La mattina del 20 ottobre ho fatto quello che faccio tutte le mattine. Apro Facebook, guardo brevemente le storie e le notizie condivise dalla bolla dei miei contatti che curo da anni con molto amore. E poi clicco l’opzione “Memories”. Mi piace sempre ricordare cosa scrivevo e condividevo in passato. Otto anni fa appuntavo una citazione di Alekos Panagulis, rivoluzionario e compagno di Oriana Fallaci, protagonista del romanzo Un Uomo. Panagulis nel 1972 recluso nel carcere di Boiati in Grecia scriveva:
Le lacrime che dai nostri occhi
vedrete sgorgare
non crediatele mai
segni di disperazione
promessa sono solamente
promessa di lotta
Penso alle lacrime che la mattina del 24 giugno del 2016 mi scivolavano lungo le guance quando attraversavo le vie di Shoreditch a Londra per andare in ufficio. Nei giorni del referendum stavamo tenendo un appuntamento con tutti i colleghi degli uffici europei dell’azienda per cui lavoravo allora, in quello che era il quartiere generale della regione EMEA. Quella mattina era appena stata annunciata la vittoria del Leave. Camminavo e pensavo alle opportunità di vita, di studio, di amore, di amicizia e di lavoro che proprio Londra mi aveva dato. Non mi sono mai sentita così europea come quel giorno. O forse da quel giorno mi sono sentita profondamente europea.
Il risultato referendario è stato un trauma per Londra, città che insieme alla Scozia e all’Irlanda del Nord è stata una delle poche sacche di passione europea che hanno resistito a una delle campagne elettorali più viscerali e cariche di bugie e significati della storia della politica europea.
In tanti abbiamo pianto quel giorno. Famiglie miste, persone che hanno costruito la loro vita in questo Paese, persone che qui hanno potuto costruirsi sogni e opportunità. Ma anche chi qui non vive più o non ci ha mai vissuto, ha vissuto questo referendum come un colpo mortale all’idea della Patria europea. Quell’ideale che da italiani, conterranei degli autori del Manifesto di Ventotene Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, figli di uno dei Paesi fondatori, forse sentiamo ancora più forte.
In questi due anni il trauma ha passato diverse fasi. Si è espanso oltre ai confini del Regno Unito. Dalla vittoria di Trump, alla vittoria sfiorata di Marine Le Pen in Francia, Matteo Salvini Ministro degli Interni in Italia. Leggendo le notizie dall’Italia ho spesso quelle stesse lacrime che spingono per sgorgare dagli occhi. Una lacrima per i migranti della Nave Diciotti, usati come merce di negoziazioni proprio con la Commissione Europea; gli arresti del sindaco di Riace Mimmo Lucano; le merende di Lodi. E nel frattempo il Regno Unito che si avvita in un dibattito sempre più assurdo intorno agli scenari possibili di uscita dall’Unione Europea. Scenari sempre più insani: l’uscita senza nessun accordo, l’uscita che spacca l’Irlanda dall’Irlanda del Nord, mandando a quel paese il famoso accordo del Venerdì Santo che ha fermato le violenze del conflitto nord irlandese. Le migliaia di persone in meno che quest’anno sono arrivate nel Regno Unito dal resto d’Europa, causando qualche preoccupazione alle aziende britanniche più o meno grandi. La sterlina che continua a vacillare sul mercato dei cambi. Tutti elementi che non erano emersi con la chiarezza necessaria durante la campagna elettorale. Probabilmente oscurati dalla pubblicità sull’autobus in cui si prometteva di portare 350 milioni nelle casse dell’NHS, il servizio sanitario nazionale, senza contare come gli europei facciano indissolubilmente parte del servizio stesso. Una menzogna, quella dei 350 milioni al NHS, che è stata ammessa dai suoi stessi ideatori quasi subito dopo il voto.
Dentro di me penso che solo una forte difesa dell’Europa possa garantire sogni, valori, umanità, benessere. Ma ci vuole molto coraggio per continuare a lottare. Ci vuole molta resilienza.
Sabato 20 ottobre altre lacrime fanno capolino dai miei occhi. Ma questa volta sono dolci, forti, coraggiose. Ho appuntamento con Kate e Lucy in un pub a due passi dalla fermata della metropolitana di Green Park. Il piano è di bere una pinta e poi spostarci al presidio di inizio della People’s Vote March, lungo il confine di Green Park. Chiederemo che venga convocato un secondo referendum sulla Brexit.
Esco dal vagone della metropolitana e mi sembra di sentire un’ondata di energia positiva. Penso di essere la solita emotiva. Sempre alla ricerca di emozioni forti. C’è tantissima gente alla fermata che si fa strada verso la scala mobile. Vedo le bandiere blu arrotolate intorno alle aste. Qualcuno trascina pannelli bianchi su cui ancora non sono stati scritti gli slogan che verranno ripresi da tante testate e in tante fotografie alla fine della manifestazione. In molti indossano sul capo il baschetto blu con le stelle gialle che fa parte del merchandising promosso per la manifestazione. Noto un gruppo di uomini piuttosto panciuti che indossano con orgoglio l’adesivo giallo fosforescente “Bollocks to Brexit” che ho già visto altre volte sfoggiato per le strade di Londra in questi mesi.
L’oceano è grande solo quando lo guardi dall’alto. O quando fai mente locale per pensarlo. Ma quando ci sei in mezzo vedi solo il pezzo di acqua salata in cui stai nuotando. Ma mi rendo conto che quell’emozione che provo, quella sensazione di infinito che si avvicina non è solo mia. Sto per salire sulla scala mobile quando una signora dice “It’s incredible”. Non ci crede nemmeno lei. La guardo e con mio accento italiano che anni di Londra non sono ancora riusciti a togliermi le dico “It is incredible”. Ci guardiamo negli occhi e scorgo nei suoi le stesse lacrime di gioia e speranza che sento nei miei.
