Quando Henri Matisse nel 1908 vide l’opera Estaque, esposta da Georges Braque al Salone d’Autonme nel 1908, le giudicò negativamente definendola come composta da “piccoli cubi”. L’anno dopo il critico Louis Vauxcelles utilizzò l’espressione “bizzarrie cubiste” per definire, con intento o dispregiativo, l’aspetto frammentato e sfaccettato di alcuni quadri di Picasso e dello stesso Braque. Nonostante ciò il cubismo è considerato, ad oggi, una delle correnti artistiche più importanti e rappresentative del primo ‘900 e, lo stesso Picasso, uno degli autori più quotati al mondo. Le sue prime manifestazioni, tuttavia, si ponevano in aperto contrasto con la storia artistica occidentale dove l’immagine pittorica è sempre stata considerata di tipo naturalistico e atta a riprodurre fedelmente la realtà attraverso la tecnica del chiaro e della prospettiva. Una prospettiva tradizionale dove la scelta di un unico punto di vista imponeva al pittore di considerare solo alcune facce della realtà. Nei quadri di Picasso e dei cubisti in genere, invece, la realtà viene rappresentata da una molteplicità di punti di vista così da ottenere, paradossalmente, una rappresentazione totale dell’oggetto, concettualmente più completa. L’apparente incomprensibilità di queste immagini, così lontane dalle correnti accademiche, tuttavia, portava i critici a guardarle con sospetto e addirittura a denigrarle.
Questioni di punti di vista, mi verrebbe da dire. Quanti di noi, posti di fronte a un dipinto cubista per la prima volta, hanno inclinato la testa da un lato per capire da che parte osservarlo?
In questi giorni ho assistito attonito alle numerose prese di posizione sul mondo LGBT* da parte di rappresentati del governo, uomini politici, opinionisti, pseudo-intellettuali e, dulcis in fundo una buona parte dell’opinione pubblica. La vera famiglia è soltanto la “famiglia naturale”, mentre le famiglie arcobaleno non esistono, ha tuonato il neo-ministro Fontana subito dopo l’insediamento al governo. “Massimo rispetto e massima tranquillità per la vita di ciascuno però farò tutto quello che è legalmente, umanamente e civilmente possibile perché la mamma continui a chiamarsi mamma e il papà continui a chiamarsi papà, e un bambino venga adottato se ci sono una mamma e un papà” precisa il ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini il 10 giugno al comizio per il sostegno al candidato Sindaco di Brindisi. Non sembrano da meno le amministrazioni comunali di diverse regioni e città. Regione Lombardia, Liguria, Firenze, Novara, Genova sono soltanto alcuni enti locali che hanno deciso di non concedere il patrocinio al Pride 2018. Lato media risalgono a pochi giorni fa le dichiarazioni di stampo straordinariamente omofobico (e mi permetto di dire impregnate di becera ignoranza, nel senso di “ignorare” ovviamente) di Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità e (sic!) Progresso che attacca una “lobby gay assai rumorosa” capace di “occupare sempre la scena e di far risuonare un’altra verità” ossia “che la stragrande maggioranza di pediatri e psicologi di tutto il mondo (che, ovviamente, non si è preso la briga di citare) sostengono la necessità della figura materna e di quella paterna per una buona formazione della personalità”. Sono soltanto pochi esempi delle esternazioni e delle più recenti prese di posizione di chi si scaglia contro il nuovo concetto di famiglia, parole che hanno portato un incremento preoccupante degli atti di violenza verso i rappresentanti della comunità LGBT*, specialmente quelli più visibili ed esposti.
Attacchi e insinuazioni che sanno di vecchio e retorico ma che sembrano funzionare e insinuare dubbi in chi non ha mai preso una posizione chiara su queste tematiche. Al centro la cosiddetta “famiglia tradizionale” un concetto vago e rappresentativo di una storia e una cultura dove il binomio di genere uomo e donna, madre e padre è stato sempre l’unico considerato in grado di riprodurre fedelmente la “natura” e ciò che è intrinsecamente è considerato come giusto e corretto. Posti di fronte a questa corrente di pensiero, che possiamo definire “accademica”, la comunità LGBT*, con la poliedricità delle sue componenti affettive e amorose, i colori che vedono nei Pride la sua estrema rappresentazione simbolica, non sono nient’altro che un quadro cubista, di difficile comprensione, almeno ad un primo approccio.
Allora la chiave di lettura non può che essere concettuale. Non è una questione di contrapposizione tra la cosiddetta “famiglia tradizionale” formata da un uomo e da una donna e la nuova idea di famiglia che nasce da un sacrosanto riconoscimento di diritti alla comunità LGBT*. Il punto sta nel far comprendere che le nuove famiglie sono soltanto espressione di una nuova realtà che racchiude molteplici punti di vista e altrettanto numerose prospettive che, nel loro complesso, formano un’immagine estremamente ricca e di ineguagliabile valore. Un valore che nel tempo capiremo essere inestimabile, proprio come un dipinto di Picasso.