L’Italia vista sotto il velo di Takoua Ben Mohamed

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A 27 anni si possono avere le idee così chiare da leggere al contrario la storia di un Paese e di una famiglia esiliata per la sua lotta politica? Se ti chiami Takoua Ben Mohamed sì. Nata in Tunisia e cittadina di Roma da quando era solo una bambina, Takoua ha partecipato di recente alla quarta edizione dell’Elba Book Festival, una manifestazione dedicata alla promozione della lettura e dell’editoria indipendente che si è svolta dal 17 al 20 luglio a Rio nell’Elba. All’evento è intervenuta come graphic novelist e anche come “attivista” visto che, attraverso l’arte Takoua cerca di raccontare il mondo – spesso alla rovescia – di chi come lei ha nel cuore due Paesi e due culture: quella di nascita e quella di adozione. Per raccontare questo mix, oltre a scrivere graphic novel, Takoua ha fondato con altri colleghi una società di produzione che si occupa di realizzare documentari dedicati a temi come i giovani, l’innovazione, i cambiamenti sociali e l’intercultura. Quest’ultimo in particolare è un po’ il filo rosso che lega tutti i lavori, compresi quelli di Takoua come graphic novelist. Alle criticità che vive tutti i giorni chi porta il velo nel nostro Paese è dedicato infatti il primo libro dell’autrice dal titolo “Sotto il velo”. Ma il tema ritorna anche nel suo secondo lavoro in uscita a settembre sempre con la casa editrice Beccogiallo.

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Di che cosa parla il tuo nuovo lavoro?
È un libro autobiografico sulla mia infanzia in Tunisia durante il regime di Ben Ali. Ma anche la storia della mia famiglia e di mia madre che era un’attivista.

Come hai vissuto quegli anni?
Era uno Stato di polizia ma io alcune cose le capivo e altre no. La maggior parte le ho scoperte dopo. Ricordo che mia mamma ha fatto di tutto per evitare a me e ai miei fratelli esperienze, diciamo, poco piacevoli come le perquisizioni. In quei casi o risistemava casa prima che noi tornassimo oppure ci mandava dagli zii.

Hai detto che alcune cose le hai scoperte dopo. In che modo?
Intervistando le persone che hanno vissuto quegli anni. Ho fatto tre anni di ricerche per questo nuovo libro andando spesso in Tunisia a incontrare i testimoni diretti. In questo modo ho appreso cose che non immaginavo come le violenze sessuali che avvenivano in carcere.

Che cosa ti ha colpito di più di queste testimonianze?
Mi ha colpito la forza di queste persone e soprattutto la loro ironia. Nonostante tutto quello che hanno vissuto, quasi tutti avevano un aneddoto ironico legato al periodo del carcere e la cosa mi ha colpita perché questo atteggiamento è il simbolo del fatto che non hanno mai perso la speranza.

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Fino a dove arrivi – cronologicamente parlando – con il tuo libro?
Nel libro racconto del nostro arrivo in Italia, di quello che è successo qui e arrivò fino al 2011 quando per la prima volta siamo ritornati in Tunisia dopo 12 anni di esilio. Anzi, dopo 20 nel caso di papà.

In “Sotto il velo” hai raccontato con ironia i pregiudizi che vive chi porta il velo nel nostro Paese. Da allora le cose sono cambiate?
Si sono cambiate, ma purtroppo in peggio. Prima l’Italia era solo un Paese con molti pregiudizi ma non era razzista. Oggi invece lo sta diventando e la cosa si nota sempre di più.

Hai vissuto in prima persona episodi di questo tipo?
Si, per il mio lavoro ho ricevuto minacce da gruppi di estrema destra.

E come hai reagito?
Preferisco non diventare la bandiera di questo o quello schieramento quindi in genere lascio perdere. Voglio infatti farmi conoscere perché sono una brava artista, e non perché sono la ragazza con il velo.

Al velo però hai dedicato una graphic novel. Che significato ha oggi per te?
Il suo significato cambia continuamente perché per me è prima di tutto una ricerca. Dopo l’11 settembre significava ribellione. Oggi invece lo sento come un’identità. Al velo devo la mia forza di carattere perché all’inizio quando mi criticavano per il fatto che lo indossavo reagivo standoci male e piangendo. Ora invece ci rido su.

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Cosa ti hanno detto i tuoi genitori quando hai deciso di indossarlo?
Mio padre mi ha pregata di non farlo dicendomi che non sapevo “a cosa sarei andata incontro”. Io mi sono giustificata dicendo che era solo per “prova” e che poi l’avrei tolto.

Che tipo di genitori sono tua mamma è tuo papà?
Sono dei genitori comprensivi che non mi hanno mai obbligata a fare cose che non volevo, ma si sono sempre limitati a consigliarmi. Pensa che è stato mio padre a convincermi a buttarmi nel mondo del fumetto…

In che modo?
Oltre che un insegnate, lui è anche un ex violinista e mi ha sempre detto che ogni forma di arte – anche un disegno – è un mezzo di comunicazione utile per esprimere contenuti importanti.

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