Arrivo al pub, bevo una birra Moretti mentre Kate, Lucy e Neet sorseggiano una Pale Ale. Neet è un’amica di Kate arrivata a Londra da Brighton apposta per la manifestazione. Intorno a noi ci sono persone con bandiere, cappellini, cartelli, adesivi. La bandiera blu con le stelle simbolo dell’Unione Europea è dappertutto.
Quando sei in mezzo all’oceano le distanze non si misurano in metri. E nemmeno nel volume d’acqua che percepisci intorno a te. Solo il tempo diventa la vera metrica. Rimaniamo ferme per due ore a Park Lane immerse nella folla a godere dei cartelli intorno a noi e del sole caldo sulla pelle. La marcia, per quanto ci riguarda, non accenna a partire in direzione Westminster. Iniziamo a camminare solo alle due. Non escludo che la testa del corteo, aperta dal sindaco di Londra Sadiq Khan sia già bella che arrivata a destinazione. L’oceano di persone è troppo immenso per muoversi con tempi normali.
Definire la People’s Vote March una marcia anti-Brexit non è totalmente corretto. È una marcia che chiede che ai cittadini britannici venga data una possibilità di decidere. Le persone chiedono un referendum che permetta di esprimersi sia sui termini dell’accordo di uscita dall’Unione Europea che il Primo Ministro Theresa May dovesse riuscire a negoziare sia su un’eventuale opzione per restare nell’Unione Europea. Chiedo a Kate di spiegarmi perché secondo lei il secondo referendum è importante. Parto dalla mia premessa: “non è rischioso portare le persone a votare e vedere semplicemente confermato il risultato del primo referendum?”. “Certo che è rischioso. Ma quando abbiamo votato la prima volta non sapevamo i termini con cui sarebbe stata negoziata l’uscita. Senza contare tutte le bugie su cui è stata basata la campagna elettorale. Dobbiamo poter votare sulla base dei fatti”.
Mi viene in mente un cartello che ho visto qualche minuto prima: “Brexit grass is greener because it is fertilised with bullshit”. In 10 parole mi sembra di leggere una precisa analisi delle dinamiche politiche e di comunicazione che hanno caratterizzato tutta questa storia.
Siamo tanti, tantissimi, e chiediamo verità. Gli elettori britannici chiedono una seconda possibilità. Non per riportare indietro le lancette nel tempo. Ma per prendere una decisione informata. Sembra ingenuo. Ogni domanda che mi faccio sembra trovare risposta in un cartello. “Queste cose sono troppo complicate per essere raccontate sulla fiancata di un autobus. Figuriamoci su un cartello”. Il riferimento è all’autobus sponsorizzato dalla campagna per il Leave in cui si prometteva che i soldi risparmiati dall’Unione Europea fossero investiti nell’NHS, il servizio sanitario nazionale.
Mi domando se abbia senso fare un altro referendum. Ma poi a a Trafalgar Square, a pochi passi dal carro dei DJ contro la Brexit che pompa musica techno mi fermo a leggere un altro cartello: Rispettate la volontà di Cambridge Analytica, delle Interferenze Russe, di Bannon, del popolo britannico. Ma nel cartello le parole “Cambridge Analytica”, “Interferenze Russe” e “Bannon” sono cancellati con una riga. E si legge solo “Rispettate la volontà del popolo britannico”. Qualcuno potrebbe dire che la democrazia ha già fatto il suo corso. Ma se la democrazia è il governo del popolo e se un popolo sta affrontando un passaggio epocale mai vissuto da altri prima, forse la democrazia non deve attrezzarsi per rispondere a un bisogno?
A Londra il 20 ottobre non c’era solo il Regno Unito. Sono tante le persone che portano una doppia bandiera. Una ragazza porta la bandiera tedesca e quella europea. Un gruppo di polacchi sventola il proprio bianco e rosso e il blu e il giallo dell’Europa. Da qualche parte so – perché vedo i messaggi su Whatsapp – che ci sono gli italiani che vivono a Londra con le bandiere del partito di Emma Bonino, Più Europa. Non sono riuscita a rintracciarli nell’oceano. Ci sono i ricercatori universitari che hanno scelto Londra, come per esempio gli studenti di storia con i loro cartelli scritti con il pennarello blu “Historians for Europe”. Ci sono le femministe e il movimento LGBT, che ha convocato la partecipazione alla manifestazione perché per tante persone i diritti civili sono derivati dalle sentenze della Corte di Strasburgo. Ci sono i pensionati che chiedono il diritto di potersi vivere la pensione in giro per l’Europa, dalla Spagna al Portogallo.
Siamo solo un oceano di persone che ha voglia di verità e di uguaglianza. Persone che vogliono uno spazio senza confini. Qualcuno dice che si tratta di un elite. Forse bisogna chiederlo a chi è arrivato a Londra da tutto il Regno Unito per partecipare alla manifestazione a bordo di uno degli autobus pagati dall’attore Ian McEwan e dalle altre celebritá. Io ci vedo tutti straordinariamente uguali.
Io non lo so chi vincerà questa lotta. So che un oceano di bandiere dell’Unione Europea non avrei mai pensato di vederlo nella vita. E che questa forte, speranzosa marcia di 700,000 persone con i loro ironici cartelli forse non fermerá la Brexit. Ma forse potrebbe fermare le forze che vogliono distruggere l’Unione Europea. Perché tutto questo amore, tutta questa voglia di verità, tutto questo orgoglio transnazionale sono l’incoraggiamento più grande per credere che uniti siamo più forti.