Bullizzato e preso in giro dal chirurgo riguardo l’uso dei suoi genitali solo perchè omosessuale. La denuncia risale al gennaio del 2018 e proviene da un ragazzo napoletano che ha vissuto questa esperienza di omofobia presso l’ospedale di Cotugno, Napoli. Non si tratta purtroppo di un caso isolato. Che non tutto il personale medico e sanitario italiano sia adeguatamente formato e preparato per affrontare e rispettare i pazienti LGBTQI è un dato di fatto.
Diversi enti e associazioni, tra cui l’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, hanno messo in luce come le persone LGBTQI, rivolgendosi a specialisti del settore, trovino risposte non adeguate a problemi di natura sanitaria. Per confrontarsi sul tema il 15 Giugno 2018, alle ore 14.30, presso l’Istituto Mi.CAL – Milan Institute for health Care and Advanced Learning (Via Galileo Galilei 5, Milano), si terrà l’evento ” Persone LGBTQI e le professioni della salute”, organizzato dal dott. Davide Manstretta, psicologo e psicoterapeuta in formazione presso la SLOP – Scuola Lombarda di Psicoterapia, socio SINEPSIP – Società Italiana di Neuropsicopatologia.
Cosa significa concretamente subire discriminazione in ambiente sanitario per una persona LGBTQI?
Purtroppo, la mancanza di conoscenze delle tematiche LGBTQI da parte dei professionisti della salute può favorire comportamenti clinici non corrispondenti alle richieste dell’utenza. Alcune figure professionali non riescono a rispondere in maniera esaustiva o conforme alle domande dei pazienti LGBTQI proprio perché viene dato per scontato che l’individuo al quale si trovano di fronte sia eterosessuale e cisgender. Questo porta a ricevere risposte sanitarie che risultano inadatte o fuorvianti soltanto perché le domande da parte dei clinici o non vengono fatte o vengono poste in modo errato, anche in assenza di qualsiasi intenzione discriminante.
Che obiettivi vi proponete con questo evento?
Con questo evento vogliamo iniziare a condividere con il mondo professionale, accademico, politico ed associativo le fondamentali criticità, anche normative, circa l’accesso alle cure nelle persone LGBTQI. Per questo motivo abbiamo invitato rappresentati di queste realtà (l’on. Daniele Viotti, eurodeputato del Partito Democratico, il prof. Tomaso Vecchi e il prof. Davide Liccione, rispettivamente direttore e professore a contratto del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia, Rita Mura, presidente di AGEDO Milano e il dott. Riccardo Bettiga, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia).
Vorremmo creare una rete territoriale per iniziare a comprendere quali siano le criticità e gli spunti di possibile miglioramento, per favorire lo sviluppo di buone prassi terapeutiche a favore delle persone LGBT. Ci piacerebbe gettare le basi per la creazione di una cultura di reale integrazione sociale e di diritti paritari all’interno del mondo sanitario.
Com’è la situazione in Italia e quali sarebbero i primi passi da fare per migliorarla?
Penso che il punto di partenza sia buono, ma che, come in tutto, ci siano margini di miglioramento. La legge che regolamenta il cambio di sesso e la rettificazione anagrafica di sesso, ad esempio, è del 1982. Per l’epoca era una legge all’avanguardia, che però non è più stata rivista nonostante le richieste di aggiornamento sul tema della necessità di intervento chirurgico demolitorio per la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile. Aggiornamento arrivato con la sentenza n°221 del 5 novembre 2015 della Corte Costituzionale: questa stabilisce che non è necessario l’intervento chirurgico per la rettificazione anagrafica di sesso.
Dal punto di vista sanitario, quello che ci sentiamo di sottolineare è che, a differenza di altri contesti, si rischia di incorrere in situazioni di discriminazione anche a fronte di una mancanza di reale volontà discriminatoria da parte dei professionisti. Qui infatti anche solo una non adeguata pratica clinica rischia di ledere il basilare diritto alla salute.
Da chi vengono maggiormente “discriminate” le persone LGBT? Medici, paramedici o in generale personale sanitario?
Non abbiamo alla mano dati ufficiali che rispondano in maniera esaustiva a questa domanda. La nostra convinzione è che non ci sia una generalizzata omofobia da parte di sanitari, bensì una frequente carenza di conoscenze circa le tematiche LGBTQI.
Atteggiamenti discriminatori o anche soltanto eteronormativi si possono trovare a tutti i livelli della sanità. Proviamo a considerare, ad esempio (ed è un esempio vero), una persona in transizione che si trova a dover prenotare ad un centralino telefonico una visita specialistica con un professionista proprio dell’altro sesso rispetto a quello anagrafico. In questi casi le difficoltà possono essere rilevanti e profondamente frustranti, oltre eventualmente a spingere la persona transgender a dover illegittimatamente spiegare la propria situazione all’operatore telefonico. È importante quindi che anche questi professionisti ricevano un’adeguata formazione in merito, al fine di garantire il diritto alla salute ed alla riservatezza degli individui LGBTQI.
Altre categorie, come per esempio i giornalisti, hanno previsto corsi di formazione proprio su come affrontare le tematiche LGBTQI per contrastare discriminazione e discorsi dell’odio. Perché questo non è ancora avvenuto per esempio con l’ordine dei Medici?
Alcune iniziative sono state fatte e altre sono in corso di svolgimento. Ad esempio, il Comune di Ferrara, in associazione con l’Azienda USL di Ferrara, l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara e diverse associazioni LGBTQI del territorio, hanno pubblicato nel 2017 il quaderno “Oltre gli stereotipi di Genere – Verso nuove relazioni di diagnosi e cura”, contenente alcune indicazioni rispetto ai bisogni sanitari della popolazione LGBTQI, facendo riferimento a direttive di organizzazioni mediche internazionali.
Possiamo affermare che, se le questioni della tutela e della parità dei diritti hanno alle loro spalle una storia più che decennale, i temi dell’accesso a servizi sanitari adeguatamente formati sono più recenti. È solo negli ultimi anni che diverse istituzioni, soprattutto a livello europeo, hanno sottolineato queste necessità, spesso legate alle componenti più tecniche delle pratiche della salute. Ci si augura che questo sia soltanto la prima di una lunga serie di iniziative volte alla promozione di buone pratiche.
Il Mi.CAL, come ente di alta formazione, pone una profonda attenzione a tematiche formative d’avanguardia. Ci auguriamo di poter condividere questa attitudine con altre realtà associative del territorio al fine di diffonderle il più possibile.
In assenza di una legge sull’omotransfobia, a chi si può rivolgere un cittadino LGBTQI che incappasse in un episodio di discriminazione in ambito sanitario oggi?
È importante che il cittadino sia sensibilizzato sul tema di una parità di accesso ai servizi sanitari e di diritto alla salute. Di fronte a discriminazioni, siano esse palesi o meno, è sempre opportuno fare riferimento alle associazioni di categoria come gli ordini professionali. Una delle funzioni di queste realtà è anche quella di cogliere le situazioni di abuso o di non corretta pratica della professione, sia essa medica, paramedica, farmaceutica o psicologica. Far sapere all’ordine di riferimento che un professionista non svolge il proprio lavoro nella maniera più corretta nei confronti dell’utenza è il primo passo per far si che episodi analoghi non accadano più.