Capita quotidianamente di incontrare qualcuno che ti dicauomini : “Io non sono d’accordo con le quote riservate alle donne. Se poi è una donna a essere contraria aggiunge: Non ho voglia di essere trattata come un panda, non siamo una minoranza. Se, invece, è un uomo allora nei migiori dei casi sottolinea: le donne hanno tutte le capacità di affermarsi per le loro capacità e le loro competenze, riservare loro delle quote è umiliante.
Sono passati sette anni dall’approvazione della legge 120, cosiddetta Golfo-Mosca dal nome delle firmatarie: la prima, Lella Golfo, di Forza Italia e la seconda, Alessia Mosca, del Pd a dimostrazione di come la misura raccoglieva consensi trasversali. E fu, durante la discussione accesa alla Camera e al Senato per l’approvazione, proprio l’unione delle forze fuori dal Parlamento delle donne e il sostegno convinto di uoini e posizioni di vertice a far sì che si giungesse al risultato. A distanza di sette anni, appunto, quella legge ha permesso di superare la quota del 30% di donne nei cda delle società quotate (e in molte delle aprtecipate pubbliche), permettendo all’Italia di guadagnare posizioni nelle classifiche sull’empowering femminile in Europa.
Perché ne parlo ora? Due notizie di cronaca. La prima riguarda appunto i consigli di amministrazione. La legge Golfo Mosca andrà ad esaurirsi nel 2022 (perché come affirmative action è previsto che ci sia un limite temporale per portare al cambiamento). Diverse le voci che si sono levate per una reiterazione della norma, ma ad oggi non sembra esserci l’interesse politico, di alcuna parte dle Parlamento, di sposare questa battaglia. Allora ci si muove su altri tavoli e un passo in questa direzione è venuto dalla revizione del Codice di autodisciplina delle società quotate. L’annuncio di Borsa Italiana: “La diversità, anche di genere, entra a far parte del Codice di autodisciplina delle società quotate italiane ed è ora oggetto di espresse raccomandazioni secondo la consueta formula del “comply or explain”. Lo ha deciso il Comitato per la Corporate Governance che si è riunito ieri a Milano, presso Borsa Italiana, sotto la guida di Maria Patrizia Grieco (Presidente Enel)”.
La precedente versione del Codice (2015) è stata integrata al fine di salvaguardare gli effetti positivi della Legge “Golfo-Mosca” (n. 120/2011) sull’equilibrio di genere nella composizione degli organi sociali delle società quotate anche successivamente al venir meno della sua efficacia a partire dal 2020. Il nuovo principio raccomanda agli emittenti di applicare criteri di diversità, anche di genere, per la composizione sia del consiglio di amministrazione che del collegio sindacale. Il relativo criterio applicativo concretizza l’obiettivo di diversità di genere definendo la quota di un terzo del “genere meno rappresentato” nel consiglio amministrazione e nel collegio sindacale, promuovendo così il mantenimento volontario degli effetti della Legge “Golfo-Mosca”. Il commento alle nuove raccomandazioni così introdotte suggerisce, con la flessibilità che contraddistingue il Codice di autodisciplina, diversi strumenti per implementare la quota di un terzo, da individuare anche in funzione degli assetti proprietari dell’emittente e che spaziano dalla clausola statutaria, alle politiche di diversità, agli orientamenti del Cda agli azionisti, fino alla lista presentata dal Cda uscente.
L’obiettivo è quello di mantenere nel tempo l’effetto dell’obbligo. Un cambiamento che aveva portato nel tempo anche ad altre decisioni in questa direzione, come la nomina di diverse donne alla presidenza di controlalte pubbliche, tra cui proprio Patrizia Grieco in Enel, Emma Marcegaglia in Eni, Luisa Todini in Poste Italiane tra il 2014 e il 2017 e MAria Bianca Farina ora, Gioia Ghezzi nel gruppo Ferrovie dello Stato. Segni positivi quindi, non per affermazione di principi femminsti ma per una diversità che porta all’affermazione dei talenti migliori sul mercato indipendentemente dal genere.
Un cambiamento passato attraverso le quote anche in altri ambiti, come quello degli ordini professionali ad esempio. Un iter avviato, grazie a una forzatura, per una meritocrazia oltre gli stereotipi? Non è così. Nulla è dato e nessun cambiamento riesce a camminare con le proprie gambe se non sostenuto, soprattutto quando si tratta di cultura di un Paese. E eccoci alla seconda notizia della scorsa settimana: elezione del Csm e di tutti gli organi di autogoverno della magistratura (Amministrativa, Tributaria e Corte dei conti): 20 componenti in tutto e tutti uomini. Eppure il 53% della magistratura è donna. Possibile che in quel 53% non ci fossero donne meritevoli di poter far parte di uno di questi organi? Difficile e non lo dico io, lo dicono gli studi che dimostrano come i talenti e le capacità vengono distribuite non in base al genere ma in modo abbastanza uniforme fra le “diversità” (di qualunque natura siano). In altre parole: c’è sicuramente una donna con intelletto, capacità e competenze tali da meritare quel posto. Eppure, la lunga marcia delle donne nella magistrautra (a loro preclusa fino al 1963) sembra rallentare così bruscamente.
Torniamo all’inizia di questo raginamento, ci sono quelli che continuano ad affermare che le quote non sono la soluzione. Certo, a nessuna fa piacere passare per un’affirmative action, ma a quanto pare l’evoluzione naturale non tende verso la meritocrazia. Che si fa? Si resta a guardare aspettando che qualcuno ci dia una chance?