I media hanno dato molto risalto e trattato con enfasi il fatto che diversi esponenti politici attuali abbiano un titolo di studio e un insieme di competenze professionali pregresse non in linea con il ruolo istituzionale ricoperto. Ciò ha causato sdegno in alcuni, ma per altri è stato considerato come il sogno dell’impossibile che diventa possibile. Anche chi non è laureato o chi non ha maturato un’esperienza in organizzazioni strutturate può raggiungere posizioni al vertice. Senza dare delle valutazioni positive o negative, vediamo come le statistiche dicano proprio il contrario.
Chi studia, ha più possibilità di trovare lavoro e guadagnare di più. Chi consolida un certo tipo di carriera, ha più possibilità di crescere personalmente e professionalmente. E i casi contrari sono rarissimi e non sono da prendere come modello.
La Strategia Europa 2020 ha fissato alcuni obiettivi sui livelli di istruzione della popolazione, alcuni dei quali sono stati già raggiunti dal nostro Paese.
La quota di giovani che abbandonano precocemente gli studi in Italia, seppure in leggera risalita per il contributo della componente maschile, nel 2017 si attesta al 14,0%, superando l’obiettivo nazionale del 16% fissato per il 2020. Nello stesso anno sale al 26,9% la percentuale di laureati, grazie al contributo della componente femminile. Tuttavia il numero di laureati in Italia è ancora basso rispetto al 40% che è l’obiettivo fissato dalla strategia europea.
Il livello di istruzione riveste un ruolo determinante per l’ingresso e la permanenza nel mercato del lavoro: la quota di occupati tra i 30-34enni laureati è superiore di oltre venti punti a quella tra i coetanei con al massimo la licenza media. Questi dati sono molto diversi a livello geografico: se al Nord oltre otto giovani laureati su dieci hanno un’occupazione, nelle regioni meridionali il rapporto è inferiore a sei su dieci. Anche in questo caso un elevato livello di istruzione protegge dall’esclusione dal mercato del lavoro: l’incidenza di quanti non hanno mai lavorato nella vita passa dal 19,3% tra chi ha al massimo la licenza media al 10,4% dei laureati. Tuttavia persistono in Italia due problemi strutturali del sistema educativo: il primo è che il nostro corso di studi è in media più lungo rispetto agli altri paesi europei, scoraggiando a volte i giovani ad intraprendere percorsi educativi, e il secondo è che alcune facoltà insegnano competenze distanti da quelle richieste dal mondo del lavoro. Questi due fenomeni rallentano l’ingresso dei giovani al lavoro.
Un altro dato importante è la differenza di retribuzioni tra laureati e diplomati. Secondo i dati raccolti da JobPricinig, Osservatorio sulle retribuzioni, lo stipendio medio di un laureato in Italia annuo è del 50% in più rispetto ad un diplomato. Questo divario tra laureati e diplomati è quasi nullo ad inizio carriera ma aumenta sempre di più con il passare degli anni.
Si stima che in futuro si cambierà lavoro ogni 4,2 anni, le carriere saranno sempre più fluide e in questa incertezza la flessibilità di possedere molteplici competenze è ciò che conta maggiormente. L’incompetenza può essere una nostra alleata solo in un caso: sapere di non sapere. L’ignoranza socratica intesa come consapevolezza di una conoscenza limitata, che diventa però spinta al desiderio di conoscere.