano di un palazzo. Un nome che ho sempre associato all’idea di lusso”, dichiara Cristina. Una scelta sul naming che si rivela azzeccata. “Al Satellite mi sono resa conto che c’erano molti designer di Milano che facevano questo mestiere tutto l’anno, per professione, che conoscevano bene i meccanismi della stampa, diversamente da me che ero estranea al sistema Design. In un certo senso credo sia stato meglio così perché non avevo aspettative; da una parte avevo acquisito una mia maturità lavorativa – diversamente da chi inizia a progettare subito dopo l’università –, dall’altro la consapevolezza di una storia del design imparata da autodidatta, per passione, senza costrizioni. Ricordo al Salone Satellite che tutti erano in attesa di aziende e giornalisti; c’erano Cristina Morozzi e Martino Gamper che si aggiravano nello stand ma io non conoscevo i loro volti, non sapevo riconoscerli!” spiega divertita la designer.
L’esperienza del Salone è proficua e Cristina riceve molte richieste dalle Gallerie, ma non è solo quello un grande risultato: “Avevo fatto uno studio rispetto alla stampa online e avevo capito l’importanza dei blog come Designboom ai quali ho inviato la mia cartella stampa. La combinazione di belle foto e di una storia dietro al progetto ha fatto sì che iniziasse il tam tam mediatico, così da ricevere moltissime pubblicazioni in tutto il mondo. Poi sono iniziate le richieste della stampa tradizionale, così la mia collezione ha trovato spazio anche sulle riviste cartacee”. Insieme al successo mediatico arrivano anche i primi, consistenti ordini: “Ricevevo molte richieste per gli Atomizer, era faticoso stare dietro al progetto da sola insieme al mio vetraio di fiducia”, precisa. Poi però Seletti la contatta per mettere in produzione i suoi oggetti in vetro, e la stessa situazione si ripeterà successivamente con altri prodotti: “Di anno in anno presentavo progetti e l’anno successivo le aziende si facevano avanti per poterli produrre. Poi la situazione è cambiata, le aziende hanno iniziato a contattarmi dandomi dei briefing precisi”.
Nel mentre Cristina lascia il primo lavoro milanese per passare allo showroom di Strato Cucine: “Avevo bisogno di un giorno libero per dedicarmi alla mia collezione e così ho deciso di cambiare; da Strato c’era grande attenzione ai materiali e alle lavorazioni”, cose che le sarebbero venute utili in futuro.
Dopo la nascita della sua bambina, nel luglio 2013, Cristina sente l’esigenza di lavorare da sola: “Il primo periodo da sola non è stato facile, non sono arrivate subito molte richieste ma notavo comunque una crescita e un riscontro sempre maggiore. Per questo motivo non ho mai pensato di tornare indietro. Continuavo a lavorare e a mettercela tutta come avevo fatto negli anni precedenti”, confida. “L’anno della maternità decisi strategicamente di disseminare per la città miei progetti autoprodotti, come ad esempio una collezione di vetri esposti all’hotel Baglioni o la mia prima toeletta esposta alla collettiva di Padiglione Italia a Lambrate”.
Il 2016 è l’anno della consacrazione per Cristina Celestino: “Bottega Nove, un’azienda di ceramica di Nove, mi dà l’incarico di seguire la direzione creativa. Per loro ho creato tutta l’identità e il catalogo nonché la nuova collezione di rivestimenti Plumage – premiata e ancora oggi acclamata – rivedendo e aggiornando le collezioni già presenti, dando una storia ad ogni prodotto. Ero in ansia, è stata una dura prova ma sono riuscita a superarla anche grazie ai miei collaboratori”. La creatività della designer viene notata anche da brand di altri settori, come Fendi: “Mi hanno contattato per la fiera Design Miami, per creare una collezione di arredi. Era la prima volta che lavoravo per un brand del lusso, un grande committente per realizzare una grande collezione. Ho gestito non solo il progetto ma anche la produzione dei pezzi in pochissimo tempo. Mi dissero: ‘Ti abbiamo scelta per il tuo linguaggio, per l’uso del colore e l’ironia. Sii te stessa’”. Il lavoro per Fendi ha un grande riscontro, al quale segue un’altra art direction per Fornace Brioni e una per Sergio Rossi: “Con Fornace Brioni è stata una bella prova, simile a quella di Bottega Nove. Ho imparato a lavorare con un nuovo materiale – il cotto – dando una nuova immagine all’azienda, che era legata a prodotti tradizionali. Nuovo logo, nuovo catalogo e nuove collezioni, come ‘Giardino all’Italiana’.
Per Sergio Rossi invece ho realizzato l’interior design e una collezione di arredi per il nuovo concept dei loro negozi a livello mondiale. Dopo il cambio di proprietà il focus si è spostato sulle collezioni di calzature femminili e ho lavorato per far corrispondere questa nuova idea di femminilità nei punti vendita. Ho fatto un grande lavoro di ricerca in archivio, dove mi sono lasciata ispirare da pezzi come il Sandalo Opanca degli anni ’70 o gli stivali fascianti; entrambi sono stati importanti riferimenti progettuali per ideare nuove sedute e arredi”. Progetti di questo calibro portano con sé sempre qualche riflessione: “I lavori di direzione creativa sono molto impegnativi ma sono quelli che mi appassionano di più. Quando mi chiama un’azienda per progettare un solo prodotto penso sempre che poi potrebbe finire in un catalogo, insieme ad altri, senza la possibilità di essere compreso appieno. I lavori in ambito moda invece sono veloci ma dal punto di vista creativo danno grande soddisfazione; ho avuto carta bianca e riuscire a esprimersi così, con una collezione completa, non capita tutti i giorni con le aziende di design”, dichiara Cristina. Quello che è chiaro è che ogni progetto è accompagnato da una approfondita fase di ricerca: “Parto sempre da una ricerca libera in quello che è il mio mondo di riferimento, l’architettura dal rinascimento al Settecento per arrivare a Le Corbusier o a Scarpa. Cerco finché non avviene l’illuminazione. Amo molto il mondo della moda – per la freschezza e la velocità estrema con cui si rinnova –, dei gioielli – per i dettagli funzionali che uso fuoriscala nei miei progetti –, i riferimenti provenienti dalla natura – che offre texture, colori e volumi unici –”.
Nel frattempo la collezione di Cristina si è ampliata, fino a richiedere una nuova sede, una nuova casa: “Cercavamo un’abitazione originale, non modernissima, con un grande soggiorno che potesse accogliere le lampade – una su tutte la lampada Chiara di Bellini – e i divani Tecno. Grazie alla mostra in Triennale sul designer e imprenditore Osvaldo Borsani abbiamo scoperto che nel nostro appartamento c’è la sua mano; sicuramente ha progettato il camino, i mobili appenderia e la porta scorrevole”. Una casa ideale per una creativa come Cristina, capace di trovare ispirazione nei più piccoli dettagli: “Al momento abbiamo arredato con un mix di pezzi disegnati da me e la mia collezione di modernariato. Quando sono giù di morale ho bisogno di acquistare un nuovo oggetto di design ma ormai la casa è quasi satura; per questo motivo c’è un grosso via vai di pezzi che cambiano, restando comunque sempre coerenti fra di loro”. Una casa in divenire, proprio come l’estro di Cristina, già al lavoro in vista del Salone 2019.