Secondo Shirin Ebadi, avvocato e pacifista iraniana premiata nel 2003 con il premio Nobel per la pace, “Sono le donne a scrivere la storia del mondo. Dovrebbe esserci un museo delle donne in ogni città del mondo”. Ad oggi a livello mondiale le iniziative che promuovono la figura femminile sono 88, suddivisi in musei, musei virtuali, organizzazioni/associazioni gender-oriented e iniziative autonome. Dal Senegal all’Australia passando per l’India senza tralasciare l’Europa e gli Stati Uniti – che raggruppano il maggior numero di musei – ogni nazione racconta in modo diverso l’universo femminile e le tematiche di genere (qui la mappa). Si tratta di istituzioni nate in maniera indipendente per colmare un vuoto culturale legato alle donne, la cui storia di rado è spiegata in maniera approfondita. La maggior parte di queste iniziative nascono fra gli anni ’70 e gli anni ’80, ognuna con un’accezione diversa. A Tokyo il museo è dedicato alle donne vittime della Seconda Guerra Mondiale, sfruttate come sex workers. In Senegal invece viene raccontata la vita quotidiana delle donne del luogo mentre in Norvegia c’è un focus sull’aborto, una tematica generalmente poco affrontata.
In Italia sono tre i musei dedicati alla donna, tutti collocati nel nord della penisola e ognuno con le proprie specificità: il museo delle donne Valdesi a Torre Pellice (TO), il Museo Soggetto Montagna Donne in Valsugana e il Museo delle Donne / Frauenmuseum di Merano (BZ).
La storia del museo della città altoatesina nasce dall’iniziativa di Evelyn Ortner (1944-1997), austriaca, appassionata di abiti e accessori che inizia a collezionare dall’età di 17 anni, quando a Parigi acquista il primo pezzo della sua collezione, una borsetta da donna. Nel 1968 Evelyn si trasferisce a Merano e apre un negozio di abiti usati dal nome “Petersilie” (prezzemolo). Vent’anni dopo, nel 1988, Frau Ortner realizza il sogno di aprire un Museo della Donna in cui raccontare la storia delle donne attraverso la sua collezione. Sigrid Prader, direttrice del Museo meranese che ora ha sede in un ex convento dell’ordine delle Clarisse, racconta che “il museo delle Donne di Merano ha carattere interdisciplinare; parla della quotidianità ma non è un museo etnografico, illustra la storia generale e locale senza essere un museo civico, realizza esposizioni di abiti senza essere un atelier di moda”. Il fulcro dell’istituzione è la collezione di abiti, accessori e oggetti provenienti dalla sfera privata – in crescente aumento grazie alle numerosissime donazioni provenienti da tutta Italia e dal mondo – attraverso cui viene raccontato lo sviluppo del ruolo e dell’immagine della donna nella società occidentale dal XIX secolo ad oggi partendo dal presupposto che la moda sia lo specchio della società.
E così, visitando il museo, si scoprono oggetti appartenuti a donne del luogo, come la valigia da ostetrica proveniente dalla Ötztal di proprietà della signora Maria Lunger, che nel dopoguerra ha fatto nascere oltre 3500 bambini, oppure la calcolatrice che una segretaria ha utilizzato ogni giorno per 40 anni fino alle pensione. Oggetti comuni resi speciali dalle storie che si celano dietro e che Judith Mittelberger, guida del museo, descrive ai visitatori con dovizia di particolari.
Nel museo diverse sezioni affrontano tematiche legate alla moda ma soprattutto alla società. Nella sezione dedicata alla pelle, per esempio, si parla degli ideali di bellezza, di come nascono, di come vengono influenzati dai media. Dai costumi da bagno all’abbronzatura passando per la depilazione è forte la presa di coscienza di come i tempi e le mode abbiano dettato la definizione degli ideali di bellezza nel tempo.
Poi l’excursus storico raccontato attraverso capi d’abbigliamento da inizio Ottocento ai giorni nostri ci mostra come corsetti e crinoline abbiano letteralmente costretto la donna per raggiungere gli ideali di bellezza dell’epoca identificati in una vita di 45 cm. La donna è accessorio dell’uomo, il suo unico scopo è essere bella.
Nei focus dedicati agli anni ’20, ’50, ’60, ’80 e ’90 si nota come a mano a mano che il tempo passa e la donna si emancipa, la lunghezza della gonna si accorcia (anche per comodità) di un poco. Osservando da vicino le vetrine si scorgono abiti e accessori supportati da immagini a spiegarne meglio l’uso dell’epoca. Uno di questi, le calze di nylon, cela una curiosità interessante: negli anni ’40 le calze di nylon sono molto di moda, caratterizzate dalla loro cucitura sul retro. Quando durante la Seconda Guerra Mondiale tutto il nylon viene utilizzato per realizzare uniformi le donne disegnano sul retro della gamba usando uno strumento bizzarro una lunga striscia a simulare proprio quella cucitura particolare. Ogni vestito rappresenta la storia di un’epoca, come le gonne “new look” di Christian Dior che richiamano le crinoline, i reggiseni a punta, i jeans, le minigonne di Mary Quant, gli abiti con le spalle imbottite.
Curiose e interessanti anche gli spazi dedicati alla storia della contraccezione e degli assorbenti, argomenti da sempre tabù, oppure alla storia dei capelli dove si scopre che solo negli anni ’20 per la prima volta la donna porta i capelli sciolti. Poi la donna casalinga e la donna lavoratrice, con tanti oggetti, abiti e accessori a supporto delle tante storie che si vengono a scoprire durante la visita.
Un Museo delle Donne, quello della città di Merano, non confinato alla città ma con uno sguardo verso il mondo esterno tanto da accogliere, nel 2008, il 1° Congresso Internazionale dei Musei delle Donne diventato poi nel 2012 la Rete internazionale dei musei delle donne IAWM (International Association of Women’s Museum). Una rete di musei che giorno per giorno collabora con gli altri musei e aiuta coloro che vogliano istituire un Museo delle Donne, al fine di creare sinergie e sostenersi a vicenda come spesso solo la solidarietà femminile riesce a fare.